Splendidi quarantenni: BATHORY –st
Stefano Mazza: Verso la fine del 1984 uscì un disco strano e inquietante, con un logo in caratteri gotici che si faceva fatica a leggere e in copertina un caprone che emergeva dall’oscurità dello sfondo, fissandoti con due occhi rossi, quasi a tessere un nerissimo filo conduttore con una canzone di quattordici anni prima:
Figure in black which points at me […]
Big black shape with eyes of fire
Ebbene, di questo caprone, di chi ci fosse dietro a questo disco e chi suonasse, non si sapeva nulla, anche perché nel retrocopertina non c’erano foto dei musicisti e non c’era altro nome indicato al di fuori di Quorthon e del produttore ‘The Boss’. Così come i Black Sabbath nel 1970 fecero nascere una cosa enorme che oggi identifichiamo come il metal, nel 1984 Bathory fece esplodere definitivamente la guerra del metal estremo, fatta di velocità, suoni aggressivi, voce urlata e immaginario horror satanico. Non fu questo disco da solo, non è mai un singolo evento che può scatenare un intero movimento, ma Bathory rappresentò una singolarità talmente intensa da accelerare moltissimo l’evoluzione dell’heavy metal nei suoi sottogeneri più estremi, death e black sopra tutti. Fece anche capire che in Scandinavia stava succedendo qualcosa di interessante e che il metal da quelle parti poteva prendere forme molto distanti da quelle degli Europe o di Malmsteen.
Come si può leggere in molte pubblicazioni, Thomas Forsberg, il genio dietro il nome Quorthon e il progetto Bathory, ebbe l’opportunità di registrare l’album grazie a una sessione improvvisata in studio. L’album fu composto in tutta fretta, dopo pochissime ore di prove e con mezzi al di sotto dell’amatoriale, persino per il 1984: un amplificatore da 20W venne usato sia per la chitarra che per il basso, una batteria striminzita e un mixer a quattro piste, in un garage senza alcuna insonorizzazione e senza riscaldamento, cui sopperivano la dispersione elettrica della strumentazione e il calore umano. Incisione e missaggio richiesero complessivamente due giorni. Tutte queste sono soltanto curiosità, ma fa riflettere che uno dei massimi capolavori del metal estremo venne realizzato così, senza alcuna pretesa e senza tempo per pensarci tanto sopra: è soprattutto per questo che suona violento, diretto, nichilista e malvagio. Il suono caratteristico, affascinante e crudo, che molti ammirano, fu in gran parte il risultato di limitazioni tecniche e di una mancanza di strumentazione adeguata.
Proprio grazie a queste difficoltà, in Bathory troviamo distillata una purezza musicale unica, priva di artifici e assoluta nella sua brutalità. Le chitarre sono ronzanti, con un suono assottigliato e freddo, mentre il basso viene usato per dare profondità sonora: in questo disco assume un ruolo portante, acusticamente parlando, e svolge almeno una delle funzioni per cui è nato. La batteria è talmente minimale e ripetitiva che molti si chiedevano se non fosse una drum machine. Questo dubbio rimase anche per gli album successivi, però oggi sappiamo che qualche batterista nei Bathory c’è sempre stato e che questo effetto era voluto. Quanto allo stile musicale, i riff suonano simili a quelli dei Motörhead, ma sono molto più accelerati; in alcuni casi suonano proprio frenetici. Ci sono pochi assoli e nessuna concessione all’aspetto virtuoso e tecnico, che invece sembrava stesse prendendo il sopravvento in molte evoluzioni dell’heavy metal degli anni Ottanta. Quorthon preferì un andamento più austero e distaccato, che creava un’atmosfera fredda e inquietante.
Ad aumentare l’effetto straniante ci sono la famosa introduzione Storm of Damnation, che dura più di tre minuti, e l’ancor più celebre outro The Winds of Mayhem, che si ritroverà in quasi tutti i dischi successivi del gruppo. Il cantato aveva le caratteristiche di quello che oggi chiamiamo screaming, all’epoca era paragonabile alla voce dei Venom, ma era ancora più gutturale e caustica. Venne spontaneo paragonare i Bathory ai Venom, con cui avevano in comune l’aggressività barbarica, l’incisione lo-fi e l’estetica satanica, tuttavia Quorthon dichiarò di essersi ispirato per lo più al punk inglese, soprattutto ai Charged GBH e a The Exploited e di non aver mai ascoltato i Venom, almeno all’epoca del suo primo disco. Sembra strano, a posteriori, ma non è impossibile dato che i suoi amici dell’epoca confermano che Thomas provenisse dal punk e, in ogni caso, è un dubbio che siamo destinati a tenerci. A proposito di generi, oggi si tende a dare per scontato che l’album Bathory sia un precursore fondamentale del black metal, ma Quorthon ha sempre preso le distanze da questa idea:
“Qualcuno mi ha spiegato che la scena black metal di oggi si è ispirata ai Bathory; com’è possibile? I Bathory non fanno black metal, i Bathory sono un gruppo che ha suonato death metal, poi epic metal e viking metal, ma non ricordo di aver fatto un solo disco black! Sono contento di essere un’influenza per qualcuno, ma non capisco come!”
