Si fa presto a dire NWOTHM: una giostra non fa primavera…
…ma con un bel disco di NWOTHM virato sleazy rock’n’roll ci si avvicina tantissimo. Dei texani MEAN MISTREATER ci siamo occupati davvero pochissimo tempo fa, recuperando tardivamente il disco dell’anno scorso, ed ecco che (come sapevamo) se ne sono usciti subito con un nuovo disco, intitolato sfacciatamente Do or Die. E se vi confondete per le due copertine simili, anche il contenuto, beh, è quello lì. Che a me piace molto perché di gente che va di fioretto ce n’è sempre troppa, e alla fine preferisco chi invece ci mette watt, foga e sudore. I texani hanno belle chitarre, elettriche che è un amore, ma la forza la fa la voce roca di Janiece Gonzales, vera mattatrice. Intendiamoci, signori, qua non si inventa nulla, stiamo parlando di speed metal americano anni ’80 che ha deviato sullo sleaze prima di diventare definitivamente thrash. Musica gagliarda, riff dopo riff e assoli. A un disco del genere manca solo il gancio perfetto, pazzesco, accalappia ascolti. Ma gli manca anche il pezzo sciatto, brutto, riempitivo. Do or Die viaggia quasi sempre veloce e quasi sempre a livelli più che adeguati a coinvolgere l’ascoltatore che in auto può finalmente abbassare il finestrino e far capire a tutti chi è che ascolta la musica più fica in paese. Al prossimo giro spero facciano il colpo per davvero, ma se tirassero fuori un disco così ogni anno non lamenterebbe nessuno.
Ah, Do or Die lo pubblica la Dying Victims, benerita, così come Powerstrike, l’esordio dei baschi SINNER RAGE. Non ci allontaniamo moltissimo di coordinate, un generale, ma ci addentriamo molto più nei territori melodici e un tantino fonati dell’hair metal e dell’hard rock con l’ovatta nei pantaloni. La voce è alta e squillante, all’inizio potrebbe essere quasi scambiata per quella di una donna pure qua, ma in realtà è un tale Aritz Martinez al microfono, mentre la bella presenza femminile nelle foto promozionali è quella della chitarrista catalana Jara Solíz, transitata nei Cobra Spell prima di unirsi al quartetto compatriota, con lei ora quintetto. Siamo in territori più melodici e meno concitati, dicevo. E i nostri si ingegnano per scrivere melodie e strutture che non siano banali. E a volte mi pare quasi che non disdegnino di attingere un po’ dal vecchio prog metal di Queensrÿche e Fates Warning. Con tutti i sacrosanti distinguo del caso. I Sinner Rage sono ragazzi, comunque, sono esordienti e sono un gruppo di oggi, anche se ci tiene a suonare vecchio. E mi stanno simpatici. Alcune melodie, come quella di Highway Knights, si fanno vantare bene, sotto la doccia in un bel giorno di primavera o mentre allacciate la corazza prima di salire a cavallo per la disfida. E pure Fire’s On, mentre vi coprite di gloria con le pulzelle che vi lanciano fiori dagli spalti. Che altro chiedere ad un esordio, in fondo.
E che altro chiedere ad un ritorno, gradito e particolarmente atteso, come quello dei romani VULTURES VENGEANCE, che incontrammo già ai tempi gloriosi del Metal Conquest Fest di Roma e che al Barg, col disco precedente, erano già garbati assai. Non pochi sei anni per dare un seguito a Knightlore, del 2019, ma contate che le registrazioni di questo Dust Age risalgono al 2020. Poi disavventure che hanno portato al fatto che Tony T. Steele, condottiero dei romani, riesce a pubblicarlo solo ora che la formazione attorno a lui è pure completamente cambiata. Ma meno male che esistono ancora, i Vultures, e che Dust Age alla fine ci è arrivato, a noi. Perché si nota subito che un miglioramento deciso in termini di suono c’è stato, rispetto all’esordio, ma anche in termini di scrittura, con brani epici, davvero ben confezionati. La voce di Steele resta lo spartiacque. O la si ama o la si odia… o ci si fa l’orecchio, che è quanto consiglio di fare a chi non la ama. Perché altrimenti si rischia di perdersi un album di metallo antico, oltranzista, assolutamente fedele agli anni ’80, quindi all’epic classico. Che sappiamo benissimo non aver goduto sempre di cantanti che mettessero d’accordo tutti. Pensate ai Cirith Ungol, cui i Vultures Vengeance pagano tributo spesso e volentieri. Quel modo lì di intendere il Metallo, insomma. Impermeabili alle mode, alle modernità ed eternamente presente in un romanzo fantasy o in un film sword & sorcery. Se queste coordinate garbano anche a voi, fidatevi: Dust Age è un signor disco. Ed ora che aspettate ad inforcare il vostro destriero ed a lanciarvi in una bella mischia di primavera. La colonna sonora perfetta c’è.
Restando sul versante piu power della NWOTHM, non-genere per eccellenza, tornano gli americani ADAMANTIS che avevamo incontrato di sfuggita qui e qui. Il disco nuovo, il secondo, si intitola Reforged e già dalla spada in copertina si comprende che i nostri non sono interessati a raccontare di fiorellini e problemi personali. Semmai son pronti a rilasciarsi nella pugna. Anche in buonissima compagnia. C’è Jeff Loomis a suonare l’assolo dell’iniziale Ride for Ruin. L’endorsement è ingombrante, ma i quattro del Massachussets ce la mettono tutta per dimostrare di meritarselo, con un disco tutto energico di US power ed heavy epico che corre lanciato come una carica di cavalleria. Ogni tanto qualche irrobustimento un tantino più estremo della media (al massimo si lambisce il thrash). Per i resto un disco onesto e medio. Buona tenuta strumentale, sicuro il cantato Jeff Stark (e con quel cognome…). Alla bisogna, fughe di chitarra neo-classiche, neo-barocche, neo-salcazzo. Opinione di chi vi scrive: manca la libertà disco scorrazzare liberamente oltre i confini del sottogenere per andare ad inseguire un’espressione in qualche modo propria, ma manca pure il o i pezzi belli, potenti, convincenti in toto e riconoscibili che comunque farebbero ricordare gli Adamantis più di altri interpreti competenti sparsi un po’ qua e un po’ là. Disco onestissimo, quindi, questo Reforged, e se vi garbano le coordinate potreste godervelo in un bel tragitto casa-lavoro. (Lorenzo Centini)

Eh beh ragazzi, sempre grazie dalle schiere dei Defender. Passo a leggere e ascoltare tutto.
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