Sembra metallo ma non è (parte prima): lo strano caso RADIKAL SATAN

Una volta il Barg ed io eravamo fuori dallo Slaughter Club ad aspettare che il concerto di quella sera iniziasse. Si parlava di giubbotti, quelli di jeans con le toppe che il metallaro con tutti i crismi sfoggia ai concerti e più ancora ai festival (anche se poi lo ripone sotto naftalina, ché in borghese si gira diversamente). A girare per il pubblico ad un festival finisci pure per scoprire dei bei gruppi, a guardare i giubbotti altrui, qualche volta anche abbastanza personali e con accostamenti non banali. A me era venuta l’idea di farmi anche io un giubbotto jeans da metallaro, con le toppe cucite, ma di gruppi non metal. Però di quelli che valga la pena far conoscere a qualsiasi metallaro ti incrociasse alla fila per le birre. Non credo ci sia tutto questo mercato di toppe, fuori dal metal, ma certi loghi sarebbero potentissimi. Immaginate una schiena su cui campeggia l’inquietante ed essenziale logo antropomorfo degli Einsturzende Neubauten. E perché non far confrontare davanti, sui due lati del petto, la toppa simil-FIAT dei CCCP con una dei Borghesia o dei Laibach? E i Disciplinatha? E un bel logo dei Magma?

Comunque, dicevo, ero col Barg fuori dallo Slaughter club e gli stavo dicendo questa cosa. Sapete com’è il Barg, persona dall’educazione cristallina e compassata come un gentleman inglese. Mi assecondava, in quella mia digressione sconclusionata, come assecondereste voi quel condomino strampalato che vi blocca sulle scale a parlare di scie chimiche e voi lo lasciate fare cortesemente, perché chissà che non abbia ragione e poi comunque è sempre disponibile a dare da mangiare al vostro gatto quando siete via. Insomma, col Barg non ne ho più parlato, ora invece ne parlo a voi e comincio a raccontarvi di gruppi in qualche modo ancora più estremi e radicali di quelli del “nostro” mondo, ma che metal non sono, manco di striscio. Ma questo non è un buon motivo per non occuparcene o per non cucirne la toppa sul nostro giubbetto jeans.

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Ecco, la toppa potrebbe essere questa

Per cominciare a cucire qualcosa sul giubbotto di jeans pensavo di partire da un oscuro duo argentino stabilitosi in Francia, che ha prodotto dischi con un mix di tango, sperimentazione, noise, collage e tanto altro. Musica da camera ardente. Ma un po’ diversa dal “solito” neo folk o dalle varie derive affini. Un po’ perché con quella scena non è affatto legato, manco (credo) “ideologicamente”. Soprattutto perché le basi sono diverse, geograficamente e musicalmente. Ma in termini di estremismo musicale (e non) ha poco da invidiare a tanti altri settori della scena musicale, più “elettrici” e “neri”. Tanto che mi sembra di aver sentito una volta a proposito di loro una definizione insensata come tango black metal. Insensata, vi dico, ma forse me la sono inventata io sul momento per cercare di impressionare il Barg (cui però per poco non cedeva l’aplomb e che stava per spaccarmi una bottiglia in testa). Però come la descrivereste voi a chi non l’ha mai ascoltata una musica fatta prevalentemente per fisarmonica e contrabbasso sulla quale dei sudamericani invasati e alterati strillano blasfemie in preda al delirio? Progetto iconoclasta e radicale già dal nome. Oggi parliamo dei Radikal Satan.

