Splendidi quarantenni: SLAYER – Hell Awaits
Affermare che Hell Awaits sia meglio di Reign in Blood può sembrare una posa snobistica, e in certi casi magari lo è. Se su quale sia l’album più bello degli Slayer si può discutere, è inequivocabile che il più influente, quindi il più importante in una prospettiva storica, sia questa opera seconda, che spalancò quei cancelli dell’Ade dai quali sarebbe uscita tutta la scena death metal americana e, allo stesso tempo, rimane un unicum in una discografia che, fino a Diabolus In Musica incluso, avrebbe visto la band cambiare pelle a ogni capitolo.
Show No Mercy, come scrisse Stefano Greco, non era ancora completamente Slayer ma era già abbondantemente Slayer. Nel debutto l’allora giovanissimo gruppo lasciò emergere le sue influenze in modo tutto sommato spontaneo. Influenze che più classiche non si poteva: gli Iron Maiden, i Judas Priest, i Venom, i Kiss. Jeff Hanneman e Kerry King entrarono stavolta in studio con un’idea molto precisa: incidere un Lp ispirato ai Mercyful Fate, dai brani lunghi e articolati e dalle atmosfere orrorifiche (in mezzo c’era stato, snodo necessario, l’Ep Haunting the Chapel, promosso con un tour insieme a degli imberbi Possessed che, presumibilmente, presero parecchi appunti). Non sarebbe stata l’ultima volta in cui il quartetto di Los Angeles sarebbe andato, in modo premeditato, nella direzione opposta rispetto al resto della scena. Quando esplose il death metal e tutti accelerarono, loro fecero South of Heaven e Seasons in the Abyss. Quando arrivò il terremoto grunge e tutti rallentarono, loro fecero Divine Intervention. E, quando, nel 1985, il canone del thrash Bay Area aveva iniziato a consolidarsi, gli Slayer se ne uscirono con qualcosa di mai sentito prima.

Hell Awaits venne registrato agli Eldorado Studios in un paio di settimane con un budget di 5 mila dollari. Le vendite avrebbero molto presto consentito a Brian Slagel della Metal Blade di recuperare quella cifra decuplicata. A occuparsi della produzione troviamo anche Ron Fair, che poi sarebbe diventato il capo della Geffen, e, soprattutto, Bill Metoyer. “I ragazzi volevano provare cose nuove, si stavano decisamente muovendo in territori inesplorati”, avrebbe raccontato decenni dopo l’ingegnere del suono a D.X. Ferris, autore di un fondamentale libro sulla storia della band e di un altro, altrettanto indispensabile, sulla lavorazione di Reign in Blood.
Show No Mercy presentava una scrittura tradizionale: strofa, ritornello, assolo. Hell Awaits, la canzone, posta in apertura, fa subito a pezzi le tradizionali regole compositive. Il magistrale e sulfureo crescendo iniziale; l’esplosione di violenza della strofa, con Tom Araya che canta il testo a velocità frenetiche, rendendolo quasi inintelligibile; il primordiale growl del ritornello, che all’epoca doveva davvero essere parso intonato da una schiera di demoni. Show No Mercy si muoveva per lo più sulle solite, rassicuranti, scale minori di mi e la. Qua i riff sono spesso atonali e a volte vengono reiterati con variazioni minime e sempre diverse (prendete le cromatiche nella seconda parte del pezzo). Il risultato è straniante, non colpisce solo per l’inaudita ferocia ma disorienta, inquieta. E che dire della macabra Necrophiliac, chitarre allo zolfo al servizio di un morboso racconto dell’orrore, perché ai Mercyful Fate si guardava anche nell’approccio alle liriche, che si fa più narrativo. “I primi Slayer erano la band satanica definitiva”, sentenziò Phil Anselmo, tra coloro che ritengono Hell Awaits superiore al colossale successore.

