Là dove non batte il sole: NILE – The Underworld Awaits Us All
I Nile al proprio esordio hanno contribuito a definire il death metal moderno, verso la fine degli anni Novanta. Poi hanno avuto un periodo più classico, mentre di recente sono stati manieristi di loro stessi. Ci hanno anche fatto temere una svolta troppo sinfonica, con cori e archi, che li avrebbe definitivamente sepolti come le civiltà estinte di cui tanto ci parlano, ma comunque hanno continuato a suonare a modo loro e di questo bisogna rendergliene atto. Durante tutto l’anno scorso ci hanno informato che stavano lavorando a qualcosa di nuovo, era chiaro che ci fosse un nuovo album dietro l’angolo, che ricordiamo è il decimo della carriera del gruppo. Poi è arrivato il singolo col titolo chilometrico: Chapter for Not Being Hung Upside Down on a Stake in the Underworld and Made to Eat Feces by the Four Apes, che se da un lato ha destato perplessità e umorismo facile per via dell’argomento fecale, dall’altro ci ha messo davanti una canzone davvero sorprendente: la partenza è irruenta e brutal, poi diventa molto dinamica nel ritmo, con anche qualche stop & go. Del resto, quando si rilascia come primo singolo una canzone che s’intitola Capitolo per non essere appesi a testa in giù su un palo negli inferi e costretti a mangiare feci dalle quattro scimmie bisogna essere estremamente sicuri di quello che si sta facendo, ma i Nile riescono ad essere credibili come soltanto loro possono essere, perché è una canzone veramente devastante.

Ancora più potente e sfasciaossa si è rivelato il secondo singolo To Strike with Secret Fang, anche più semplice nella struttura, e già siamo a due ottimi brani prima ancora di avere in mano l’album. Arriva un terzo singolo, poi infine il 23 agosto esce The Underworld Awaits Us All che si conferma essere la rivelazione che ormai ci aspettiamo tutti: è pieno di energia, di cambi di tempo, di soluzioni armoniche, di grandi idee, di spessore musicale, insomma è un album bellissimo, che possiamo considerare un ritorno alla migliore forma dei Nile. C’è qualche coro di troppo nella seconda metà dell’album, ma tutto sommato non toglie troppo alla qualità generale e sono interventi che si possiamo perdonare come voglia di enfasi e di drammaticità. La formazione del nuovo disco è composta dai soliti Karl Sanders e George Kollias, da ben due chitarristi aggiuntivi, Brian Kingsland (già presente in Vile Nilotic Rites) e Zach Jeter, Dan Vadim Von al basso, prestato dai Morbid Angel, dove però suona la chitarra e difatti qui non si sente proprio se non come mero raddoppio delle chitarre. La produzione è molto buona ed è una delle migliori che si siano sentite per i Nile. Come sempre avviene, è ammirevole il lavoro concettuale dietro al lavoro dell’album, sia musicale che testuale. Chi compra il CD o il vinile, potrà leggere le dettagliatissime note che Karl Sanders ha curato per spiegare ogni brano. Apprendiamo che Stelae of Vultures è un famoso monumento sumerico del periodo protodinastico III, commissionato dal re Ennatum dopo la vittoria della sua città Lagash sulla rivale Umma.

– E dove vado?
– Là, dove vuoi andare? Là… dove andate tutti quanti. Oggi tocca a te, domani a lui, domani a questo, uno alla volta ve ne dovete andare.
La canzone col titolo più lungo e più straniante dell’anno che abbiamo già citato è invece tratta dal Libro dei morti egiziano, testo che viene puntualmente consultato da Sanders per ispirare le sue composizioni. Ci spiega che lo apre a caso e se il capitolo che ha trovato gli piace, lo usa per scriverci un testo. Questa volta è toccato alla sgradevole punizione che il titolo ben descrive e Karl ci indica anche i testi che ha letto durante lo studio. To Strike with Secret Fang è dedicata alla setta islamica degli Assassini, che fu attiva fra l’XI ed il XIV secolo nell’attuale Iran. Naqada II Enters the Golden Age si occupa della cultura predinastica fra il 3650 e il 3300 AC. The Pentagrammathion of Nephren-Ka è uno studio sulla “scala di Nephren-Ka”, ideata da Sanders, che ce la descrive come “una scala Locria senza il sesto grado”. Chi sa qualcosa di musica, saprà più o meno cosa intende. Chi non sa, in questo caso s’attacca al cazzo e procede oltre, ma comunque il brano strumentale acustico è bellissimo e lo si può apprezzare anche senza sapere nulla di questi argomenti. Se poi sapete che Nephren-Ka è un faraone inventato da H.P. Lovecraft, apprezzerete ancora di più. Overlords of the Black Earth è stata ispirata da un disegno su una maglietta e da una conversazione avuta con una egittologa, anche abbastanza avvenente (questo lo dico io dopo aver fatto una ricerca, discreta e accurata). Under the Curse of the One God parla dell’influenza del cristianesimo sull’antica religione egizia, già sincretizzata con la cultura greco-romana. The Doctrine of the Last Things parla delle credenze di reincarnazione e di resurrezione di alcune correnti della religione egiziana. True Gods of the Desert è stata ispirata da un racconto di R.E. Howard, L’altare e lo scorpione (1967), appartenente al ciclo di Kull di Valusia. The Underworld Awaits Us All parla della concezione della morte degli egizi ed è anche una riflessione personale sulla fine della propria esistenza. Lo so che vi state toccando i maroni, ma tanto toccherà anche a voi. Infine, Lament for the Destruction of Time è stata scritta da Brian Kingsland. Inizialmente doveva avere un testo di Sanders, ovviamente, ma era troppo lungo ed è stato eliminato. Lo so che è un riassunto lungo, ma fidatevi che ho fatto del mio meglio, Sanders è una specie di saggista. A proposito, se lo volete sentire, qui c’è un’intervista di un quarto d’ora dove parla di questa nuova uscita.
In conclusione, i Nile sono tornati con un album veramente bello e ammirevole: potente, tecnico, fantasioso, dinamico, sorprendente, che si candida a diventare uno dei migliori della loro carriera, ce lo ricorderemo.
The true home is the underworld which awaits us all.
(Stefano Mazza)