I due fratelli Amarante, César e Mauricio, nascono a Buenos Aires. Il padre ha un negozio di dischi piuttosto tradizionale che poi sarà ereditato dal loro fratello maggiore, il quale lo trasformerà invece in un esercizio specializzato in metallo estremo. Ai due fratelli minori interessa altro, il free rock, il free jazz… Sperimentano con un quattro piste e con collage sonori elettrici. A un certo punto i due si trasferiscono in Europa, così, senza un soldo. Prima in Italia, dove attendono lo svolgersi del procedimento amministrativo per avere le carte in regola. Intanto campano di espedienti, dormono dove possono, suonano in strada e scambiano i loro strumenti elettrici con un contrabbasso e una fisarmonica, strumenti che non sanno suonare ma che non richiedono l’elettricità, in strada. Poi in Spagna, a Barcellona, dove dormono infiltrandosi di notte nel cantiere di un ospedale. Infine in Francia, a Bordeaux, dove entrano in contatto con la scena sperimentale e anarchica locale che gira attorno all’etichetta Les Potageres Natures. Intanto si sono dati questo nome qui, Radikal Satan, vuoi per scioccare, vuoi per rimarcare una libertà di intenti programmatica, vuoi per evocare una realtà non materiale che pare si sia manifestato in diverse loro esperienze inspiegabili durante gli anni di vita in strada. Strani personaggi, strane apparizioni, cimiteri. Se comprendete il francese, c’è questa intervista qui. Se non lo comprendete, il browser ve la traduce discretamente.

Il primo album è del 2003 e il titolo è già un programma: Visite du Soleil à Satan. Titolo che potrebbe anche essere la didascalia della vecchia foto ricolorata in copertina, opera niente meno che di Georges Meliés, pioniere dell’arte cinematografica. Sul retro invece una foto inquietante: una croce rovesciata, un fauno, una donna vestita di nero che apre le gambe e mostra tutto tranne gli occhi e le vere intenzioni dietro un sorriso che fa paura. Se la pelle è misteriosa e inquietante, il contenuto non è da meno. L’incubo dei due è solo apparentemente mitigato da una presenza femminile, la violoncellista Chichi Vlatko che comunque contribuisce anche con voci, percussioni e sintetizzatori. Percussioni, voci e sintetizzatori di cui si occupano anche i due fratelli Amarante, che per il resto si dividono i due strumenti cardine, fisarmonica (Mauricio) e contrabbasso (César). L’unica cosa che assomiglia a una canzone è il trattamento che riservano a una canzone, appunto, Outta My Head di Iggy Pop. In origine una canzoncina rock innocua e rilassante, trasfigurata qui in un’orgia dionisiaca registrata dal fondo del liquami di una fogna sotterranea. Il resto se possibile è ancora più iconoclasta e blasfemo, cut-up di tango sghembo, elettronica ambientale, pazzi invasati che invocano Lucifero e titoli come Nazimova, Santo Señior de las Tieneblas, Genital Panik e Satanika. Se non è punk questo…

Segue l’anno successivo uno split con una band francese sperimentale (ma meno) chiamata Anarchasis Cloots, che suona in realtà quasi anarco-punk e che mi ricorda un po’ i romani Gronge (quelli di Io Mi Chiamo Giovanni Trapattoni). Nel giugno 2005 invece è il momento di Viento del Este, Agua Como Peste. Titolo malignamente evocativo pure questo e copertina ancora una volta di impatto: un chitarrista e due ballerine di tango con teschi al posto della testa. Sul retro il cadavere di un lupo incaprettato e appeso ad una pertica. Aria pesante anche stavolta. I collaboratori dei due fratelli Amarante sono a questo giro un chitarrista (Thomas Bonvalet) e un clarinettista (Cristophe Ratier). Aria pesante, mefitica. Canzoni non se ne vedono, ma bozze e passaggi blasfemi, come le esplosioni voodoo di Se Incendian. O l’incubo per tastierine di Xpress Bontempi Kerosene. Scampoli di pace e tregua in E allora, pacifico notturno recitato in italiano, ma disturbato da interferenze maligne. La cantilena “la morte viene, la morte va” di Xpress Noir. Il tango nichilista di Periférico. Un disco che vive di episodi, pare più sommesso del chiassoso precedente, ma il livello di pericolosa anarchia esoterica non è molto differente.

