Tutto a posto, è heavy metal: SAXON – Hell, Fire and Damnation
Sorvoliamo sui due singoli usciti fra dicembre e gennaio, che vi avevo anticipati prima della fine dell’anno, e andiamo dritti al fatto fondamentale: Hell, Fire and Damnation è un bellissimo album. Sì, è un grande heavy metal classico, anzi facciamo prima a dire che è un grande album classico dei Saxon, perché, come venne egregiamente detto dal collega Piero due anni fa quando uscì Carpe Diem, fanno “lo stesso disco da quarantatré anni, ma che rompe il culo e non dà segni di cedimento alcuno”. È tutto vero: questi sono veterani di quella cosa che si chiama heavy metal, quello degli inizi, quello di quell’epoca lì, che piace a tutti noi caproni, che ti mette in pace con tutto il mondo perché suona come ti immagini che un disco heavy metal debba suonare.
A parte un paio di eccezioni, sono tutte canzoni scritte bene e ispirate. Io avevo pochi dubbi sui Saxon, ma alcuni dei loro brani anche recenti riescono ancora a sorprendermi: per quanto siano tutti immediati e facili da seguire, ci sono dei dettagli che fanno la vera differenza. Per esempio il riff sincopato di There’s Something in Roswell è fantastico e si fa ascoltare, riascoltare, poi ascoltare ancora perché è epico, potente, roboante, ma anche giustamente misterioso e oscuro, pur nella sua semplicità di pochi accordi. Questo è saper comporre. Ma anche il power rock’n’roll di Kubla Khan and the Merchant of Venice, oppure l’epica e marziale 1066, lo speed quasi thrash di Fire and Steel. E poi gli assoli…
La voce dell’immenso Biff Byford è ancora quella, per quanto in alcuni brevi momenti cominci ad assomigliare a quella di Lemmy; quello meno roco e ruvido, ovviamente. A proposito di formazione, lo storico chitarrista Paul Quinn non suonerà più dal vivo, dove sarà sostituito da Brian Tatler dei Diamond Head, poi per lo studio ognuno rimarrà a casa propria nelle rispettive band. La produzione, a tratti, tende a fare assomigliare questi ultimi Saxon ai Judas Priest, altri maestri della longevità, perché il personale tecnico che sta dietro ai lavori dei due gruppi è lo stesso, ma è un compromesso accettabile per questi tempi.
Riprendendo il discorso sulla musica, non tutti i brani sono ugualmente memorabili, ma devo ribadire che c’è un livello generale molto alto e poi ve lo devo proprio dire: con Hell, Fire and Damnation ritrovo oggi quella musica energica e diretta che mi ha fatto andare fuori di testa per questo genere che si chiama heavy metal. Anche i testi sono interessanti: si va dagli episodi storici che sono la loro specialità, come le già citate 1066 sulla battaglia di Hastings, Kubla Khan and the Merchant of Venice sui viaggi di Marco Polo. Ci sono anche soggetti più originali, come Pirates of the Airwaves sull’epoca delle radio libere e Madame Guillotine, che narra della rivoluzione francese dall’originale punto di vista della ghigliottina, oppure Fire and Steel, che parla dell’industria dell’acciaio di Sheffield. Sono tutte idee classiche, ma non per questo scontate, perché vengono da un ragionamento e da una genuina voglia di creare. L’illustrazione della copertina è stata disegnata da Péter Sallai, da un’idea di Biff Byford ed è ispirata allo stile di Gustavo Doré, ma secondo me anche dall’arte apocalittica degli Immolation.
Hell, Fire and Damnation e ho di nuovo dodici anni.
Fire and steel, red hot and heavy
Fire and steel, the finest in the land
(Stefano Mazza)


Tutto giusto, salvo un meritato alone di troppo favoritismo. L’album è bello ma non così bello.
Ma io posso solo dire grazie all’heavy metal incarnato.
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