Atomic Sorcery, gli UNHOLY NIGHT e lo speed thrash che viene dal freddo
L’anno è iniziato mettendo il naso tra gli affari della scena sotterranea di Mosca, la metropoli russa, e lo chiudiamo tornando sul luogo del misfatto. Metteteci poi che qua lo speed thrash piace a un mucchio di gente, quasi a tutti. Piace anche a me, che, sapete, ho meno confidenza col metallo estremo rispetto a molti colleghi. Belardi ne è ovviamente un grande estimatore. Ciccio lo usa come ninna nanna per la sua prole. Anche il nuovo acquisto Venturini, un jazzista prestato al death, quando comincia il tupa-tupa-e-vaffanculo si dimentica delle sue terzine sincopate su ritmo in sedici noni e comincia a dare di matto. Insomma, potrebbe essere parecchia la gente che dovrebbe accogliere con gioia l’uscita del nuovo album degli Unholy Night, che avevamo già conosciuto proprio a gennaio. Atomic Sorcery è tutto, per l’appunto, tupa-tupa-e-vaffanculo. Chitarre sparate, attitudine punk, un riff thrash dopo l’altro e tutta una serie di cose che conoscete benissimo perché lo speed/thrash/black è quella cosa lì e spesso per trovare le differenze ci vuole essere pazienti e dotati di uno spirito di osservazione minuzioso come quello di un miniaturista. Però gli Unholy Night hanno Adok alla voce, che urla e scatarra, invece del solito cantante uomo un po’ medio che urla e scatarra. E quella ragazza è una forza della natura. Sbraita che pare la nipotina di Tompa, quando si dà al D-Beat, e di Cronos, quella a cui dava la birra col biberon. Non è che ci sia però chissà che attitudine cazzona o alcolica qua, ma sicuro tanta, tantissima maleducazione punk. Quella che poi le vecchiette in metro si spaventano.

Ora, nulla contro le vecchiette, anche la mia età sta avanzando, non sono più un ragazzino, però avete capito che intendo. Intendo quell’attitudine frega-cazzo che sta alla base del punk, del metal e quindi del metal/punk. Poi se non ve la sentite di spaventare una vecchietta random perché è simpatica e vi ricorda vostra madre fate bene, eh. Specie se siete già sugli “anta”. Questi qua però in pratica sono poco più che ragazzini. Sì, il chitarrista è in comune coi Deathwind, che sono ragazzini pure loro. Già si fanno valere da un po’, però, gli Unholy Night. Singoli, Ep, uno split a quattro in cui figurano pure quei Black Knife incontrati di recente. Questo è il primo album e sì, ci sanno fare, poco altro da dire. Solo scapocciamenti per poco meno di mezz’ora. Il suono non è buttato lì, manco per finta. Anzi, registrato bene, mixato bene, suona comunque ruspante ma esplode bene bene in cuffia. Tupa-tupa costante, ma i pezzi hanno dei ritornelli, alcuni gagliardi. E i riff a volte sono più punk, a volte hanno un pizzico di perfidia slayeriana che è la spezia migliore che possiate immaginate per una pietanza del genere. Da servire bollente.

Ecco, io a Mosca ci sono stato tre o quattro volte. Due di queste era in inverno. Anzi, la prima era a fine dicembre. Esco dall’aeroporto, è buio e penso di non aver mai avuto tanto freddo in vita mia. Mi caricano in macchina, attraversiamo autostrade e viali che ci mancavano i lupi siberiani, mi portano in casa. Dentro fa trenta gradi, riscaldamento centralizzato statale sparato al massimo. “Mi siedono” a tavola con davanti zuppa borsch bollente e un bicchiere pieno di cognac russo. Un brindisi. Da meno venti a più cinquanta in un battibaleno. Non ho mai avuto tanto caldo in vita mia. Ecco, lo speed thrash e questo disco qui fanno questo effetto. Bruciano subito e infiammano. Combustione immediata. Incoscienza. Certo dovrebbe essere fico incontrarli su un palco. Magari meglio d’estate, quelle estati su a nord che becchi magari comunque trenta gradi ma il sole sembra non volerne sapere di tramontare. Giù nel mosh pit a spaccarsi i denti. Qua ci sono otto pezzi-scheggia perfetti per scapocciare e dimenticare l’istinto di auto preservazione. Tutte gagliardissime, ma la migliore è proprio l’ultima, Boogie on the Grave, riff fenomenale, gran finale, quando sono venticinque minuti che stai ascoltando solo tupa-tupa e parte quel pezzo che è ancora più tupa-tupa e ti fa venire voglia di averne di più, di cominciare da capo. Che con lo streaming online è facilissimo, basta un tastino, una spunta. Dal vivo gli Unholy Night promettono di saperci fare. Chissà se gli regge di risuonare la scaletta due/tre volte di seguito come viene voglia di fare quando li ascolti su disco. Gran disco. Per me, quest’anno, in campo speed/thrash o metal/punk (fate voi), di meglio non ne ho sentito. (Lorenzo Centini)