Altra storia il disco successivo, uscito verso la fine dello stesso 2005, quindi a poche settimane di distanza. La Fièvre Noire (ancora un titolo pestilenziale) segna un cambio evidente rispetto alle uscite precedenti. Ancora accompagnati dalla chitarra impressionista di Bonvalet (stavolta particolarmente feroce e protagonista) e da qui in poi anche dalle percussioni di Jonathan Burgun, i fratelli Amarante stavolta pubblicano non più un collage caotico di dieci, cento espressioni anarchiche, riprese come fossero tappe di una carovana sbilenca, ma un’orchestrina vera e propria, registrata praticamente in diretta e alle prese con marce particolarmente funebri che si prendono tutto il tempo per dispiegarsi, restando rarefatte e taglienti. Così Prisionero del Vino è una discesa di quindici minuti nell’inferno dell’alcolismo e Barcelona una cartolina tutt’altro che turistica di una realtà ben più difficile di quanto voglia la vulgata. Cambia la modalità ma non la sostanza, l’oscurità resta macabra e rarefatta e non si coagula in vere e proprie canzoni. Fa eccezione una cover, come fu nel primo disco. Stavolta dal repertorio di José Ignacio “Chango” Rodriguez, popolare cantore del folclore argentino (al colmo della sua popolarità condannato per un omicidio e poi graziato da un dittatore sanguinario come Juan Carlos Onganía). Il trattamento riservato dai Radikal Satan a una semplice ballata folk è sconvolgente e, per chi scrive, il vertice massimo della loro discografia, con contrabbasso, fisarmonica, chitarra acustica ed elettrica che avanzano come onde e come onde a tratti restano quieti, per poi esplodere giganteschi e spaventosi. L’interpretazione canora, poi, particolarmente efficace, mentre Bonvalet si lancia in divagazioni post-rock di classe primaria, tra i contrappunti dei due fratelli argentini. E se forse, per ragioni che credo vi siano comprensibili da quanto ho detto, non può essere questo un brano da scegliere per rappresentare l’intera opera di questo progetto sbilenco ed occulto, resta una traccia particolarmente devastante. Un bolero di una potenza inusitata.

Per dare un seguito a La Fiévre Noir i Radikal Satan impiegano tre anni: nel 2008 esce Av Froid Qvi Fait Rovgir, un lungo doppio Lp che torna alla modalità collage, perdendo un bel po’ in termini di follia iconoclasta, ma guadagnando invece una rarefazione cosmica maggiore. Forse un calo, rispetto agli esordi, peraltro di difficile fruizione visto il minutaggio. Ma alcuni brani presi singolarmente meritano la menzione: il ciondolamento notturno di Circa Cinco, la pigrizia folk di Soy Libre e il viaggione quasi-krauto di Los Sueños, simile per certi versi ad una Hémisphère degli Ulan Bator proveniente dal seminterrato di un barrio decadente in cui si celebrano strani riti.

L’hanno successivo (2009) è il turno di Nueva Marginalia, Ep/CDr che costituisce la prima produzione dei due fratelli Amarante a non venire pubblicata dalla Les Potagers Natures e l’unica uscita che potreste facilmente ascoltare su Spotify. Da principio Natacha sembra provenire dalle sessioni di registrazione di La Fiévre Noire, eppure un’opaca luminescente synth-etica si irradia nel finale. Solo che invece di stelle (cadenti) sono banali fuochi d’artificio e canti. Poi Boycot e Doña Isabel, due brani anche convenzionali (per loro), e in coda Cadenas, altro esperimento di reiterazione ed atmosfere ammorbanti e sfiancanti.

Il passaggio successivo è Clochette, uscito nel 2010 in CDr in duecento copie allegate alla fanzine Les Voix Des Sirènes. Non è un album in studio, ma la registrazione in diretta di uno show per tale Radio Bronka. Un live, quindi, con un repertorio di cinque brani già editi eseguiti in circa mezz’ora. La “tenuta” della piccola orchestra malsana assomiglia in parte a quella esibita in La Fièvre Noire (senza comunque il contributo importantissimo della chitarra) e quindi distante dal taglia-e-cuci, modalità spesso preferita in studio. Disco però da non relegare in secondo piano, visto che le tracce si dilatano e quelle che a tratti paiono solo bozze nelle versioni “in studio”, qui si dipanano con meno effetti ma molta, maggiore intensità e un oblio sempre più profondo. Così il ciondolamento di Circa 5 suona meno scanzonato, obnubilato dagli effluvi dell’assenzio, come una passeggiata notturna in una metropoli della Belle Époque popolata di demoni e fantasmi. Peggio ancora (in senso buono) il trattamento riservato a Periférico, dal secondo disco, lenta, sfiancante e lancinata da urla strazianti e malsane. Se per caso, leggendo, avete avuto dubbi sulla reale malignità delle note dei due fratelli argentini, basterebbe questo brano qui a convincervi.

