Cavalcando verso la prossima battaglia: intervista agli ORDALIA
Gli Ordalia sono uno storico gruppo originario di Catania e hanno recentemente fatto molto parlare di sé dopo la pubblicazione nel 2023 di Odes for Victory, che è il loro ultimo lavoro ed è un bellissimo album epic metal, che ha riscosso un notevole successo nel nostro ambiente. Il gruppo si formò nel 1987 col nome di No Rules. Incisero il primo demo nel 1989 e il loro stile era un power metal all’americana con influenze thrash e doom. Poi, nel 1991 virarono verso l’epic metal e cambiarono nome in Ordalia. Il primo album vero e proprio, intitolato The Return of the King, arrivò molto tempo dopo, nel 2000, dove diedero prova di essere rimasti dei maestri del genere, ispirandosi ai classici del passato, ma dimostrando al tempo stesso una capacità compositiva brillante, variegata e personale. Odes for Victory procede in questa direzione e ha già lasciato un segno importante nel panorama metal, unendo riff potenti e solenni a suggestioni più crepuscolari e introspettive. Questa fusione di stili, già distinguibile in passato, è ancora più bilanciata e conferisce al nuovo album una profondità e una varietà che lo rendono molto intenso e coinvolgente. Come avrete capito, non si può non amare gli Ordalia. Per nostra fortuna, stanno lavorando ad un nuovo album, che si intitolerà Ordalia, e così, nell’attesa che esca, facciamo un po’ di chiacchiere con i tre musicisti del gruppo: il chitarrista Mario Di Prima, il batterista Maurizio Caltanissetta e il bassista cantante Manlio Greco.
Allora, ragazzi, siete soddisfatti di com’è andato Odes for Victory?
Mario: Assolutamente sì, molto!
Manlio: Dopo la pausa lunghissima che ci eravamo presi, è andato anche meglio delle nostre aspettative.
Vi aspettavate questo successo?
Manlio: In parte sì. Per fare Odes for Victory ci abbiamo messo tutto l’impegno possibile ed è bello vedere che questo impegno sia stato premiato.
Mario: Quando lo abbiamo composto lo abbiamo fatto come se fosse un punto finale di arrivo, il nostro testamento musicale, una una cosa tipo: “Chiudiamola qua, facciamo qualcosa di definitivo”. Nelle nostre intenzioni, doveva quindi essere la chiusura di un percorso lunghissimo. Quando si scrive un testamento non si lascia fuori nulla, ci si mette tutto il possibile e devo dire che siamo rimasti pienamente soddisfatti del risultato, fin da subito. Non speravamo però nel successo che il disco ha avuto, ovvero non credevamo di fare sold-out in meno di un anno, anche se le copie che avevamo stampato erano poche. Non pensavamo di suscitare tanto clamore, non in questa misura.
Manlio: … Anche considerando un periodo in cui vendere la copia fisica di un disco non è così usuale come lo era un tempo.
Maurizio: L’album è anche presente su tutte le piattaforme digitali e lì i numeri sono anche maggiori rispetto alle vendite fisiche.
Com’è considerato secondo voi oggi il vostro genere, l’epic metal?
Mario: Comincio io, perché l’argomento mi sta molto a cuore. Per la visione che ho, il termine “metal” come lo viene inteso oggi è troppo generalista, viene usato per indicare molte cose diverse: basta una chitarra distorta col palm muting ed è subito metal. Heavy metal secondo noi è una cosa differente, ha un proprio stile preciso, possiede un aspetto compositivo e strutturale tipico, è un genere storico come lo è il blues. Poi può variare da paese a paese, da periodo a periodo, ma rimane un genere preciso. Se vuoi lo puoi anche contaminare, come è successo in altri ambiti, pensiamo sempre al blues o ad altri stili musicali che si sono ibridati, ma alla fine il nucleo del genere resta tale. Io da ragazzino, negli anni Ottanta, mi sono avvicinato all’heavy metal proprio per la componente fantascientifica, fantasy, orrorifica che negli altri generi (pop, dark, wave, gothic, etc.) non c’era, mi sembravano proprio carenti e li sentivo piatti, morti, mi sembravano una riproposizione del rock’n’roll anni Cinquanta, modernizzato con i synth del sistema british e con motivetti semplici, per arrivare a canzoni di facile consumo, che duravano una stagione e poi finivano. Dall’altro parte, l’heavy metal ha una componente molto forte nella scrittura e nelle tematiche che racconta. Ascoltare un disco heavy metal è quasi come leggere un romanzo. Allo stesso tempo, non basta suonare con un 200 watt valvolare per essere heavy metal, non è così che funziona. Per noi le basi fondamentali del genere sono due: da un lato i Black Sabbath e dall’altro i Judas Priest. L’heavy metal è confinato fra queste due entità: ti muovi ti muovi, giri giri, ma queste sono le basi, se stiamo parlando di heavy metal. Poi lo stile e le tematiche possono variare, c’è chi va sul bikeristico, altri sull’occulto, altri ancora sul satanico, poi si va nell’horror, nel fantastico o nel fantascientifico… Se non ci sono queste accezioni è solo rock, rock pesante magari, ma non è heavy metal. Questa è la visione che ho dell’heavy in generale e in particolare dell’epic metal, che è tutto fuorché un facile ascolto. È una cosa epica ed è tragica, è mortalmente tragica, come è sempre stata l’epica letteraria, del resto, fin dalla sua nascita. l’Iliade è grande perché è tragica, perché l’eroe muore. Se l’eroe sopravvive non è un eroe, non c’è epica. Guerra e morte sono i suoi temi.
