I BÜTCHER ti riconciliano con la vita (e le cose veramente importanti)

Seguo Metal Skunk all’incirca da vent’anni, ovvero dai tempi in cui la professoressa di matematica mi sgamava regolarmente a leggere il vecchio Metal Shock cartaceo durante le lezioni, con il mio compagno di banco e tuttora amico Marco. La mia formazione è stata fortemente influenzata da quel periodo felice in cui si impara quali sono le cose veramente importanti della vita.

Poi la vita vera prende il sopravvento piano piano, e, prima che tu te ne renda conto, hai quarant’anni, sei a metà del tuo viaggio e spesso capita di non avere il coraggio di girarsi a guardare indietro per paura di vedere quello che abbiamo lasciato per strada.

Per fortuna noi abbiamo il metallo, amici.

Ora che sono il nuovo stagista di Metal Skunk, mentre preparo caffè per tutto l’ufficio e litigo con le stampanti (la cosa meno metal, e al contempo più vicina a Satana, nella storia delle invenzioni dell’umanità, sono le stampanti), mi accorgo che questi scapestrati in questi anni hanno dedicato un solo misero articolo, pure tardivo, ai Bütcher, e decido di rimediare prendendo possesso di un PC mentre tutti sono impegnati nella pausa pranzo con la loro pokè vegana biologica di sta minchia. Lo faccio perché i Bütcher mi ricordano quali sono le cose davvero importanti della vita.

Io credo che, se fossero esistiti durante i miei 17 anni, probabilmente la mia vita sarebbe molto diversa oggi. Potrei essere in qualche sobborgo di Berlino a fumare crack in un sottoscala mentre una prostituta immunodepressa mi fa dei giochetti strani al sottopalla. Potrei essere un sostenitore di Trump, aderire a Qanon, credere alle scie chimiche e avere come missione l’andare in giro per Baltimora con un cartello al collo con scritto “Soros merda”. Potrei essere a cacciare balene in mare aperto a Reykjavik e mangiare solo sgurklup o come si chiama quella merda in scatola puzzolente di pesce marcio che mangiano lì.

Eppure sarei felice.

Sarei felice perché avrei in mente le cose veramente importanti della vita.

La cazzimma. Il fuoco.

È molto difficile, al giorno d’oggi, trovare un gruppo  che ti smuova le viscere a tal punto da farti regredire a uno stadio primitivo, e con me hanno funzionato solo i Bütcher. Con me e con il mio amico Mattia, che conferma tutto quello scritto qui.

I Bütcher sono catarsi pura, basta l’attacco di Iron Bitch (che titolo meraviglioso) per farti dimenticare tutta la merda della giornata e godere di quelle sensazioni che avevi da adolescente, quando tutto era nuovo e bellissimo e la tua vita era piena di merda, ma soprattutto di sogni e possibilità.

I Bütcher mi ricordano che è ancora così, anche oggi, basta solo la cazzimma.

Basta spingere più forte.

Basta andare più veloce, più forte, urlare di più, più a lungo.

Non ce la fai? Non è vero. Senti qua:

Torna al tuo stato primitivo. Dimentica il mal di schiena, i figli, i cazzi a lavoro, tu sei questo. Sei quel fottuto ragazzino brufoloso che voleva spaccare il mondo. Torna stupido. ignorante. Puzzolente. Ma quanto è ignorante un titolo così? Seicentosessantasei capre trascinano il mio carro da guerra. Potremmo chiedere di meglio?

C’è un po’ di tutto in questi Bütcher: velocità, cazzimma, potenza, ritmi serrati, cambi di tempo e di gioco, black metal, Iron Maiden, NWOBHM, death. Ci sono inserti in cui trovo palese l’influenza del basso di Steve Harris, o delle citazioni ai Metallica di Sanitarium, eppure non è mai derivativo. Non vi dico dove, così vi andate ad ascoltare il disco e le cercate voi. È come se, negli anni ’90 dopo aver cacciato Dickinson, invece di intraprendere la strada della borghesia e di Blaze Bayley, Steve avesse pippato tutta la cocaina di Stratford (Londra) ascoltando i Venom, e fosse impazzito male prendendo la strada del Male.

Capite che questa cosa non può passare inosservata.

All’attivo hanno tre album, tutti delle bombe di ignoranza e caprinitá. Con le dovute differenze di produzione e suoni, il senso è sempre quello: di più. Più forte, più veloce, più cattivo, più stupido. Ma stupido nel senso migliore che possa esistere. Perché questi suonano pure con i controcazzi. La batteria non si ferma mai, è un continuo gioco di piatti e charlie, il basso esegue linee per niente banali, le chitarre si mischiano in modi diversi a seconda dei momenti della canzone, il tappeto sonoro è assolutamente di alto livello.

Preferisco personalmente la produzione del secondo, 666 Goats Carry my Chariot, più chiara e meno confusa, al contrario del terzo e ultimo On Fowl the Tyrant Wings, che risulta leggermente più confuso anche forse a livello di composizione.

Ma tanto non è quello che conta davvero, lo sappiamo, no?

Quello che conta è che il giorno che verranno in Italia, non mi importerà nulla del lavoro, dei figli, la fidanzata, gli aperitivi, l’ufficio. Stocazzo! Io sarò lì sotto al palco, insieme ad altri 25/30 puzzoni, a urlare più forte, più veloce, più cattivo, e per almeno un oretta sarò di nuovo quel ragazzino stupido e brufoloso. (Alessandro Colombini)

3 commenti

Lascia un commento