Mai titolo fu più esatto: SCALD – Ancient Doom Metal

Le aspettative erano per lo meno contrastanti. Ma tutto va contestualizzato, in fondo: quanti davvero conoscono l’immenso Will of the Gods is Great Power? Quanti si sono letteralmente persi tra le sue note e quanti invece se le sono semplicemente perse? Il metallo epico, e in particolare il doom epico, è materia per pochi, in realtà, troppo pochi. E quello degli Scald, sfortunatissima e colossale band russa, non è certo il nome più famoso. Anche tra i gloriosi 24 lettori di Metal Skunk non saranno in molti a conoscerli (qualcuno di quelli che stanno alzando la mano già lo conosco). Però non è discorso di essere più bravi perché si conoscono gruppi più sconosciuti, più underground. Quel tipo di protagonismo lo lascerei da parte. Una volta, quando non c’era internet, eri oggettivamente più figo perché conoscevi più roba sotterranea, magari avendo accesso a robe che adesso si danno per scontate ma che all’epoca raramente (o mai) finivano nelle riviste. Mentre ora la gara è a chi conosce il demo del gruppo della Manciuria dal momento esatto in cui è finito su Bandcamp (se arrivate secondi siete nessuno).

Comunque, nel ’97, della tragica vicenda degli Scald penso in Italia fossero al corrente in pochi (io ovviamente no): una band della periferia russa che si avvicina a Manowar, Bathory e Candlemass procurandosene i dischi al mercato nero, che per registrare il suo capolavoro si avvale di fonici che mai prima avevano registrato metal e che si scioglie prima dell’uscita del disco a seguito della morte misteriosa del suo dotatissimo cantante, Maxim “Agyl” Adrianov, trovato lungo la ferrovia con una ferita alla testa. Il tempo (talvolta con l’aiuto di internet) comunque è galantuomo, e, come Jerusalem/Dopesmoker è diventato il monumento riconosciuto che ora è, avendoci messo qualche anno più del dovuto, così Will of the Gods is Great Power, per una platea ben più ristretta (parliamo di pochissime migliaia di ascoltatori mensili, secondo Spotify, per quanto vale), ristampa dopo ristampa, ha potuto affermarsi come una pietra miliare per il (sotto)genere.

Fin qui la storia. Venendo al presente, relativamente parlando, nel 2021 vi avevamo già dato notizia non solo del riformarsi, oltre vent’anni dopo la dipartita di Agyl, della formazione originale, completata da Felipe Plaza Kutzbach (Procession, Capilla Ardiente, Solstice, Destroyer 666) dietro ad un microfono che deve scottare tantissimo. Vi avevamo detto anche della prima anticipazione del nuovo corso, There Flies Our Wail!, invero non inclusa nell’album che ha visto luce invece questa estate. Intitolato Ancient Doom Metal. Così, semplice e magniloquente in una volta sola. Un nome che devi riuscire a permetterti, ovvio. E quindi, tornando all’inizio, le aspettative erano per lo meno contrastanti. Da un lato esaltazione, perché, quando dei musicisti hanno già prodotto qualcosa di grandioso, è naturale volerne di più. Dall’altra però paura dovuta a una lacuna non colmabile (se avete ascoltato la voce di Agyl, e a questo punto della recensione spero che come minimo abbiate premuto un tasto play da qualche parte, sapete a che livelli assurdi di espressività arrivava il giovanissimo cantante russo) e per la maniera moderna di fare dischi. Ovvero scriverli, produrli, registrarli. Sull’inevitabile confronto pesante cui non può sottrarsi il cileno Plaza tornerei dopo.

Ora, ci tengo invece a dire subito (dopo solo cinquecento parole già spese) che è riguardo la seconda “preoccupazione” che, ascolto dopo ascolto e in crescendo continuo, Ancient Doom Metal rivela di essere un disco bellissimo e antico. Antico davvero. Chiaramente ha un suono moderno (fortunatamente niente plastica). Ovviamente di polvere, ruggine, imperfezioni ce ne sono poche. Però suona Antico lo stesso, sia perché (e questo è il risultato) trascina quasi immediatamente in un tempo sospeso, in una dimensione eroica e barbara che sostanzia valorizzandolo il concept vichingo che c’è dietro l’Opera dei nostri, sia perché (e questa è la modalità) è sostanzialmente scritto nella stessa, meravigliosa maniera di Will of the Gods… Ovvero: lente processioni di riff solenni, atmosfere meste che crescono piano piano, dando tempo e spazio a melodie fosche di dispiegarsi, di farsi sempre più drammatiche e presenti. In pratica tirando al limite la forma canzone perché diventi Epopea, puramente, senza arrivare però a sfilacciarla in una stasi morbosa e immobile come avviene nel funeral doom. Insomma, nella musica degli Scald è appunto l’Epopea ad essere al centro, imperiosa, drammatica, nel senso di dramma vero e proprio (e vista la storia del gruppo…). Quindi Ancient Doom Metal è sicuramente un disco bellissimo. Quanto portare avanti l’asticella del “superlativo” lo lascio decidere a voi, non perché non mi lascerei volentieri andare, quanto piuttosto per non equivocare circa il fatto che Will of the Gods… è comunque qualcosa di non ripetibile e quindi non ripetuto, vuoi anche per tutto l’incredibile alone di leggenda che si porta dietro, pur essendo un piccolissimo disco di una piccolissima band della periferia dell’Impero. Mentre gli Scald di oggi sono musicisti (ed individui) di maggiore esperienza e molto meno isolati (e si sente).