(Da Fabio Rossi, Bathory. La band che cambiò l’heavy metal. 2021)
Sono parole forse ironiche, forse polemiche, comunque in effetti a suo tempo i Bathory erano i Bathory, venivano considerati un caso a parte ed è corretto continuare a ritenerli tali, al di là di qualunque tassonomia musicale si stia usando per analizzarli. Bathory è un album nato dal caso e dalla necessità, è frutto di passione e di fortuna, è soprattutto un’opera di gioventù, per cui suona autentico, energico e spontaneo. La sua atmosfera grezza e primitiva è una conseguenza della produzione ed è un tratto distintivo che lo ha reso eterno. Bathory resta un’opera d’arte rarissima, un tesoro oscuro che ha definito un’epoca e continuerà a ispirare generazioni di metallari.
Luca Venturini: Il metal in Svezia agli inizi degli anni ’80 era rappresentato dagli Europe e poco altro. C’era una piccolissima scena crust punk, di cui gli Anti Cimex erano i più famosi, ma la mancanza di fanzine serie rendeva difficile a loro e alle altre band essere conosciute a livello nazionale, figuriamoci all’estero. Gli stessi Europe tra l’altro, fino almeno all’82, non avevano ancora davvero sfondato. È in questa desolazione che un giovane punk di nome Thomas Forsberg, a causa di problemi scolastici, fu obbligato ad aderire ad un programma rieducativo che lo portò a lavorare nello studio di registrazione dell’etichetta Tyfon, dove peraltro lavorava suo padre, Börje Forsberg, che avrebbe fondato più avanti la Black Mark. Ma torniamo indietro.
Thomas era un punk, e l’influenza che ebbe su di lui il primo disco dei GBH fu, per sua stessa ammissione, fondamentale. Come lo furono l’energia dei Motorhead e le atmosfere dei Black Sabbath. Questi sono gli ascolti che portarono il ragazzo a comporre la sua prima musica. Trovare gente con la quale suonare fu la sfida iniziale. I due componenti che reclutò, Jonas alla batteria e Frederick al basso, volevano suonare per lo più sullo stile di Iron Maiden o Saxon. Ma Thomas voleva andare oltre, essere più estremo. Intanto facevano qualche concerto, bevevano molta birra e cazzeggiavano, per lo più.

Un Quorthon diciassettenne con la fidanzata Katarina Huldt, autrice dell’urlo nella traccia The Return of Darkness and Evil
Poi arrivò il destino. Gli Europe vinsero un concorso, il Rock SM, organizzato da un ex manager della CBS, ramo internazionale della major americana Columbia e uno dei più importanti network televisivi degli Stati Uniti. Di fatto, una roba ultracommerciale, che però regalò un’esposizione mediatica rilevante ad un gruppo che, allora, veniva considerato metal. Fu sulla scia di quell’interesse per il rock più duro che la Tyfon decise di chiamare un po’ di band e registrare una compilation nella speranza di tirar su quattro soldi. Contattò gruppi svedesi e finlandesi pressoché sconosciuti e uno di questi si tirò indietro all’ultimo momento. A quel punto si fece avanti Thomas, convincendo i disperati capi dell’etichetta svedese che il suo gruppo era perfetto per rimpiazzare i dimissionari. Nello spiegare il genere che suonava si mantenne sul vago e la Tyfon accettò a scatola chiusa, senza aver mai sentito una sola nota del trio. Durante la prima sessione di registrazione suonarono The Return of Darkness and Evil. Quel pezzo, insieme a Sacrifice, finì sulla compilation. Poi Jonas e Frederick mollarono la band. Quelle due canzoni però si rivelarono le più apprezzate da parte di chi comprò il disco, che ebbe un buon successo. La gente inviò molte lettere all’etichetta chiedendo di quel gruppo, i Bathory. E così i vecchi volponi della Tyfon, che per inciso non era dedita solo al punk ma anche al pop e ad altra roba commerciale, decidettero che era ora di fargli incidere un intero disco. Sempre nella speranza di ricavarne dei soldi, non per altro.
