Dall’Inghilterra con un carico di moccoli: DEVASTATOR – Conjurers of Cruelty

Nel 2020 uscì Baptised in Blasphemy, una collezione di titoli meravigliosi su cui svettava Worship the Goat. L’album portava la firma dei Devastator, un quartetto thrash metal inglese capitanato dal bassista e cantante Thomas Collings. Per quanto lo avessi apprezzato, il disco si perdeva nel marasma d’uscite speed ’n’ thrash tutte intente nella fedele riproposizione dei canoni degli anni Ottanta, e non posso negare che all’epoca avessi ascoltato di meglio. Conjurers of Cruelty è il loro secondo respiro, e, sebbene non avessi grosse aspettative, mi sono ricreduto sin dalle prime note. Non siamo dalle parti del tanto di cappello, ma i Devastator hanno oggi la mia piena attenzione e spero cattureranno la vostra.

Il comparto sonoro è l’aspetto che è migliorato maggiormente, con una produzione che dà il giusto risalto a ogni strumento. Collings, alias Nachtghul, vomita e abbaia odio per cinquantuno minuti che si dipanano dal banale – ma perfetto – speed metal delle prime tracce sino a Ritual Abuse (Evil Never Dies), la chicca del disco: attacco alla Celtic Frost e largo al metal estremo un attimo dopo le prime sfuriate.

Conjurers of Cruelty rafforza la propria forma nella parte centrale, e Walpurgisnacht mette a segno un altro punto con la sua revisione estremizzata dei Motorhead. Sono i testi stavolta a citare i Celtic Frost. L’importante è farlo, con qualunque mezzo, e al sottoscritto andrà grossomodo bene. Molto bella anche Deathspell Defloration, sulla scia della parte lenta di Rotting dei Sarcofago con l’aggiunta di qualche arpeggino dal sapore norvegese. I tempi lenti vengono gestiti ottimamente e controbilanciano gli episodi più lineari e scanzonati (Black Witchery, attualmente la più cliccata sulle piattaforme streaming). In conclusione troviamo Rabid Morbid Death, quasi una suite per i loro standard: otto minuti di durata, riff accademici e spettacolari come quello al secondo minuto, quasi alla Metallica, poi assoli e una lunga coda ai limiti del black metal melodico.

I Devastator ci consegnano un secondo album particolarmente vario e ben confezionato. La qualità delle composizioni è medio/alta e sfiora non trascurabili picchi al centro della scaletta. Un po’ più di continuità e sarà un altro nome forte della poco discussa ma vivissima scena thrash inglese. (Marco Belardi)

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