Altri passaggi, notò sempre Ferris con un certo acume, sembrano prove generali di quello che sarebbe stato Reign in Blood. Il parossismo di Kill Again avrebbe fissato uno standard da battere prima di tutto per gli Slayer stessi. In At Dawn They Sleep c’è un passaggio in doppia cassa che anticipa quello, celeberrimo, nel finale di Angel of Death. “Allora in sala facevo spesso assoli di batteria e Jeff o Kerry mi chiedevano di mettere sul disco qualunque cosa restasse loro impressa. Mi dicevano: ‘Perché non provi a mettere questo qua o là?’ Si nutrivano delle mie idee e ne strappavano brandelli come avvoltoi”, avrebbe ricordato tempo dopo, con evidente acrimonia, Dave Lombardo.
Sempre At Dawn They Sleep vede menzionato per la prima volta nei crediti, come coautore dei testi, Araya. Anch’egli in seguito avrebbe rivendicato un ruolo creativo maggiore di quanto risulti sulla carta. Già dal lavoro seguente il cantante non sarebbe stato più in grado di gestire con nonchalance quella che era, ai tempi, la sua ottava più alta. In Praise of Death sentiamo addirittura, per due secondi, uno stacco di basso, strumento che negli Slayer ha sempre avuto un ruolo ancillare.

“Approaching Centauri”, Moebius, 1977
E poi c’è la copertina di Albert Cuellar. Di subliminale non c’è solo il JOIN US riprodotto al contrario all’inizio del disco. Il fuoco infernale che domina l’immagine è stato dipinto sopra altre raccapriccianti figure e, a osservare con attenzione, qualcosina si nota. “C’è un sacco di roba che non si vede ma io so che sta là”, spiegò Cueller. Tra i diavolacci superstiti, intenti a seviziare i dannati, c’è un plagio clamoroso che sarebbe stato scoperto, tempo dopo, da un fanzinaro. I tre demoni a destra che squartano una malcapitata anima sono stati ricalcati pari pari da “Approaching Centauri”, una storia apparsa nel 1977 sulla rivista Heavy Metal e disegnata da uno dei più grandi geni della storia del fumetto, il francese Jean Giraud, al secolo Moebius.
All’epoca non c’era Photoshop e l’allegra compagnia fu disegnata su un foglio, ritagliata, colorata e incollata sulle fiamme, il che contribuisce a farla risaltare. Lo stesso motivo per cui le mostruosità prostetiche del cinema horror anni ’80 faranno sempre più paura di qualsiasi cosa consenta oggi la grafica digitale. Cueller raccontò al solito Farris che, qualche anno più tardi, avrebbe incontrato Moebius negli Stati Uniti per proporsi come suo collaboratore e, con una faccia di bronzo ammirevole, gli avrebbe sottoposto un portfolio che conteneva la copertina di Hell Awaits. Il venerato maestro non si scompose e, anzi, si mostrò quasi adulato dal furto. Tuttavia, a seguito dell’incontro, Cueller non avrebbe mai ricevuto alcuna telefonata da Parigi.
Il master originale di Hell Awaits non esiste più. Andò perduto nel terremoto di North Ridge che, nel 1994, distrusse i magazzini della Metal Blade. Ci piace pensare che sia stato inghiottito da una delle enormi crepe che furono aperte nel terreno dal pauroso sisma, il più grave a colpire Los Angeles da quello di San Fernando del 1971, e sia precipitato negli abissi dell’inferno, dove ora svetta con fierezza nella collezione privata di Satana. (Ciccio Russo)

La chiosa finale del terremoto vale a Ciccio un bacio con la lingua.
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Reduce dall doppio assalto Show no Mercy/ Reign in Blood all’ inizio non lo apprezzai a dovere , anche a causa di una produzione a mio avviso non brillante , stava di fatto che crebbe ad ogni ascolto. Da citare anche Praise of death. Lodato sia sempre Satana per gli Slayer
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mi fa piacere scoprire che sono in buona compagnia a ritenere questo il loro album migliore
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