Gli Slayer che ci possiamo permettere: VICIOUS BLADE – Relentless Force

I Vicious Blade, americani, dallo stato della Pennsylvania, hanno in bacheca un pugno di materiale rilasciato dall’inizio della pandemia in poi, e pubblicato solo ed esclusivamente nel formato EP. Il quale è ufficialmente tornato di moda da una quindicina d’anni, potremmo dire. Relentless Force è il primo album vero e proprio, e il rodaggio cui il quintetto si è sottoposto ha avuto esiti che definirei curativi. Sembrano ora dei veterani, il suono emerge come è doveroso che emerga, i riff sono da crash test e la scaletta non presenta segno di cedimento alcuno. Eppure le foto promozionali non indicano esattamente dei pischelli, ecco.

Alla voce figura Clarissa Badini, con quel cognome da vicesindaco di Pontassieve, abilissima nel vomitare causticità alla Holy Moses o, mascolinamente parlando, alla Sadus e Sacrifice. È però un po’ meno abille quando si cimenta in un inutile, piatto eppur facinoroso growl.

I Vicious Blade corrispondono all’aggettivo slayeriano in tutto e per tutto. I riff sono i loro, e, in occasione dei rallentamenti mid-tempo, mostrano un certo spessore in virtù dell’alchimia fra le chitarre di Jeff Ellsworth e Erik Wynn. C’è un pelino di hardcore punk nascosto da qualche parte, ma non si palesa mai del tutto. Visceral Weakness aggiunge un pizzico di metal estremo alla ricetta, con quel riff iniziale che scimmiotta ora i God Dethroned e ora direttamente il black metal. Curiosa anche Forged Steel, che passa improvvisamente a uno speed metal puro, come se di colpo gli Slayer tornassero quelli dei tempi di Die by the Sword, Tormentor o al limite Captor of Sin. Tutto pienamente in voga oggigiorno con gli Hellripper – e pochi altri alla stessa altezza – solidamente al timone della scena europea.

La sensazione è che l’album possa piacervi, qualora desideraste una versione un minimo estremizzata ed europea degli Slayer di Christ Illusion. Con qualche accenno di vecchissima scuola sparso un po’ ovunque, il che non guasta mai. L’introduzione alla Tom G. Warrior di Nocturnal Slaughter, il riffone strutturato di Scorched, il ritornello di Death Blow i tre punti di forza nel trittico finale che chiude un album privo forse di un picco di monumentale bellezza, ma in cui, allo stesso tempo, non c’è niente di niente che annoi. Tranne quel titolo da generatore automatico. (Marco Belardi)

2 commenti

  • Avatar di weareblind

    Musicalmente notevoli, speriamo cambino cantante.

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  • Avatar di Lillo

    passabili, con un altra voce potrebbero puntare ad altre tonalità che probabilmente gioverebbero, Schorced per gusto personale il miglior pezzo, ma di base sono il classico gruppo derivativo.

    tra un mese mi sarò dimenticato di sto dischetto

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