Mandarono Thomas a registrare letteralmente in un garage con una cifra irrisoria. Lui nel frattempo aveva rimpiazzato i membri, ma non c’erano distorsori per chitarra, e la batteria aveva un solo piatto. Il budget era limitato e dovettero sbrigarsi. Il registratore era un otto piste fatto in casa. Il nastro fu fatto girare a velocità dimezzata creando il ronzio di sottofondo. Potrebbe sembrare un espediente per creare un certo tipo di sound ma non lo era. Era una roba fatta coi piedi. Registrazione e missaggio si fecero in poco più di due giorni. La copertina fu un’operazione muciaccica. Il fu Thomas Forsberg, da qui in avanti definitivamente Quorthon, ritagliò pezzi da vari fumetti horror e li assemblò. In tipografia chiese che la foto fosse stampata in oro, ma costava troppo, per cui gliela fecero gialla. Per i nomi dei titoli delle canzoni non acquistò abbastanza lettere c del font scelto e le sostituì con le s. Ecco perché Necromansy. Al momento della stampa non aveva foto della band da inserire nel libretto. Ne furono stampate circa mille copie. Bathory era stato creato. Una merda, secondo il suo creatore. Praticamente il disco aveva tutto per diventare un esordio disastroso. Invece non lo fu. Il disco andò in ristampa quasi subito e i giornali esteri, come Kerrang!, ne parlavano bene. Passò tuttavia del tempo prima che il successo dei Bathory potesse avere influenza in patria. La Svezia non aveva fanzine serie, al contrario della Norvegia o anche della Danimarca. La pietra d’angolo però era stata posata. Il resto è storia.
Scrivendo questo pezzo riflettevo su una cosa. I Bathory sono nati indirettamente dal successo degli Europe. E se, ai giorni nostri, il successo dei Maneskin facesse la stessa cosa? Se si creassero, indirettamente quindi, le condizioni per la nascita di un nuovo genere di musica estrema? La storia dei Bathory ci insegna che tutto può essere. Io, per mia natura, ho una speranza incrollabile nel futuro. Spesso ci si lamenta, il sottoscritto per primo, di come il metal abbia perso vitalità, abbia perso l’anima e che tutti i gruppi odierni siano solo dei surrogati storpi di quelli gloriosi degli anni passati, che non ci sia originalità. A mio parere, l’originalità è un mito. Esistono delle più o meno interessanti variazioni su tema, piuttosto. Gli stessi Bathory erano una variazione su tema che univa punk, Black Sabbath e Motorhead. Il metal è vivo e non ha perso alcuna anima. Se così non fosse sarebbe ridicolo andare in giro a definirsi metallari.







Lo ritengo IL disco più importante degli ultimi 40 anni, ciò che il primo Black Sabbath è stato un decennio prima. Certo, Quorthon farà di meglio (della prima trilogia per me Under the Sign of the Black Mark non si batte), qua c’è il capro…e il capro ha sempre ragione.
Viva Quorthon e viva Bathory
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Articolo di alto livello e complimenti agli autori.
La riflessione di Luca la trovo interessante e la condivido pienamente. Lo scrivevo già qui sopra anni fa e vedo che qualcun altro (senza fare nomi, solo cognomi: Russo) se ne sta accorgendo.
C’è una nuova generazione di ragazzi che ascoltano e assimilano metal con una passione, una voracità e una voglia di spaccare il culo al mondo che fa paura. Magari fanno percorsi “formativi” accelerati e con modalità inversa rispetto alla nostra generazione. Ma sti cazzi. Per dire: molti di noi cominciarono col classic metal e il thrash, per poi virare sull’estremo. Purtroppo ci sono anche gli uranisti del power europeo, vero. Eravate delle sordide culatte sbrodolone, sappiatelo. Ma poi invecchiando ci si omogenizza, insomma, a quarche incrocio ce se becca comunque. Emblematico che i miei gusti attuali siano più simili a quelli di un Ciccio (l’ho fatto il nome) o di un Belardi piuttosto che di un Griffar. Tiè, ultimamente me trovo pure d’accordo cor Pelato della Majella (‘ggia dio… incredibile).
Sti ragazzotti invece cominciano col black, si spostano sul post-punk, arrivano al death, al doom e poi ai classici meno classici, diciamo. Perché col cazzo che ascoltano i Metallica o i Maiden. Col cazzo. Si rendono conto che anche in quel periodo c’era roba molto meglio. Solo che per noi era, all’epoca, molto meno accessibile. Ascoltano vecchie cose dei Judas Priest e dei Magnum, Satan, Warlord, Metal Church, Diamond Head, Ufo, Black Sabbath, Mercyful Fate, Pagan Altar, Saxon, Omen, Riot, Danzig, Manilla Road, Witchfinder General, Bathory, eccetera, eccetera. E hanno meno paura di noi nello sconfinare, nell’osare. Il problema è che si chiudono in cameretta quando non vanno ai concerti. E comunque suonano poco dal vivo, insieme, in qualità di band vera e propria. Uscite de casa e incontrateve, cazzo.
