Avere vent’anni: NEHËMAH – Requiem Tenebrae

I Nehëmah, come scrissi cinque anni fa, sono dei grandi dimenticati. O meglio, riformulo: non sono mai stati veramente conosciuti, quindi non sono mai stati nemmeno dimenticati. È normale, non potete dimenticarvi la ricetta della carbonara se abitate nella Siberia orientale e l’unica cosa vagamente commestibile di cui siete a conoscenza è la renna arrosto. Non potete dimenticarvi di come si sacrifica correttamente un infante al demonio la prima notte di luna piena se siete dei chierichetti fan sfegatati di Settimo Cielo (“Che faccio, lo metto a testa in giù? Come, così? E la capoccetta, gliela devo rompere col martelletto? Boh, ma che cazzo ne so, scusa bambino, ti lascio libero, torno a casa a rivedermi l’episodio in cui Jessica Biel viene arrestata per non essere andata a Messa dicendo di avere l’influenza”).

Comunque, prima di celebrare il ventesimo compleanno di questo terzo (e purtroppo ultimo) album dei nostri blackster francesi, posso dire che è veramente un’ingiustizia che quasi nessuno, incalliti adepti della nera fiamma esclusi, li conosca; perché i Nehëmah, vi sembrerà assurdo, ma hanno scandito il tempo della mia vita.

Scoperti all’età di 14 anni, nel 2004, sul compianto Metal Shock, grazie all’entusiasta recensione proprio di questo Requiem Tenebrae (ad opera di tale Roberto “Trainspotting” Bargone… Come? Lo conoscete? Sì!? Ma pensa te, com’è piccolo il mondo…), rappresentano una fase della mia prima adolescenza che potrei intitolare “La Scoperta”.

All’epoca avevo già la nera fiamma caprina che, come un flebile fuocherello, mi zampillava nelle orecchie, grazie ad un lungo tirocinio con alcuni brani di Cradle of Filth, Dimmu Borgir, Marduk e Catamenia, e ovviamente avevo quantomeno sentito parlare di Mayhem, Darkthrone, Immortal, Emperor e Satyricon; ma quella recensione, così carica di passione e sentimento, segnò un passaggio ulteriore e ben definito a questo mondo misterioso. Quella recensione fu per me come un grandissimo e chiarissimo: “Ok, questa roba mi interessa, mi appartiene, voglio scoprirla!” – tant’è che ne ricordo pure qualche passaggio a memoria. Ad esempio ricordo che si chiudeva con la frase: “di una bellezza agghiacciante”. E cazzo, era tutto vero.

Pensate, ho ascoltato il disco solo qualche anno dopo, nel 2007 o 2008 (scaricato per intero da Emule, così, tanto per smorzare la poesia del racconto) ma lo conoscevo già. Sapevo già tutto. Avevo studiato. E questa fase è quella che io chiamo della Consapevolezza.

A quasi 24 anni invece, nell’estate del 2014, trovo per puro caso la copia originale a soli 5 euro ad una bancarella, di quelle dozzinali che mettono d’estate nei parchi a quegli eventi mezzi moviderecci che fanno a Roma per non farti restare a casa a morire di caldo davanti al ventilatore che non ventila. E io che faccio? Non lo compro. Non so cosa mi sia passato per la testa. Probabilmente, visto il periodo, 5 euro con me non li avevo nemmeno, ma di sicuro qualcuno dei miei amici non si sarebbe fatto problemi a prestarmeli. E invece no: io prendo REQUIEM TENEBRAE (!!!), lo alzo, lo guardo, me lo rigiro tra le mani, lo poggio e lo lascio lì, a prendere polvere su quella bancarella del cazzo, in mezzo ai Back in Black e ai Made in Japan . E questa è la fase della mia vita che io chiamo della Deficienza.

Il black metal dei Nehëmah, in questo Requiem Tenebrae al massimo del suo splendore, è angoscioso, tormentato, nero come la pece, senza via d’uscita. Enormemente darkthroniano ma con personalità, non da tribute band per intenderci. Poi di tanto in tanto, nei brani più cadenzati, si affacciano tastiere funeree, raggelanti, che se chiudo gli occhi mi fanno immaginare una processione di monaci neri incappucciati, in un bosco, di notte, con quelli davanti a tutti che sorreggono una croce rovesciata (sulla quale vi è crocefisso qualche sceneggiatore di Settimo Cielo, ovviamente) grossa come il cazzo di un ciclope africano e pesante come venti Mario Adinolfi legati insieme col nastro isolante.

Ma poi la voce di Corven: delle grida agghiaccianti che, complice la pessima ma al tempo stesso azzeccatissima e svper trve evil registrazione, sembrano provenire da una vecchia TV o radio del secolo scorso. Ascoltatela, vi prego, e immaginatevi Nando Martellini che fa la telecronaca di Italia – Germania nel ’70 però in screaming.

“4 A 3!!!!!!!UAAAAAAAAA GOL DI RIVERAAAAAA!!!! CHE MERAVIGLIOSA PARTITA, ASCOLTATORI ITALIANI!!!!AAAAAAAAAAAAAAA!!!!!” (Gabriele Traversa)

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