I derby di Metal Skunk: i DESTRUCTOR contro gli ANAL DESTRUCTOR
In questi giorni siamo stati terribili con voi, perché l’unico articolo che probabilmente aspettavate era la poll di fine anno, ossia quella lista di undici titoli che ci sono garbati nei precedenti dodici mesi. Ogni mese di dicembre che si rispetti, però, prende puntualmente un’altra piega, quella dei recuperoni.
Il recuperone è l’equivalente dell’attacco di panico del redattore, che improvvisamente si rende conto di aver ascoltato cento dischi e scritto di settantacinque soltanto, e inizia a dare di matto. Il recuperone è anche la zelante ricerca di quel che è sfuggito alle strette maglie della rete da pesca. In poche parole è probabile che escano più recensioni nel solo mese di dicembre che in tutto il semestre che lo aveva preceduto. Tolto l’ottimo recuperone di Ciccio con Cattle Decapitation, Vomitory e Autopsy, è probabile che si tratti di gruppi i cui stessi componenti non sono in grado di pronunciarne il nome, come Murgr, Fghaarr e via discorrendo.
Cercherò ora di recuperare anch’io qualcosa da quel 2023 che ci siamo appena messi alle spalle, ma vi prometto una cosa: questi nomi ve li ricorderete eccome, anche perché saranno appaiati. Cominciamo con un derby fra Nord e Sud America, quello fra i Destructor, storico gruppo speed metal dall’Ohio, e i cileni Anal Destructor.
I DESTRUCTOR esordirono nel 1985 con Maximum Destruction e una line-up che prevedeva – preparatevi – Matt Flammable, Pat Rabid, Dave Overkill e Dave Holocaust. L’album iniziava con un urlo straziante e un basso che dettava legge, era acerbo rispetto alla spietata concorrenza eppure era in qualche senso adorabile. Tre anni più tardi la scena era completamente mutata e quei Destructor apparivano già anacronistici. Non fu questo a toglierli di mezzo mentre preparavano il secondo disco, per il quale erano già state incise un paio di demotape.
Robert Bedzyk era un tale che stava semplicemente bevendo al bar, forse un po’ troppo. Lì vicino un gruppo metal festeggiava la firma del contratto per Island Records, un nome che dovrebbe a sua volta suggerirvi quello degli Anthrax. Quel gruppo si chiamava Destructor. Robert Bedzyk si aggregò a un manipolo di metallari al party dei Destructor e cominciò a rompere il cazzo a tutti i presenti finché non fu allontanato. Attese fuori nel parcheggio e fu presto raggiunto dal bassista del gruppo, Dave Holocaust, all’anagrafe Dave James Iannicca, ventiquattro anni. Al secondo tentativo di allontanare Robert Bedzyk, questi estrasse una lama e lo pugnalò al cuore. Il gruppo si sciolse.
Sul finire degli anni Novanta il fiume delle reunion ci ha silenziosamente consegnato quella dei Destructor, mentre, in contemporanea, in Europa un gruppo dal moniker dannatamente simile e dalle pose in fotografia dannatamente simili maturava un certo successo grazie a titoli come The Antichrist, che portarono la stampa quasi a parlare di una seconda giovinezza. Per la Germania i tempi erano certamente migliori in ambito thrash metal.
Le uscite dei Destructor si sono susseguite negli anni senza che sollevassero alcun clamore. Pat Rabid è anch’egli deceduto, esattamente cinque anni fa, per le conseguenze del diabete, e i membri originali rimasti corrispondono al cantante Dave Overkill e al fido batterista Matt Flammable.
Il nuovo album è uscito sul finire del 2023 e ha per titolo Blood, Bone, and Fire, con una virgola certamente di troppo e nove tracce di esplosivo speed metal travasato dagli anni Ottanta. L’irruenza è imparagonabile a quella del 1985, sia chiaro. Ci sono scarse concessioni alla lentezza, come in Heroic Age e Storm upon the World. Il clima è decisamente battagliero, come se dell’ultimo quarto di secolo i Destructor avessero assai apprezzato le inclinazioni thrash di certi gruppi estremi come i Destroyer 666. Specie gli ultimi, con meno rock’n’roll e un’impronta squisitamente speed metal. I riff sono una goduria, il pezzone alla Destructor forse è latente o forse è proprio quella Storm upon the World, se non addirittura la seguente Never Surrender. Dategli una chance.
ANAL DESTRUCTOR è invece un brand tutto cileno, direttamente da Valdivia e dalla casa discografica Sentenced to Grave, la stessa dei Trapanaciòn, per capirci. Black Souls of Death suona un po’ più ripulito rispetto al tombale omonimo album uscito sette anni fa, sebbene la batteria sia chiaramente ispirata – nel rullante – a qualche fustino di detersivo, un po’ alla maniera delle primissime demo degli Hellwitch. Il cantante Braulioholocaust, presumo in onore al celebre amaro alle erbe, richiama Attila Csihar con la sua spiccata tendenza a un cantato recitativo e tutto fila liscio come l’olio, sempre sul confine fra proto-black metal e thrash primordiale. I pezzi cadenzati, come Pure Fire, sono da rifinire e enfatizzare in qualche modo. Silencio Eterno la mia preferita, quasi una versione abbruttita dei connazionali Dorso.
Il derby di oggi va naturalmente ai Destructor, ci risentiamo per il prossimo. Vi assicuro, ce ne è realmente un altro. (Marco Belardi)