Comunque si percepisce che qualcosa bolle in pentola. Daje.
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“Si rendono conto che anche in quel periodo c’era roba molto meglio”. Se “quel periodo” è il 1984, anno di uscita di “Bathory”, allora no, non c’era roba molto meglio di Metallica e Maiden.
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Se me lo avessi chiesto anche nel 1988, avrei risposto come te adesso. Niente di meglio di Metallica e Maiden, nel 1984.
Ma se avessi dovuto rispondere alla domanda già un lustro più tardi (diciamo nel 1993), avrei risposto meglio i Mercyful Fate, i Possessed e i Judas Priest. Guardando sempre a quei primi anni 80, ovviamente.
Tenendo fuori i Rush degli anni 80, che amo tantissimo, oggi ti dico che preferisco i primi Trouble, Cirith Ungol, il primo dei Metal Church o Battlecry degli Omen; e ci metto pure Pyromania dei Def Leppard. E parlo solo della prospettiva 1984, eh.
Se dovessi espandere il discorso agli anni 80 ti direi ben altro ancora. Ma no, non ci metterei mai Metallica e Maiden. Ti ci metto Peace sells…but who ‘s buying, intanto. Così a buffo.
Sia chiaro che sto totalmente nella mia prospettiva e sto trascurando l’importanza storica.
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Ciao Fanta, a mio modesto parere, la situazione è più complessa e non riguarda solo i ragazzi. È anche una questione di locali, di giornali e, a monte, del sistema culturale e scolastico della nazione dove nasci. Se, banalmente, gli stati investissero sui loro artisti e sui programmi del doposcuola è probabile che qualcosa venga fuori. La stessa Svezia all’ epoca dei fatti dell’ articolo investì molto su sale prove, programmi musicali e incentivi all’ acquisto degli strumenti musicali. Quorthon è stato mandato a lavorare in uno studio di registrazione esattamente da un programma statale di inserimento dei giovani che a scuola facevano fatica. Potrebbe non bastare, per carità, ma l’ essere abbandonati a se stessi, al contrario, non aiuta.
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Sì, assolutamente. È una questione culturale. Un dato significativo: in Svezia le scuole per diventare maestro di uno strumento, per svolgere la propria funzione di insegnamento a scuola, esistono da circa 140 anni. Il nesso che tu individui con intelligenza tra Europe e Bathory si inserisce entro un contesto già ricettivo e orientato a promuovere la dimensione artistica musicale.
Qua da noi ancora si suonano le nacchere, per dire. Con tutto il rispetto eh, ma fino a qualche anno fa si faceva un’ora di musica a settimana nelle scuole medie inferiori. Al massimo strimpellavi una diamonica, ma poi usavi il tubo di insufflazione per sputarci dentro, farlo roteare in aria e annaffiare i compagni. E questo non perché eravamo solo dei coglioni. Ma perché si capiva benissimo che a quell’ora di musica non credevano manco i docenti. Era già svalutata e svalutante per chi si riduceva a prendersi a flautate sul muso.
I Maneskin non stanno alla cultura musicale italiana come gli Europe a quella svedese.
Ma apprezzo molto il tuo discorso. Ripeto.
Alla fine sta ad altri contesti, non istituti dal mandato sociale, fare da cornice a chi vuole formare una band. E quei contesti vanno costruiti, non sono “dati”. E per costruire qualcosa serve incontrarsi, anzitutto.
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Sul.disco e sui i Bathory non dico nulla , perché la storia si studia non si critica. Vi inviterei a soffermarvi sull’importanza dei primi platterd ei GBH per la scena metal estrema.
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Che articoli meravigliosi, complimenti. Un defender.
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Ero troppo piccolo quando uscì, lo scoprii molti anni dopo quando Quorthon se ne era già andato, mi stavo avvicinando al Metal estremi, avevo già ascoltato un bel po’ di roba, ma le emozioni che mi suscitò il primo ascolto di Hades le ricordo ancora nitidamente. Un disco puro avete scritto, ed anche registrato di merda. Seminale.
Grazie di cuore Quorthon.
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Nel 1984 si poteva ‘conoscere’ il metal tramite le ultime quattro-sei pagine di Rockerilla e era più facile procurarsi dischi degli Iron Maiden e Metallica,a meno che uno non abitava in una grande città .Ci si arrendeva subito e si indirizzavamo gli ascolti su generi più facili da trovare.Ho scoperto i Bathory più tardi con Quorthon che faceva espressioni idiote ,con due ossi di prosciutto,sulle pagine di HM.Ritengo che sia meglio che il Black Metal l’abbia inventato lui ,piuttosto che ragazzini svalvolati assassini e distruttori di opere storiche.
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La merda liquida fatta musica e gli scemi ci vanno dietro
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