Evocare i Grandi Antichi con i TOUGHNESS (e i CONVEYOR)

Ho aspettato due anni. Per pura pigrizia, lo ammetto. La prima avvisaglia che i Toughness fossero una cosa da prendere estremamente sul serio la ebbi quando sentii il promo pubblicizzato dalla Godz ov War, implacabile etichetta di tutto ciò che è estremo. Avete presente la Napalm Records? Ecco, concettualmente questa etichetta di Varsavia è l’esatto opposto. Penso che ci siamo capiti. I Toughness, dicevo. Il promo: tre pezzi che annunciavano l’imminente o quasi The Prophetic Dawn, di ormai due anni fa esatti, a ‘sto punto. La copertina era molto simile a quella del demo Thy Kingdom Come dei Morbid Angel, e quella fu la prima, fortissima associazione mentale. La musica però era totalmente nuova e inclassificabile, almeno per me. Un misto tra Morbid Angel dei primi anni Novanta con qualcosa dei Demilich qua e là? La mania di comparare e classificare è una brutta cosa, lo so.

Fattostà che i Toughness sono una boccata di aria fresca in mezzo ad una scena in cui bisogna sempre stare attenti e cercare di evitare la plastica pura e le furbate hipster che mandano in sollucchero le cosiddette “menti pensantì” del metallo, e che solitamente l’unica cosa che riescono a procurarmi è un immenso sbadiglio e la sensazione di stare sentendo una gran fuffa di cui alla fine non rimane nulla.

I Toughness sono tutto tranne che dei vecchi scorreggioni, attenzione. E non mi riferisco necessariamente all’età, considerando che l’età media è piuttosto bassa qua (Dio li benedica). The Prophetic Dawn è semplicemente uno dei dischi più interessanti e fuori dagli schemi che potessero uscire e che possiamo considerare puro death metal allo stesso tempo. Un sentore di sotterranei e grotte ammuffite dove si celebrano riti bizzarri atti ad esaltare divinità innominabili che si poteva sentire su roba come (attenzione al paragone) Blessed are the Sick, con una “forma-canzone” veramente non scontata e gli assoli spesso lasciati al bassista, un giovane talentuoso che al secolo risponde al nome di Ziemowit Chalciński. Ma non solo quello: anche un certo stile visivo e un amore per l’arte in svariate forme, come si evince dall’artwork e dai testi, astratti e a tratti onirici.

Ecco, astratto e onirico sono i due aggettivi che in maniera più preponderante mi vengono in mente pensando a questo gruppo polacco. Sembrerà ad alcuni che la stia sparando grossa ma fidatevi: i Toughness sono gli unici che, in trent’anni e passa, mi hanno anche lontanamente ricordato i primi ascolti della banda di Trey Azagthoth agli inizi degli anni Novanta. Le stesse sensazioni arcane, uno stile molto fuori dalla norma imperante all’epoca e un alone di mistero e quasi di misticismo difficilmente replicabili. È stato quasi come addentare una madeleine di proustiana memoria.

Due degli attuali membri del gruppo (il chitarrista/cantante Bartek Domanski e il già menzionato Ziemowit) poi, sono due terzi di un’altra sorprendente banda, che per gusto e intuizioni musicali può essere accostata ad (attenzione ancora una volta!) Atheist, Pestilence e quanto di meglio sia mai uscito dalla scena techno-death mondiale. I Conveyor sono infatti un progetto parallelo con all’attivo un disco del 2018 intitolato An Incarnated Abstraction, che vi consiglio caldamente: altra copertina d’artista e una scaletta che pesca nei suoni più tradizionali dei primi anni Novanta, evitando le cose posticce e facendolo con un gusto per nulla banale e una sana dose di death metal classico mista a una vena surrealista che rende questo disco un’uscita da non sottovalutare assolutamente. Ancora una volta non roba da fighetti, ripeto, ma manifestazione genuina di artisti giovani con idee già chiarissime.

Ho ricevuto informazioni che danno il nuovo album dei Toughness quasi imminente, e secondo me ne vedremo delle belle, visto che essendo praticamente sconosciuti fuori dai loro confini non avranno la pressione di azzeccare il prossimo album e far contenti i soliti parrucconi a tutti i costi. Se mi trovo a fare mente locale mi rendo conto che sono uno di quei pochi gruppi di cui al momento mi chiedo in maniera genuina “cosa faranno dopo?”, che è una domanda rara di questi tempi in cui si copia o si conquistano gli ammiratori con le scorregge nello spazio e le tastierine retrò, che fanno tanto brillante e “illuminato”. (Piero Tola)

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