Maurizio: Non c’è mai lieto fine.
Mario: Non c’è lieto fine, altrimenti tanto vale cantare “Tanti auguri a te”, buon compleanno e tutto finisce bene. Adesso però lascio la parola agli altri perché mi sono lasciato infervorare…
Manlio: Per darti un’immagine di come noi intendiamo l’heavy metal, ti dico che il nostro pomeriggio tipico è scrivere i brani a casa di Mario, che è letteralmente tappezzata di libri fantasy, heroic fantasy, horror, oppure libri di storia, dato che fa anche il professore. In pratica Mario sta con un libro aperto, da cui prendiamo brani e suggestioni: la nostra canzone nasce dal libro, non da materiale musicale. Per tutti i brani di Odes for Victory abbiamo utilizzato questa routine, anzi stiamo migliorando questo processo creativo, perché sembra che abbia funzionato molto bene. Ci lasciamo prendere da queste storie, che sono drammatiche e tragiche come si diceva prima, spesso ci sono riferimenti storici realmente accaduti, oppure usiamo storie universalmente note, per esempio quelle del ciclo di Re Artù. È l’emozione della storia che fa il brano, poi la nostra difficoltà è riuscire a rendere quello che abbiamo letto in poche parole e farle coincidere con il riff adatto.
Maurizio: la preparazione di Odes for Victory è avvenuta come diceva Mario in materia molto intima, ci siamo ritrovati dopo il lungo periodo di pausa e tutto è avvenuto abbastanza spontaneo: Mario ci ha dato l’ispirazione dei riff e i testi che avevamo poi sono stati rivisti anche con Manlio, il quale ha sostituito Martin [Romero Handu de Coix, il cantante precedente]. Tra tutti e tre io sono il più strumentista, quando componiamo io mi concentro maggiormente sulla sensazione immediata che mi dà la musica che sto suonando, sull’adrenalina che percepisco suonando la batteria accompagnando Mario e Manlio. Devo dire che sono rimasto sbalordito dal risultato che abbiamo ottenuto con questo metodo. A parte il successo, proprio il fatto di aver messo insieme un album se posso dirlo strepitoso, dopo una lunghissima pausa. Ce lo meritavamo!
Molto interessante questo processo creativo: voi partite da una suggestione esterna alla musica, che solo successivamente convertite in materiale musicale
Mario: Assolutamente si! Abbiamo un soggetto che condividiamo, appena ce l’abbiamo chiaro lo convertiamo in suono. Per noi è come creare un linguaggio per chi non parla la nostra lingua: dobbiamo arrivare a comunicargli le nostre sensazioni, le nostre immagini, nella maniera più intensa e diretta possibile, anche se non legge il testo. Se riusciamo a comunicare le nostre suggestioni attraverso la musica, allora abbiamo scritto una buona canzone. Se non ci riusciamo … Abbiamo fatto un pezzo rock qualunque, ma il rock è dagli anni Cinquanta che gira, vuole dire che non abbiamo aggiunto nulla di nuovo. Non è facendo tagli e cuciture con altra roba che si sperimenta secondo noi, ma realizzando un’opera personale, sincera e ricercata.
Le vostre ispirazioni, sia musicali che letterarie, mi sembrano evidenti, ma volete comunque dire qualcosa delle vostre passioni?
