Recuperone black metal 2024 – prima parte
Oramai è passata Samhain ed è tempo di parlare in modo succinto dei dischi usciti quest’anno che sarebbero stati degni di menzione ma che, per un motivo o per l’altro, sono stati lasciati indietro. Meglio tardi che mai, così magari ve li recuperate anche voi e trovate qualcosa d’insospettabile da segnalare nella vostra poll di fine anno.
Iniziamo con Drawbridge to Citadel of No More Dawn, EP del progetto solista (insieme a due session) del pavese MORCOLAC; il disco è patrocinato da Dusktone e dura circa mezz’ora, quindi diciamo che siamo ai limiti della definizione di mini-LP. È già il loro terzo titolo sul mercato: i primi due li ho trovati gradevoli ma non posso dire di morirci dietro, mentre in questo nuovo episodio ho trovato idee migliori, melodie migliori e una cura migliore negli arrangiamenti. Ci sono più intrecci con il dungeon synth, si riscontrano influenze Summoning ma anche Ungfell, molti richiami alla musica medioevale ibridata con un buon black sinfonico, un cantato convincente in screaming appropriato e non ridicolo, molto spazio ai sintetizzatori, arrangiati ora in modalità clavicembalo ora organo, ora ad orchestra d’archi, insomma un lavoro molto ben fatto e assolutamente degno di menzione. Anche intro (Witchblessed Nightwaltz) ed outro (And in the End we Only Saw the Shameful Rays) sono piacevoli e non avulse dal contesto, cosa che, detta da me, ha del clamoroso.
Echi dei primi Arathorn e soprattutto dei primi Menhir vengono alla mente ascoltando i tre pezzi originali, e poi c’è una cover ben fatta di The Chant of Barbarian Wolves dei Satanic Warmaster, anche se a questo punto avrei preferito un altro pezzo inedito perché avrebbe alzato ulteriormente il valore dell’opera. Per gli amanti dell’epic/pagan/dungeon black melodico non troppo estremo questo è un suggerimento più che caloroso. Un paio di aneddoti da raccontare sul disco in questione: il primo è un “si dice”, una leggenda metropolitana che asserisce che ne sia uscita una versione masterizzata a doppia velocità, poche copie uscite per non si sa bene quale motivo in quel modo. La mia l’ho presa da Dusktone in preordine e suona identica alla versione digitale, comunque se esiste e qualcuno se n’è accaparrata una se la tenga, sono quei dischi che diventano un Sacro Graal tra i collezionisti più estremi. Il secondo è una storia di vita vissuta: il tipo che ha in piedi il progetto, da me incontrato ad un concerto, una volta presentatici mi ha intimato di non recensirgli il disco perché “quelli di Metal Skunk buttano merda addosso ai dischi perché si divertono a fare i rompicoglioni”. Che vi devo dire? Se ne è convinto lui….
C’è poi il terzo full dell’ebolitano F. (Francesco Del Vecchio) e dei suoi TAUR-IM-DUINATH, un pagan/folk/post black melodico che ricorda non poco la struttura dei pezzi di grandi nomi come Fen e Winterfylleth. Evocativo, romantico e crepuscolare, non disdegna affatto di lanciarsi a velocità considerevoli, oltre ad usare con somma sapienza gli intrecci di linee di chitarra che conferiscono al prodotto finale un sentore di teatrale, di tragico, come in una di quelle piéce dove tutto quanto va in vacca e, anche se il pubblico si aspetta un lieto fine, questo non è in progetto e non arriva mai.
I sei brani sono tutti bellissimi, ammantati di gloriose melodie, di atmosfere decadenti e invernali, tanto che non stupirebbe se il disco fosse paragonato a progetti affermatissimi come Enisum o A Répit. Il mio pezzo preferito è il secondo Madre Notte, ma non ci sono cali di tensione o qualità durante i 45 minuti scarsi dell’album, anzi. Ogni volta che ascolti il disco finisci per indicare sempre un brano diverso come migliore, cosa che presuppone un livellamento di ogni composizione verso l’alto. Verso Casa è davvero un bel lavoro, mi rammarico di non avere avuto occasione di parlarvene prima più dettagliatamente ma questo non vuol dire che non dobbiate dedicargli del tempo per recuperarlo. Visto che scrivo per Metal Skunk e quindi sono un rompicoglioni, mi permetto di fare una critica che in realtà è un’inezia, ma tanto vale scriverla: i testi in italiano sono bellissimi, autentiche poesie, ma il cantato in italiano secondo me nel metal estremo non rende. È slegato e difficile da adeguare alla metrica musicale, ma questo vale praticamente per tutti i gruppi che azzardano una simile scelta. La penso così da sempre, non ci posso fare niente. Mi auguro che F. non se ne abbia a male, il suo disco merita solo complimenti.
Ci spostiamo ora in Olanda per parlare del secondo capitolo discografico degli ALBURNUM, già autori di un mini album due anni fa che li portò ad immediata notorietà pur essendo sbucati fuori dal nulla. Quel Buitenlucht fu un disco di sicuro valore e la fama che per merito di quel lavoro è arrivata su di loro è ben meritata. Oggi possiamo godere del seguito: porta l’impegnativo titolo The Withered Roots of Reality, è solo di cinque minuti più lungo del suo predecessore e consta di cinque brani (più intermezzo) al posto dei soli 4 di Buitenlucht. Il genere è rimasto il medesimo, epic/pagan black metal dalle fortissime influenze Menhir, ma anche Andras, e nelle sezioni più nordiche e tirate anche un tocco di Månegarm.
Rispetto ai due progetti italiani soprarecensiti hanno una non indifferente percentuale di folk in più, cosa non derivante per forza di cose da un utilizzo più diffuso di chitarre acustiche, perché è proprio l’impostazione delle composizioni che maggiormente richiama con forza il folk (black metal). Sta di fatto che anche questo secondo loro lavoro è un discone della madonna: melodico ed epico esattamente dove serve, aggressivo quanto basta senza eccedere in insensata violenza che in questo contesto non troverebbe spazio a rigor di buon senso, infuso di piacevolissime melodie ed atmosfere, mai prolisso od eccessivamente ridondante. Sparatevi a palla nello stereo il binomio The Withered Roots of Reality – On the Bones of Pilgrims (i due brani centrali dell’album) e godete appieno degli armonici intrecci di chitarra, della batteria veloce mai velocissima, di eccellenti trame di basso e di un cantato aggressivo e ruspante al punto giusto, mentre il sole scende dietro l’orizzonte e la temperatura precipita verso valori fortemente negativi. In fisico esistono 200 copie in CD e 100 in cassetta, del debutto 75 in cassetta e stop, se questo può interessare i collezionisti. Occhio che musica così è bello possederla non solo in versione effimera, vale per tutti e tre i gruppi ovviamente.
Tre gran bei dischi gente, alla prossima. (Griffar)



