L’autunno inizia e infonde mestizia: 40 WATT SUN – Little Weight

Era da un po’ che mi stavo convincendo che certo doom avesse più di qualcosa in comune con lo slowcore, quella frangia del post-rock tutta arresa su tempi lentissimi e mestizia dilagante. Sai che originalità, il mio pensiero, quando avevo sotto gli occhi la carriera di Patrick Walker, che dalla dissoluzione dei doom-esistenzialisti Warning ha condotto tutto un percorso più mesto e dimesso ancora, abbassando di molto il volume delle chitarre dei suoi, successivi, 40 Watt Sun. Che per l’ovvia credibilità del musicista godono di un profilo su Metal Archives non suonando più di fatto metal. E se cercate in giro il nome della band con la formula “similar to” l’algoritmo, che per fortuna non ha per ora cuore né testa, lo lega solo ad altri nomi doom, per quanto ovvi, tipo Pallbearer, Jesu e Ahab. Ci sta, ma come al solito viene fuori la rigidità stupida degli steccati, perché, davvero, Red House Painters, Low e Codeine sono sullo stesso prato. Che sarà pure prato inglese, ma pare tanto una prateria del Midwest. Bene, inquadrati li abbiamo inquadrati, i 40 Watt Sun, che saranno un gruppo ma sembrano la terapia di un uomo soltanto e che son dolorosi, dolorosi parecchio. E che giocano sull’alternanza tra grazia e dolore. Dove la grazia comunque è quella che si manifesta buttando gli occhi su uno splendido paesaggio di campagna, tra un pianto e l’altro. Oppure si manifesta quando sul fondo della bottiglia ne è rimasta poca, ormai, di panacea. Beh, la formula, per i più coraggiosi di voi, è quella di arpeggi lenti, distorsioni contenute, basso e batteria molto contenuti, ma presenti. E una voce che potrebbe non piacere, un po’ nasale, un po’ acida, forse. Ci sta che non piaccia, di primo acchito, forse, ma valeva anche per i Warning.

Però non si può dire che non sia espressivo, Walker. Anzi… non si può dire che anche il lato più sgraziato del suo cantato non sia funzionale. Ecco, per dire, tipo Bonnie “Prince” Billy: arriva meglio il disagio, il dramma, se la voce non è sempre ben calibrata, perfettamente melodica. Se traspare, insomma, un’emozione che mette in crisi la forma. La forma che è quella della canzone. Per quanto lenta, di forma-canzone si parla, piuttosto tradizionale e negli sviluppi anche emozionante. Riguardo al suono generale, se i dischi precedenti (come Perfect Light del 2022) non riuscite a dire che sono proprio il vostro calice colmo di sangue preferito, con le loro delicatezze e raffinatezze, sappiate che Little Weight, il disco di quest’anno qui, è più asciutto, conciso, anche nel minutaggio complessivo. Ma per contro la chitarra suona più elettrica e una distorsione, lieve ma non troppo, contribuisce ad increspare il quadro generale. Sembra quasi un fantasma del doom dei Warning, a momenti. E quindi il suono, per gente come noi che cerca sempre almeno un po’ di sporco, è più digeribile/potabile. È bello, anzi, caldo, ha un carattere intimo e le relazioni tra le poche, lente note e tocchi dei tre strumenti amplificano gli scenari drammatici, mesti, dimessi infusi dalle melodie vocali.

Perché, come dicevo, questo qui è un disco di canzoni e di melodie, farina del sacco di Walker, che gestisce saggiamente gli sviluppi lenti dei brani, insistendo sulle monotonie dimesse delle strofe iniziali, per poi inserire quasi in ogni brano uno scarto emotivo, una svolta, un cono inaspettato di luce a schiarire la notte, a far vedere con maggior chiarezza il cammino che si sta(va) conducendo al buio. Le liriche sono cupe, depresse. Immaginate che Closer to Life, una splendida canzone d’amore, direi, esplode emotivamente con questi versi qua:

Only tonight, I realise
You’re closer to life than I am.

Emotivamente impegnativo, Little Weight, anche se di metal non ce n’è e di distorsione non abbastanza per appagare la vostra sete sanguinaria. Ma è un disco buio, di quelli che si abbinano meglio con quel periodo in cui torna la pioggia, si accorciano le giornate, il freddo manda via le zanzare e voi vi crogiolate col pensiero che il mondo sta per morire pure quest’anno. (Lorenzo Centini)

2 commenti

  • Avatar di Ameelus

    Il precedente, Perfect Light, ha girato e gira ancora parecchio nelle mie orecchie, sempre grato a non ricordo chi li segnalò in calce parlando dei The River, altro gruppo notevole da te segnalato l’anno scorso per la rubrica autunnale e sempre per il genere che un carissimo amico definisce “cantantini inglesi tristi” (quel suffisso -core fa davvero troppo modernità).
    Quest’altra definizione invece la rubo direttamente da un commento a caso su bandcamp che trovo perfetto: “uplifting sadness”.
    Aiutatemi, sto diventando un vecchio malinconico.

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  • Avatar di Federico

    Disco notevole.
    Non so ancora stabilire se forse superiore al precedente proprio per questo ritorno alla distorsione o per la sintesi maggiore.

    Patrick Walker è speciale.

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