Le spade sono di plastica, i riff no: HEAVY TEMPLE e CASTLE RAT

Qua dentro non sono in pochi a subire il fascino del mondo sword & sorcery. Magari non serve nemmeno essere in fissa col Medioevo quello vero, perché in effetti è pure un po’ limitante. Ti vengono a dire magari che era un’epoca tutt’altro che buia, mite per il clima, guerre e carestie c’erano, per carità, ma meno di quelle che gli illuministi hanno voluto farci credere. Insomma, poi finisce che razionalizzi troppo e magari ti rendi conto che quei bei castelli che arricchiscono i paesaggi d’Europa spesso sono ricostruzioni postume, romantiche. A questo punto fanno bene gli americani che se ne fregano della filologia e privilegiano la fantasia, quando si parla di spadoni, cotte di maglia, guerrieri e donzelle. Conan lo avrete letto tutti, per cui saprete di che sto parlando. Bene così. Musica: allora tutto sommato non ci dispiace mica che certe frange doom, heavy e stoner non si accompagnino proprio con la magniloquenza pittorica e letteraria dei secoli passati, ma sia invece più fumettosa. Un po’ di plastica che vuoi che faccia.

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Così ecco che son tornati gli HEAVY TEMPLE, terzetto di doom heavy e psichedelico (insomma, quasi stoner) di Philadelphia, guidato dalla cantante e bassista Elyse Mitchell (alias High Priestess NightHawk), ora convolata anche nei Morgul Blade in cui già militava il batterista Will Mellor (alias Baron Lycan). Anche i Morgul Blade, tra l’altro, stanno per rifarsi vivi a breve, a proposito di heavy fantasy. Restando agli Heavy Temple, mi era sfuggito dalle mani l’esordio Lupi Amoris nel 2021 (ero appena arrivato in Metal Skunk), ma mi era complessivamente garbato, col suo heavy stoner e l’illustrazione di copertina mi era rimasta impressa: una donna nuda e tatuata, testa di teschio, che cavalca un lupo inferocito tra i funghi.

Quella del nuovo Garden of Heathens vede un lupo mannaro e due strani uomini cornuti emergere da una caverna mentre osservano le rovine macabre di una civiltà fantastica. Però ecco che il tono dei nostri è scherzoso e rock’n’roll. Viva l’America. In realtà, se avete voglia di heavy psych e riffoni scavezzacollo gli Heavy Temple dovrebbero garbarvi. Musica elettrica, horror e fantasy solo il giusto. Snake Oil (and other remedies) ne ha uno, di riff, che mette alla prova le vertebre, sicuro. Comunque, appunto, il tono è più quello dello stoner roccioso che dell’heavy epico. Ecco, più High on Fire che NWOTHM, sicuro. A tratti (Divine Indiscretion), non sono lontanissimi i QOTSA (non quella cosa omonima che gira ora). Disco gagliardo e turgido. Non ne esco matto perché secondo me manca la canzone assurda o il pezzo che ti fa uscire davvero fuori di testa. La pezza c’è, c’è sempre, per tutta la durata. E poi mi stanno simpatici, loro e le loro asce bipenne formato cucina Ikea. Conto maggiormente sul prossimo album per vedere se diventano qualcosa di davvero fico o solo una di quelle band stoner americane solidissime che se abitassi oltreoceano andrei di corsa a vedermi dal vivo per sfondarmi per bene nella calca. Solo, insomma.

Viva l’America e viva New York. Solo lì poteva prendere vita un corto circuito totale come i CASTLE RAT. Che prima ancora dell’uscita del disco d’esordio avevano già totalizzato un milione (!!!) di ascolti su Spotify per una manciata di singoli. Feed the Dream ne fa da sola settecentomila. Ed è un brano di doom più o meno incontaminato di una band underground. Chiaro che l’underground di Brooklyn ha una potenza di fuoco che Uppsala, Lipsia o Gallarate non hanno. Ma non sarà solo questo. Corto circuito, dicevo. Perché i Castle Rat, una specie di Black Sabbath guidati da una principessa guerriera venuta fuori da un disegno di Frank Frazetta, sono una creatura di Riley Pinkerton, pin-up, o meglio influencer, invero piuttosto discinta e con un passato recente di cantautrice folk (con tanto di ciuffo anni ’60, all’epoca) ed una ancor più recente infatuazione per i riffoni doom, gli spadoni ed i bikini di maglia metallica che coprono e non coprono. Gli altri membri della band hanno maschere e personaggi che paiono i Death SS. Noi quindi nulla di cui lamentarci, ovvio. Anche se gli occhi, volenti o no, sono tutti puntati sulla Pinkerton (ignota l’eventuale parentela col fondatore della nota agenzia di investigazione), ovvero The Rat Queen.

Dire che ero partito prevenuto questo Into the Realm è dire poco, ma l’avvenenza della loro proposta non si basa tutta con le esibizioni scosciate della principessa guerriera. Ora, anche se il mondo metal finge di no, è piuttosto sensibile alla mercanzia. Eppure, piuttosto elitario da disprezzare il falso metal. Ci sta. E ci sta pure il sospetto che si tratti di un divertissement di qualche hipster che presto passerà ad altro. Ma tutte le mie riserve stanno svanendo con gli ascolti. E vi dico che, a scanso di tutto il corredo sexy e plasticoso dell’operazione, il disco gira bene e sa di vecchio veramente. E di drammatico. Insomma, senza la messa in scena, si fosse presentato con una oscura copertina grafica, non con le grazie della Pinkerton, lo avremmo facilmente salutato come il nuovo nome nuovo della scena retro doom. Insomma, provenisse da un underground fatto di cantine e non di set fotografici, fingeremmo di essere tutti più contenti, con le pareti del dungeon fatte di pietra e muschio e non di plastica stampata. Però le chitarre sono vere, suonate. La registrazione è cupa e misteriosa. Le canzoni non sono niente male, tipo Cry for Me, una specie di ballata sixties che magari andava bene anche nel vecchio repertorio della Pinkerton, ma che coi chitarroni è meglio. Stavolta mi fido dell’hype, Into the Realm è un bel dischetto divertente anche per un vecchio brontolone sabbathiano come me, che può trovarsi a fianco di qualche giovinastro fotogenico senza rompere troppo i coglioni. Ah, oggi, la sera del giorno in cui sto scrivendo, è previsto il live di presentazione del disco a Ney York, assieme a Tower e Killer Kin, a proposito di gente che sa come far venire pruriti. Scena variegata e piuttosto promettente. Vediamo se dura. (Lorenzo Centini)

2 commenti

  • Avatar di Federico

    I Castle Rat sono sicuramente da approfondire.
    Ad un primo ascolto non sembrano male, ma non so quanto reggano la prova sul medio lungo periodo.

    Troppo stoner (per me) gli Heavy Temple, nonostante la bellissima copertina.

    Comunque il solo fatto di aver citato Gallarate, fa dell’articolo un capolavoro.

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  • Avatar di weareblind

    Anche io ho pensato a Gallarate!

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