Manlio: Noi tre abbiamo dei gusti molto compatibili, sia in termini di musica che in altri ambiti, poi magari ciascuno ha dei modelli a cui s’ispira maggiormente. Quando componiamo un brano non abbiamo neanche bisogno di metterci d’accordo su come dev’essere, ma ognuno partecipa e contribuisce con quello che ritiene possa rendere il brano migliore e arriviamo alla conclusione unendo il contributo di tutti e tre.
Maurizio: Siamo solo in tre, ci mettiamo d’accordo facilmente…
Mario: Una cosa importante da ribadire sulle nostre ispirazioni è che per noi tre è del tutto assente il cosiddetto power metal europeo, di origine tedesca, quello alla Helloween per intenderci. Quando diciamo power metal noi automaticamente intendiamo le band americane degli anni Ottanta, come Omen, Liege Lord, Vicious Rumors, Metal Church, Manilla Road, perché siamo cresciuti con quel tipo di sonorità. Quello che si intende generalmente oggi come “power metal” è lontano dal nostro rifermento musicale.
Certo, è il power metal delle origini, che si usava per indicare un certo modo di suonare heavy metal, più intenso e veloce, non quello che si è stilizzato dopo la fine degli anni Ottanta
Mario: Esattamente, è l’heavy metal tradizionale con gli steroidi, all’americana. Pensa agli Omen: sono gli Iron Maiden stragonfi di steroidi.
Avete detto più volte che avete realizzato questo disco dopo un lungo periodo di assenza. In effetti suonate da molto tempo: cosa significa restare nella scena per quasi quarant’anni? Cos’è rimasto e cos’è cambiato nel frattempo?
Manlio: Posso rispondere io che sono la persona meno adatta? Io non ero presente nella formazione fino a Odes for Victory, anche se conosco Mario da quando avevamo due anni a testa. Quasi nella culla insieme. Anche Maurizio lo conosco da un sacco di tempo, ma non così tanto. Abbiamo fatto i primi lavori musicali insieme ai tempi del demo Mormegil (1997), perché gliel’ho registrato io, poi ci siamo rivisti altre volte per suonare insieme, ma non di continuo. Per esempio c’è stata una piccola parentesi nel 2004, poi basta, non devi pensare che abbiamo provato e suonato per tutti questi anni. Siamo rimasti fermi per molto tempo, poi ad un certo punto ci siamo rivisti e abbiamo detto: “.. Adesso suoniamo insieme” e in quel momento tutti sapevano già cosa volevamo fare, anche se ciascuno di noi aveva avuto esperienze personali molto diverse. Per esempio, io avevo suonato una band di tutt’altro genere per 15 anni, un gruppo di musica celtica medievale, a sfondo tolkieniano, comunque l’ambito era sempre vicino ai temi epici e fantastici. Questa cosa comunque non ci ha snaturato, semmai ha raffinato i gusti di ognuno nel frattempo. Quando abbiamo deciso di tornare a suonare insieme, abbiamo fatto rinascere gli Ordalia originari, senza cambiare lo stile o il suono, anche perché ci piaceva quello. Tutti noi siamo rimasti sulla scena per quarant’anni, separatamente, poi quando è arrivato il momento di riformare gli Ordalia ci siamo resi conto che era come se ci avessimo rimuginato sopra fino al momento giusto. Abbiamo tre vite molto diverse, con impegni molto diversi, ma ci siamo ritrovati.
Maurizio: Durante questi quarant’anni di attività nella scena siamo stati costretti a cercarci un lavoro, perché con la musica era difficilissimo vivere, a Catania come in tutta Italia. Abbiamo avuto questa lunghissima pausa durante la quale ci siamo distaccati dal mondo musicale e poi quando Mario ci ha riproposto di riprendere gli Ordalia io ho avuto qualche tentennamento iniziale, perché mi ero allontanato dalla musica, ma poi è stato tutto facile, veloce e bello. L’album Odes for Victory lo testimonia, perché è stata una cavalcata veramente eccezionale, anche ci ha dato la possibilità di rivivere l’esperienza di entrare in studio, di incidere, di risentirsi musicisti.
A proposito, voi siete di Catania. La scena catanese è sempre stata uno dei punti di riferimento per l’underground italiano, voi come vi ci trovate?
