Al disonor del Golgota giammai non si chinò: DEPARTURE CHANDELIER – Satan Soldier of Fortune
Fresco di stampa anche il secondo album del trio americanadese Departure Chandelier, progetto parallelo dei newyorkesi Ash Pool (raw black metal minimale con fuori un paio di album intorno agli anni Dieci, più altro materiale sparso) e dei canadesi Akitsa, questi ultimi in giro da almeno un quarto di secolo a vomitare raw black vecchio stile che, nel tempo, si è sempre più intriso di influenze RAC.
In giro dal 2011 circa, ma con appena una demo e uno split realizzati nel lungo periodo, il progetto è esploso nel 2019 grazie al debutto Antichrist Rise to Power, sapientemente spinto da Yosuke, il nippo-americano che manda avanti con successo la Nuclear War Now!, etichetta che ha ristampato decine di demo di vecchi gruppi thrash affiancati poi da nuove proposte che, come comune denominatore, hanno l’intransigenza priva di alcun addolcimento. Se non sei un mastino assetato di sangue per Yosuke non incidi, poco ma sicuro, e comunque il tipo come talent scout non è affatto male: provate a dare un’occhiata al suo roster. Fatto sta che Antichrist Rise to Power ha lanciato la band in tutto il pianeta regalandole una fama che io riconosco meritata solo in parte: è un buon disco, accattivante, ma non è un capolavoro, e il fatto che le tematiche dei testi siano incentrate su Napoleone Bonaparte e la storia di Francia è sicuramente particolare e inusuale, ma non basta per elevarlo di rango in modo così categorico. Ora, dopo un breve EP intitolato Dripping Papal Blood del 2020, esce il seguito Satan Soldier of Fortune, che riparte dal punto preciso dov’era arrivato il suo predecessore.
Lo schema compositivo dei Departure Chandelier è comprensibile e lineare: le ritmiche sono semplici sequenze di accordi aperti in non eccessiva quantità, in modo da tracciare una linea melodica riconoscibile e il più possibile minimale seguendo le classiche regole delle progressioni armoniche e del cambio di tonalità; i tempi di esecuzione sono generalmente medi, in pochissimi casi aumenta la velocità e la sola Accipitridae (a mio parere è di gran lunga il brano più riuscito) ardisce ad un up-tempo quasi vicino al tremolo picking in blast beat; sulla ritmica una traccia di chitarra più alta disegna riff melodici orecchiabili di semplici note singole, un po’ come accadeva nell’heavy metal anni ’80 che ha insegnato questo modo di scrivere i brani a tutti quelli che sono venuti dopo, indipendentemente dallo stile o dal sottogenere proposto; le tastiere hanno un loro spazio non trascurabile ma non sono mai in particolare evidenza, piuttosto ricalcando in sottofondo la ritmica delle chitarre con quell’effetto tipo coro polifonico sempre gradevole da ascoltare, mentre in rari casi divagano diventando un po’ più protagoniste, ma sono rari sprazzi.
Si usa definire i Departure Chandelier atmospheric war black metal, il che presuppone alcune influenze standard: i primi Graveland, e su quello non ci piove; i Bathory, specialmente quelli più vecchi, anche per via del minimalismo caratterizzante le composizioni; Hellhammer e Celtic Frost, obbligatori, e ci può stare, perché nella genesi del black metal hanno avuto un ruolo affatto trascurabile. Quello che fino ad ora nessuno ha notato – almeno per quel poco che mi è capitato di leggere in giro, preferisco non leggere altre opinioni su dischi dei quali intendo parlare io prima di scriverne – è che il loro suono, intendendo con questo termine anche la scelta dei suoni e degli arrangiamenti sia delle chitarre che (soprattutto) delle tastiere, ricorda tantissimo i primi due episodi della discografia dei Gehenna norvegesi, ossia First Spell e Seen Through the Veil of Darkness. La musica è diversa giocoforza, perché i norvegesi erano decisamente più oscuri e meno “battaglieri”, ma l’impostazione compositiva è la medesima, il che dal mio punto di vista è un enorme beneficio per quello che era nato come un side project ma che oggi è diventato più celebre delle band dalle quali è derivato.
Satan Soldier of Fortune è senza dubbio un buon disco. È uno di quei lavori che piacciono anche a chi non vive unicamente a pane e black metal, perché ha grinta, sì, ha atmosfera ed è anche intrinsecamente violento, ma non è parossistico, non lascia dietro sé solo cumuli di macerie e rovine fumanti. È più accessibile, e penso sia per questo che i Departure Chandelier abbiano un pubblico più vasto rispetto a molti altri loro colleghi che magari scrivono musica più personale sebbene considerevolmente più estrema. L’opera contiene otto pezzi, tre dei quali sono gradevoli stacchi di puro dungeon synth, brevi il giusto e collocati in apertura, in chiusura e come intermezzo. I pezzi “veri” grossomodo si equivalgono, non ci sono cali evidenti né filler evitabili (beh, su cinque pezzi sarebbe stato grave) non sono tirati troppo per le lunghe – siamo sui 6-7 minuti al massimo – e soddisfano l’ascoltatore per una quarantina scarsa di minuti anche più volte al giorno, perché l’impulso di ricominciare la riproduzione del disco subito dopo la sua fine arriva. Non mi sembra poco. (Griffar)



interessante la descrizione della musica, provo sicuro a dargli un ascolto, anche se questa cosa dei concept sui personaggi storici in mano a gruppi black sparsi per il globo sta assumendo via via dei contorni ridicoli….Tra equadoregni vichinghi, bengalesi satanisti il quadro ora si allarga agli americanadesi bonapartisti. L’evoluzione è importante ma bisogna stare attenti a non perdere la rotta, perche Igorrrrrr e bububu sono sempre dietro l’angolo.
BLACK METAL LIVES MATTER !
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Ho dato un ascolto al primo lavoro proprio dopo aver letto l’articolo.
Francamente, capisco tutto riguardo i suoni raw, trve e quant’altro, però quando mi sbagli gli attacchi o i cambi di accordi suonano da schifo perché non sai suonare (o fai apposta), mi risulta difficile da accettare.
Essere minimali non significa fare un disco alla bene meglio.In generale concordo con l’analisi, i pezzi sono carini, ma fatti con lo stampino.
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Interessante il modo in cui si intrecciano tastiere e parti più epiche/guerresche. Non un capolavoro ma si è ascoltato di peggio.
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