Però siate tutti perfettamente onesti con voi stessi: cos’altro potevate aspettarvi di più dagli Scald, oggi? Anzi, il fatto che abbiano fatto un disco bellissimo, ma soprattutto degno della loro storia, e che non l’abbiano scalfita minimamente, ma proprio minimamente, è davvero il massimo che si poteva sperare. E anzi, la cosa migliore, inaspettata quasi, è che non c’è nessun dubbio che questi Scald qui, quelli del 2024, siano i veri Scald e non una pantomima, un travestimento, una barzelletta. Ognuno può fare quel che vuole, in generale. In particolare, ognuno può fare ciò che vuole di quel che è suo, che ha prodotto. Se un gruppo vuole rimettere in piedi un nome glorioso con qualche rattoppo per capitalizzare ancora qualche stagione di tour e concerti, liberissimo di farlo. Se vuole pubblicare musica nuova e metterci un vecchio logo, lo faccia pure. Io, magari, nove volte su dieci mi dico che potrebbero farlo senza sfruttare la vecchia ragione sociale. Ma non è questo il caso. Per niente. E nessuno può mettere in discussione la credibilità di questo disco qui.

Quindi ecco, veniamo a Felipe Plaza. Bravissimo cantante, ottimo frontman, chiaro che sostituire Agyl non è, come dire, prendere il posto di Eric Adams, di Ozzy, di Halford. Certo che c’è comunque una certa responsabilità nell’ereditarne il ruolo e Plaza questa responsabilità la gestisce benissimo, cantando come sa fare lui senza travisare nulla, ma proprio nulla, della poetica perduta del cantante deceduto nel ’97. Non lo imita, non si può certo dire che lo faccia rivivere, ma ne segue le orme, ne consolida tutta la struttura melodica che si dispiega melodia dopo melodia, con continuità vera. Nessuno confonderebbe la sua voce con quella di Agyl, ma pochi possono dubitare del fatto che, se Agyl avesse potuto partecipare a queste registrazioni, probabilmente sarebbe arrivato a melodie molto simili, alle stesse successioni dolenti. E quando Plaza piazza un paio di falsetti, un paio in tutto, pur non essendo diciamo il meglio che possa dare, non suona nemmeno come piaggeria, ma come una forma di restauro, conservativo e rispettoso, di una forma espressiva perduta. Insomma: Plaza, oltre a un’interpretazione sentita, molto sentita, ci mette un bel contributo di credibilità e onestà nei confronti degli ascoltatori di oggi e dei seguaci di un tempo.

Molto altro da dire sul disco non ce ne sarebbe, eppure si potrebbe parlarne ancora per giorni. Un mezzo miracolo, insomma. Gli Dei, dall’alto delle montagne, delle nuvole o dal basso delle profondità oceaniche, sicuro possono ritenersi soddisfatti. Figuriamoci noi. (Lorenzo Centini)

7 commenti

  • Avatar di Ameelus

    So say we all.

    Condivido anche punteggiatura, spazi e con molta probabilità tutto quello che hai pensato ma non scritto.

    A questo punto lecito sognare, visto che siamo stati omaggiati da un insperato nuovo e addirittura ottimo disco, di vederli su un palco.

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  • Avatar di Bantha

    la musica non la commento perche si commenta da sola, ottimo doom-epic come dai tempi dei candlemass migliori… Ma la voce ragazzi anche no, é una stecca continua, nonostante abbia una bella tonalità é una sofferenza arrivare alla fine del brano!

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  • Avatar di Lettore

    Non so ancora come sia l’ album ma lo saprò presto ma so è stato un bel leggere, l’ articolo, interessante, diverso, quindi bello. Accade sempre più raramente e con l’ AI tra un po’ non capiterà nemmeno più. Chapeaux.

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  • Avatar di ipercubo

    Ok che a volte si voglia parlar bene a tutti i costi e per partito preso di un album, ma il panegirico di questo cazzone alla voce anche no. Fa cagare il cazzo e rovina completamente l’album.

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  • Avatar di Gaizok

    Che cantante di merda, ma siamo seri dai

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  • Avatar di Fanta

    Il cantante non ha un cazzo che non va. È piuttosto bravo. Al limite potete dire che non gradite la timbrica ma tecnicamente è ineccepibile.

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  • Avatar di Fredrik DZ0

    a me non pare per nulla terribile, anzi appropriato per il genere.

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