Mario: Catania ha questa nomea, addirittura negli anni Novanta se ti ricordi ci fu il periodo in cui venne definita “la Seattle d’Italia”, come se il movimento underground musicale fosse così ricco e variegato, ma la realtà era diversa. Quando ci chiamavano No Rules negli anni Ottanta anche noi siamo rientrati in quel periodo d’oro della Catania heavy metal. In città, gli Schizo sono stati i primi a realizzare un demo nel 1985 con il batterista Marcello Rapisarda dei Tronos, gruppo tanto rinomato quanto di fatto mai visto. Poi Alberto Penzin, a cui riconosco delle grandissime capacità organizzative, mise su la Thrashcore Records, che non era proprio un’etichetta discografica, ma era una produzione dove lui come direttore artistico metteva sotto la sua egida gruppi storici come gli Incinerator.
Poi da un lato è vero quello che dici, ovvero che Catania fosse un punto di riferimento, ma quello che è successo realmente è che tutti questi gruppi, Schizo compresi, sono stati costretti ad andare via. I primi sono stati proprio gli Incinerator che si sono trasferiti a Milano. Quanto poi alle possibilità di suonare in locali, eventi, festival, radio, a Catania sono mancate del tutto. Un gruppo poteva avere una certa importanza, ma se fa un disco ogni due o tre anni e poi non ha dove suonare …
Maurizio: … Non hai la possibilità di proporti, non dico di viverci, ma nemmeno di divertirti un po’. All’epoca tranne rari casi non c’erano spazi in cui suonare, non c’era nulla, alla faccia della “Seattle d’Italia”. C’erano gruppi e gruppetti che suonavano, però mancava una struttura che supportasse la musica in genere.
Mario: Per dare manforte a quello che dice Maurizio, fondamentalmente Catania è la città dei REM… Il cosiddetto “underground alternativo catanese” s’ispira quel british pop synth a quel tipo di musica che va dai Depeche Mode ai Sonic Youth, ma bene o male la radice, per quanto lontano possa sembrare, è quella. Fai roba alla Hüsker Dü? Allora sei alternativo e funzioni, fai roba che ricorda Steve Albini? Allora funzioni, sei alternativo, ti vengono fatte proposte. Fai heavy metal di qualunque sottogenere? Suoni nei centri occupati.
Quindi al di là di quei gruppi e di quei musicisti che si sono fatti notare, il territorio più di tanto non li ospitava e hanno dovuto prendere altre strade.
Mario: Esattamente. Poi il sogno di ogni musicista, soprattutto se suona un rock così viscerale come l’heavy metal, dopo aver inciso, è farsi una tournée e suonare sul palco, sentire il calore della gente. Se questa cosa non ce l’hai, ti viene a mancare, hai fatto il disco e non sai dove suonare e i mesi dopo passano, tutto si spegne.
Maurizio: È quello che è successo anche a noi…
Mario: Si, è quello che è successo anche a noi, perché se fai un disco e riesci a suonare dal vivo, a sentire il pubblico che spinge, diventi carico, ti vengono le idee, tutto funziona meglio, perché hai un riscontro diretto dalla gente. È diverso da ricevere recensioni positive, interviste, comparire sulle radio, che sono tutte cose positive, ma il campo da gioco, nella musica rock in genere, è il palco. È lì che si vede chi sei. Se invece non hai dove suonare, oppure sei addirittura costretto a mettere i soldi per suonare, come succede ultimamente, non si può fare. La passione, per quanto forte sia, sparisce. Noi poi siamo estranei al mondo musicale, da ogni punto di vista, perché ognuno di noi fa un lavoro che ci da la possibilità di vivere la nostra nuova stagione musicale in totale libertà. Anzi, è l’unica cosa in cui ci sentiamo liberi, perché nessuno ci può dire nulla. Per noi suonare è pura passione e divertimento, non dobbiamo dimostrare nulla a nessuno, non dobbiamo ringraziare nessuno, non dipendiamo da nessuno. Se abbiamo qualche soldo da parte possiamo decidere di fare un disco. Oggi tra l’altro i costi sono molto diminuiti rispetto al passato, quando dovevi contare ogni minuto di sala di incisione, oggi per fortuna non è più così.
Maurizio: Se vogliamo fare un disco lo possiamo fare. Abbiamo anche la fortuna di avere un esperto nella band, Manlio, che è un mago del mixaggio, i suoni e la post-produzioni li ha fatti tutti lui.
Mario: Manlio è il nostro stregone musicale…
È un grande vantaggio… Ma a proposito, parliamo del prossimo album, Ordalia, a che punto siete con il materiale?
