Avere vent’anni: ARKONA – Konstelacja Lodu

I polacchi Arkona sono attivi da almeno trent’anni, una considerevole quantità di tempo che avrebbe dovuto avergli garantito l’eterno prestigio che meritano, anche se ne dubito fortemente. Un po’, temo, per il fatto di dover condividere il moniker con uno dei gruppi più inutili che storia del metal ricordi, gli Arkona russi, i quali suonano un moscissimo pagan metal terribilmente noioso; io stesso ne comprai per sbaglio un disco credendo di trovarmi al cospetto di un nuovo lavoro dei polacchi (che, come penso abbiate capito, sono fatti di tutt’altra pasta) rabbrividendo per il ribrezzo al primo ascolto, come mordere un limone acerbo. Se per sfortuna gli ascoltatori meno propensi all’approfondimento sono incappati nello stesso sbaglio da me commesso, non è improbabile che abbiano pensato che qualunque disco targato Arkona sia un letamaio fermentato. Sbagliando di grosso, com’è ovvio. La superficialità non porta mai nulla di buono.

Con Konstelacja Lodu gli Arkona sembrano aver chiuso una trilogia, iniziata nel 2001 con Zeta Reticuli e proseguita l’anno seguente con Nocturnal Arkonian Hordes. Mai prima d’ora avevano pubblicato tre full a distanza di una anno e mai in seguito ripeteranno una simile sequenza. Gli Arkona aprono e chiudono un periodo di genuino fast black metal crudo ed astioso come pochi; tutti i loro brani sono lanciati a grandissime velocità e a loro va anche ascritto il merito di aver saputo utilizzare in modo appropriato la drum machine, mantenendola equilibrata nel missaggio e optando per sonorità meno artificiali di quanto ci si immagina quando si legge dell’utilizzo di tale artefatto, di solito più accostato all’industrial metal o a divagazioni più o meno futuristiche. A parte il fatto che le parti di batteria dei tre album citati sarebbero state alla portata di pochi esseri umani: mi viene in mente Alsvid, magari Nick Barker (in bocca al lupo ragazzo, se mai ti capitasse di leggere questo articolo sappi che faccio il tifo per te), Summum Algor degli Adversam. Forse Fenriz. Pochi altri.

Le composizioni trascinano l’ascoltatore nel vortice della violenza e della cattiveria, grazie a riff particolarmente azzeccati che non disdegnano melodie arcane, non di rado accompagnati da repentini quanto fulminei arrangiamenti di tastiera e da passaggi più melodici di chitarra. Quello che però prevale è un turbinio frenetico di note che affondano la loro origine nella storia del black metal vecchia scuola, ma riveduto e corretto da un gruppo che all’epoca dell’uscita di Konstelacja Lodu già era parte della scena europea da un decennio. Ci sono invero diversi stacchi meno brutali, cosa che conferisce ai pezzi ancora più dinamismo, ma la quintessenza del black metal targato Arkona è una vorticosa violenza, come la più furente delle burrasche di vento sa ispirare ai cuori devoti al Nero Metallo. Per la terza volta è il brano più lungo a chiudere l’opera, in crescendo, verso l’apoteosi sempre più rabbiosa, sempre più veemente grazie ad un riff in monocorda di poche note lanciato verso l’abisso più terribile dell’Inferno stesso. 42 minuti da leggenda.

Come dicevo, con questo lavoro gli Arkona sembrano aver chiuso una trilogia perché successivamente le loro uscite si sono diradate parecchio: nel decennio 2003-2013 sono usciti solo quattro split, uno dei quali (quello con gli Aragon) solo in cassetta in 150 copie, che sono riuscito a recuperare appena sei anni fa. Dopodiché altri tre full, usciti tra il 2013 e il 2020, arricchiscono una discografia prestigiosa che non ha mai avuto alcun calo qualitativo o d’ispirazione. Speriamo dunque che si possa ascoltare qualcosa di nuovo da parte loro in tempi d’attesa non eterni… Qualunque loro disco vogliate ascoltare soddisferà la vostra necessità di eccellente black metal. Si scrive Arkona e si legge black metal sopraffino; l’importante è non confonderli con quelli russi. (Griffar)

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