Una lezione americana: CHRISTIAN MISTRESS – Children of the Earth
Fenriz li ha incensati pubblicamente ai tempi del primo demo e Kanye West avrebbe loro soffiato la copertina del primo disco vero e proprio, Agony & Opium. Quella dei Christian Mistress è la storia di una semplice, minuscola banda di metallo tradizionale che una qualche piccolissima celebrità l’ha avvicinata già, ma al momento sbagliato o per le ragioni sbagliate. Perché purtroppo i tempi che corrono sono quelli che sono, non sarò certo io a provare a convincervi che questo è il migliore dei mondi possibili. E non c’è speranza che un disco di metallo vecchia maniera, caldo e artigianale possa ricevere chissà che attenzioni. E anche il metallo tradizionale più indipendente e sotterraneo per metà è composto da vecchie cariatidi che sparano gli ultimi schioppi e per l’altra metà da ragazzetti genuinamente volenterosi, ma un po’ carnevaleschi. E spesso ti arrivano prima informazioni come blasone o pettegolezzi (come quelli che ho messo io in capo all’articolo), piuttosto che semplicemente la reazione a pelle di un riff o di un ritornello.
Ma è qui che voglio andare a parare: il metallo in fondo è rock’n’roll, o per lo meno lo è per me, non pretendo che sia opinione granché condivisa. Anzi, figuratevi che per quanto sostengo io è nata una diatriba col Barg, che per smontare la mia posizione è arrivato a citare Scaruffi. E citare Scaruffi in una discussione sull’origine dei generi musicali equivale a sganciare la bomba atomica su Hiroshima o Nagasaki. Ma io sono cocciuto, resto convinto della mia idea e penso che British Steel era rock’n’roll. E pure Kill’em All. E i Venom. E il rock’n’roll è musica istintiva, di pancia. Per questo spesso gli artifici non mi vanno giù, le sovrastrutture. Per questo ritengo un approccio semplice, diretto, essenziale quasi sempre più vero, sincero. Non ci sono storie e costumi e ammiccamenti, c’è un riff che ti coinvolge oppure no. Una melodia che ti entra in testa e una canzone che ti dice qualcosa davvero. Ecco allora il caso di questa band del Nord-Ovest, i Christian Mistress, che suonano un heavy metal gagliardo e semplice, fatto di riff, melodie e canzoni. Suonano rock’n’roll, insomma, franco, diretto. Suonano canzoni che ti viene voglia di cantarci dietro. Così, semplicemente, senza sovrastrutture. Una specie di lezione americana, di calviniana memoria.

E sono canzoni metal. Ok, non hanno l’aspetto e la presenza dei defender più guerrafondai. E ok, la voce di Christine Davis non è di quelle che si incontrano spesso al di qua di quel muro di acciaio che ci protegge da quelli che, poverini, non sanno cosa si perdono a non essere metallari. Così bestemmio: in Demon’s Night pare a tratti di sentire Debbie Harry fare il verso a Morrissey su di un pezzo di NWOBHM vecchia, quella con le chitarre calde che ruggiscono, tipo Pagan Altar. E in Love of the World pare invece a tratti che a prendere il microfono sia Patti Smith. Mentre Death Blade parte con un coro da indie lo-fi (che, per inciso, non definirei un capolavoro), ma poi c’è il primo verso, ripetuto a inizio di ogni strofa, che dice “give’em hell” e si riprende il discorso dei gloriosi Witchfynde. Alla fine sempre di rock’n’roll parliamo, di musica schietta e diretta, di canzoni, alcune meno memorabili, altre riuscitissime, e sono la maggior parte, qua in mezzo. Come Mythmaker, il singolo che avevamo anticipato poche settimane fa. O City of Gold, in apertura, metallo da cappa e spada che fa concorrenza agli Smoulder. Perché tranquilli, ho citato roba altra che forse vi fa venire l’orticaria a sentirla nominare, ma i Christian Mistress restano un’onestissima banda metal con riff, assoli gagliardi e canzoni da cantare in coro. E dopo aver pubblicato per 20 Buck Spin e Relapse, è stata ora la Cruz del Sur ad accoglierli in casa propria. Chi altri, sennò. Disco che fa un gran bene. Non un capolavoro, ma degno dei precedenti della band e comunque sempre una bella lezione di approccio, semplicità, freschezza. E leggerezza, come forse la intendeva Calvino. Ma con le chitarre elettriche che fischiano e ruggiscono. (Lorenzo Centini)


Non ho mai capito la credibilità e il prestigio attribuiti a Piero Scaruffi. Per me è un generalista bignamico che i dischi non li ha mai sentiti veramente.
Su una cosa ha ragione però, e immagino che la diatriba tra Centini e Bargone riguardi questo. Il riff. La musica metal tutta, a prescindere dai sottogeneri, è costruita, decostruita ed estremizzata attorno a un certo suono di chitarra che prende forma nel riff.
Il rock no, l’hard rock in parte.
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