Manlio: abbiamo finito i primi due brani e abbiamo già iniziato a lavorare sulla maggioranza degli altri, ma ci manca quel lavoro di approfondimento e rifinitura di cui parlavamo prima. Magari peccherò di insolenza, ma diciamo che con Odes for Victory abbiamo scherzato, perché i primi due brani di questo nuovo disco secondo noi sono devastanti: abbiamo aumentato l’intensità, c’è ancora più epic, più doom, più power (sempre all’americana). Stiamo riuscendo a ottenere esattamente quello che volevamo. Tieni presente che quando abbiamo inciso Odes for Victory venivamo da un periodo enorme di inattività, per cui, nonostante l’entusiasmo e l’energia che ci abbiamo messo, era un primo lavoro dopo tanto tempo. Questo nuovo Ordalia è già un secondo lavoro, siamo più allenati, per cui siamo partiti dalla premessa di Odes for Victory per realizzare qualcosa di ancora più rifinito.
Mario: siamo partiti forte…. Avevamo il modello fresco in mente e pensiamo che il ferro vada battuto finché è caldo: continuiamo a lavorarci per farlo diventare sempre più nostro, più personale e man mano che ci lavoriamo emerge sempre di più il genere che vogliamo fare, che diventa più levigato…
Maurizio: … Più definito.
Manlio: io direi anche un’altra cosa: quando adesso suoniamo dal vivo i brani di Odes for Victory, oppure in sala prove, sono più belli. Abbiamo fatto delle piccole modifiche, stiamo più attenti agli arrangiamenti e ai suoni e con questo nuovo approccio secondo noi riescono meglio che sul disco, nonostante il fatto che quando si incide si ha la possibilità di aggiungere più strumenti, più voci e più effetti, mentre dal vivo siamo solo in tre.
Molto bene! Quindi quando potremo sentire Ordalia?
Manlio: … Quando sarà pronto! Compatibilmente con le nostre vite, stiamo andando abbastanza velocemente.
Mario: Come data ti do il 2025. Abbiamo tutto quasi pronto, i testi anche, ma vogliamo lavorarci fino a quando lo riterremo giusto. Quando abbiamo fatto Odes for Victory abbiamo avuto anche un po’ di fretta, perché doveva essere il testamento finale, invece…
Maurizio: … Invece non siamo morti, abbiamo ancora delle cose da dire e vogliamo dirle bene.
Mario: Esatto, è un album di sostanza robusta, il modello è sempre Odes for Victory, ma sarà ancora di più: intenso, epico, pesante, drammatico. Il nostro obiettivo è scrivere un disco che dia l’impressione di vedere un film, che poi è quello che facciamo noi: prima ci immaginiamo la storia, lo scenario, le immagini che ci suscita, dopodiché scriviamo la musica. Se riusciamo a farlo percepire anche all’ascoltatore, allora ce l’abbiamo fatta.
Quindi la decisione di intitolarlo Ordalia, come voi, deriva dal fatto che lo ritenete il vostro lavoro più personale, più intenso di sempre?
Manlio: È colpa mia, lo ammetto… Perché non l’abbiamo ancora fatto un disco che si chiama Ordalia, quindi ho detto: “Ragazzi, questo si deve intitolare Ordalia”. Tra l’altro ci sarà anche il brano omonimo, che era già presente sul disco precedente, The Return of the King. Ecco, quella versione dimenticala. La nuova versione sarà molto più lunga, più epica, con una storia più estesa che riguarda il nome “Ordalia”, perché ci sono tante cose dietro al nostro nome. Mario potrebbe andare avanti quindici giorni a spiegartele tutte. I brani poi saranno fra loro maggiormente legati. Mentre in Odes for Victory i primi brani hanno riferimenti alla letteratura fantastica, ma sono indipendenti, gli ultimi due, Merlin and Vivienne e Belial’s Curse sono legati perché fanno parte della stessa storia, condividono anche un riff se si ascolta attentamente. In Ordalia il collegamento riguarderà tutte le canzoni.
Mario: Non sarà un concept, ma c’è una sottotrama che collega tutti i brani e che richiamerà anche altre canzoni di Odes for Victory. Questo filo conduttore non deve essere necessariamente colto dall’ascoltatore, ma c’è. Il legame fra le canzoni a noi serve molto per la composizione e per l’atmosfera che caratterizza l’album. I brani cambiano e cambiano anche gli argomenti, ma il concetto di fondo resta lo stesso. Il nostro concetto è che la vita è una guerra a prescindere da che parte si stia, questa guerra ti prende e una scelta, presto o tardi, la devi fare. Questo concetto rimane, anche se poi gli argomenti delle canzoni sono molto diversi, ma alla base di tutto c’è il fatto che, volenti o nolenti, ci si deve schierare da una parte o dall’altra.
