Ian Hill si è completamente dimenticato di Tim “Ripper” Owens

Si tende a scordare che Ian Hill è l’unico membro fondatore rimasto in attività nei Judas Priest. Nel 1970 la prima incarnazione della band prese forma per mano di tre membri dei Freight: il bassista, oggi settantatreenne, Kenneth Downing Junior, che tutti voi rammenteranno nella celebre forma abbreviata, e il batterista John Ellis. Reclutarono Al Atkins alla voce e la storia, in qualche modo, partì.

Recentemente Ian Hill, ai microfoni di Chris Akin Presents, che tanto per cambiare è uno youtuber, si è messo a elencare i passi falsi dei Judas Priest lungo più di mezzo secolo di onoratissima carriera. Con una dimenticanza più che probabilmente voluta. La domanda che ha suscitato il lungo monologo, terrore notturno di tutti i traduttori d’interviste, è stata la seguente: “Ci sono album di cui tu e i compagni vi siete pentiti?”

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A ruota libera, non senza aver citato qualche formazione del Castel di Sangro del 2008, Ian Hill è naturalmente partito dagli storici Point of Entry e Turbo, asserendo come il titolo uscito nel 1981 altro non abbia rappresentato che il primo passo indietro nella discografia dei Judas Priest, procedendo in una direzione volutamente “commerciale”, seppur con tutte le buone intenzioni del caso. L’album, ha continuato Ian Hill, “ha ricevuto recensioni molto contrastanti”. Quanto a Turbo il bassista nativo di Birmingham non ha espresso un parere indicativo di risentimento:

“La Roland era uscita con dei guitar synth pazzeschi in un momento in cui avremmo tranquillamente potuto tentare di realizzare, giocando sul sicuro, un altro Defenders of the Faith. Sentivamo che il nostro processo evolutivo era giunto al termine, così abbiamo subito pensato che la direzione da intraprendere fosse quella. Ci ha fatto perdere un sacco di fan e ce ne ha fatti guadagnare moltissimi, ma il bilancio alla fine è stato positivo. Dopodiché siamo tornati a pestare duro, e i titoli già li sapete”.

Ian Hill ha proseguito che in carriera un paio di passi falsi ci sono stati. Nostradamus – ha aggiunto – è stato un qualcosa di necessario per noi per toglierci dagli schemi consueti. Un disco da ascoltare tutto d’un fiato, profondo, un grande album heavy metal. Non suoniamo mai niente dal vivo dalla tracklist di Nostradamus proprio perché non contiene niente che potrebbe migliorare la scaletta di un concerto, singolarmente. Poi finisce che scontenti un sacco di gente, che sacrifichi un classico”.

Negli anni passati K.K. Downing aveva ampiamente celebrato l’album in questione nel corso di svariate interviste. Oggi conosciamo un ulteriore punto di vista su Nostradamus ad opera di un membro fondatore – e tuttora in attività – dei Judas Priest.

Mi sovviene un unico dubbio: se Ian Hill non cita Demolition è perché gli piace davvero, o perché a settantatré anni suonati si è completamente scordato di aver bevuto un paio di Moretti al bar con Tim “Ripper” Owens e subito dopo avergli urlato cose ingenerose contro? (Marco Belardi)

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