L’ultimo capitolo discografico del duo è del 2012 e si intitola El Incendio Que Se Llevó la Ciudad. Autoprodotto e distribuito gratuitamente in ascolto e download sul web, fate attenzione che su Bandcamp lo trovate, ma in edizione ridotta (cinque brani, 22 minuti). I brani in realtà sono undici e il minutaggio sfiora i quaranta. El Incendio… non sposta più nulla tra le possibilità espressive manifestate dai Radikal Satan e potrebbe quasi sembrare il “solito” disco. Anche qui passaggi tra bozze e atmosfere, ma forse una maggiore propensione alla modalità folklorica latinoamericana pura, quindi chitarre classiche e persino qualche ritmo ballabile, come in Embrujado (anche se capirete dal titolo che non si tratta di un ballo sereno e senza pensieri..). In Lagrimana il folk addirittura dialoga con un’elettronica cosmica minimale, creando una piccola composizione che è invero un gioiello cupo. Altri vertici Estrella del Monte e Gri-gri, particolarmente feroce.

Così termina la discografia, per coì dire, ufficiale dei Radikal Satan. Considerate che fino a qualche anno fa, quando ancora esisteva, era lo stesso gruppo a mettere in download gratuito tutte le pubblicazioni. Oggi si trova pochissimo, salvo cercare con un po’ di pazienza e/o fortuna in altri anfratti del web o procurandosi quel che si trova su Discogs. A proposito, per via di un acquisto compulsivo, io ho due copie di La Fièvre Noire… Vale comunque la fatica della ricerca e, se la musica prodotta non è di certo metal, sicuro per intensità e spesso ferocia ha poco da invidiare a tante band del giro della musica estrema.Dopo la pubblicazione dell’ultimo album, nel 2012, non è che la band si sia sciolta. Effettivamente non so quando sia successo, non è certo gente da comunicati stampa o altro. Innanzi tutto è del 2015 la comparsa su YouTube di un profilo denominato Rue de Loup che contiene solo due video del duo. Il primo è un brano, Castel Sodoma (bel titolo…), che parte con un primo piano di un dipinto naif rappresentante una madonna (una specie di ossessione iconografica, quella dei due argentini). Il secondo è la rilettura, assieme a una cantante turca di nome Canan Domurcakli, di due brani tradizionali del folk anatolico, Ayrilik e Iğdır’ın Al Alması. Rilettura che fa immaginare soltanto (purtroppo) quali sviluppi avrebbero potuto seguire i due, avessero proseguito insieme la storia dei Radikal Satan. Ultima traccia che ho trovato io, invece, una tournée di spalla a King Dude in Russia, nel 2016. Oggi Discogs dà i due fratelli Amarante attivi, ma separati e su progetti diversi. Non so se c’è stato effettivamente uno scioglimento o solo uno sfilacciamento della loro attività insieme. Il sito web non è più online. Le informazioni su di loro scarseggiano. Spero che almeno questo piccolo riassunto possa incuriosire qualcuno in più. (Lorenzo Centini)

2 commenti

  • Avatar di weareblind

    Mamma mia ragazzi, non li ascolterò mai, ma i vostri articoli denotano una capacità e una visione del mio mondo semplicemente paurosa.

    Aglianico del Taburno pagato a tutti, perché veramente sono impressionato.

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  • Avatar di Cattivone

    Provo a dargli un ascolto.

    Dalla descrizione che ne dai dubito che riuscirei a finire di ascoltare una singola canzone,però attitudine da vendere.

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