Maurizio: abbiamo stimolato la tua curiosità?
Sì, parecchio! Partiamo da delle ottime premesse, per cui sono curiosissimo di sentirlo. Spero che esca presto, ma lavorateci pure coi vostri tempi, mi raccomando…
Manlio: Possiamo aggiungere che in questo discorso di fili conduttori e di storie che si intersecano, non è da escludersi la copertina. Andrea Bulgarelli, che è il nostro artista, si sta scaldando le mani.
Mario: L’illustratore dei nostri dischi sarà sempre lui. Ci siamo trovati in perfetta sintonia fin da subito, per noi è il quarto componente del gruppo. È riuscito a cogliere al volo quello che ci serviva per Odes for Victory, senza nemmeno che ci incontrassimo di persona.
Manlio: Se vuoi è un ragionamento molto anni Ottanta, quando i dischi si andavano a comprare e si guardavano le copertine, se ne osservavano attentamente tutti i dettagli, si vedeva anche la grafica… Oggi questo aspetto si è un po’ perso con la diffusione della musica digitale, ma noi ci teniamo a realizzare un’opera completa.
Maurizio: Per noi è una parte importante dell’opera, il fatto di avere un’illustrazione e una grafica che esprimano bene il nostro messaggio. Ovviamente, c’è anche una componente romantica, perché come metallari siamo cresciuti con i dischi fisici, ci ricordiamo di quando, da giovani, andavamo da Rock 86 a Catania ad ascoltare l’ultimissimo album arrivato, lo mettevamo sul piatto, lo ascoltavamo, guardavamo la coperina, lo commentavamo insieme, poi lo si acquistava. C’è un legame affettivo per il disco.
Parlando di generazioni, cosa consigliate di ascoltare ai giovani appassionati, a parte gli Ordalia?
Mario: Io gli consiglierei di partire dalle origini, dagli anni Sessanta, perché così si rende conto di quello che è stato fatto fin dall’inizio. Se si ascolta solo quello che esce oggi, magari certe cose possono sembrare innovative e geniali, ma se si conosce la storia della musica, o dell’heavy metal nel nostro caso, si capisce che tanta produzione invece non è che sia poi così geniale. Parlando d’altro, è un po’ come quando esplose il fenomeno degli Oasis negli anni Novanta, ricordo che me ne parlava gente che non conosceva i Beatles. Mi rendo conto del perché ti piacciano: se non hai mai sentito i Beatles è chiaro che ti sembrino straordinariamente nuovi, ma in realtà stai ascoltando qualcosa di derivato. Io vedo la musica come “nani sulle spalle dei giganti”, per prendere una citazione letteraria, perché quello che è nuovo nasce sempre su qualcosa di grande che c’è stato prima. Se non si conoscono i giganti che sono venuti prima, non si potrà mai capire il valore di quello che viene proposto nel presente. Per chi suona, vuol dire anche non trovare un proprio stile. È proprio la cultura musicale che manca. Io faccio l’insegnante di storia e filosofia al liceo e ti posso dire che oggi molti ragazzi non sanno chi sia Elvis Presley o Jimi Hendrix… c’è un pezzo della storia della musica che manca completamente e, senza questi riferimenti così fondamentali, è chiaro che si faccia fatica a giudicare quello che si ascolta. Se così non fosse, secondo te la gente sarebbe finita ad ascoltare la trap???
Guarda, io ho già i miei problemi e non mi posso occupare anche di questo…
Maurizio: … Bella risposta!
Va bene, ma adesso ditemi: qual’è il meglio della vita???
Manlio: Schiacciare i nemici, inseguirli mentre fuggono e ascoltare i lamenti delle femmine!
… Questo è bene! Siete preparatissimi
Manlio: Sì, ma è troppo facile… Adesso ti svelo il segreto degli Ordalia, che sono due cose: i film di Conan e il film Excalibur. Questo è il 98,75% delle nostre origini.
Ottimo e adesso, mi raccomando, andate a provare! Grazie del vostro tempo e speriamo di avere presto vostre notizie. (Stefano Mazza)




