Recuperone black metal 2023 – terza parte
BÁL/I SEE SATAN FALL LIKE LIGHTNING – split
Giusto per precisare, lo split s’intitola November. Ma non credo interessi più di tanto. Anche il progetto solista del tipo ungherese dei BÁL è piuttosto prolifico. Vai sulla sua pagina di Metal Archives e ti appare una sbrodolata di titoli in discografia ma, tanto per dire, questo split con gli I See Satan Fall Like Lightning (complimenti per il moniker, io non ci sarei mai arrivato) in lista ancora non compare. Non riescono a stargli dietro neanche loro. Devoto principalmente all’atmospheric/ambient black metal, nei due brani qui presenti la sua musica ricorda tantissimo Judas Iscariot: per i suoni, gli stacchi rallentati inseriti durante assalti furiosi in blast beat, lo screaming ultraterreno, estremissimo, la batteria sbattuta in primo piano, la costruzione melodica dei riff. Insomma, black metal puro, gelido e minimale come Storia insegna. Non c’è nulla di nuovo in questi pezzi, ma mi fanno sbalzare lo stesso, riportando in vita fasti oramai persi nel tempo e spero non dimenticati. Chi invece è proprio americano (Illinois) è il tipo degli I See Satan Fall Like Lightning, che qui suona una specie di post black piuttosto aggressivo. Attivo da non molto tempo, quest’anno ha alluvionato l’etere con una serie interminabile di singoli (circa una ventina), un full (Set the Sky on Fire) e due split: questo e un altro con i Pull the Strings (gruppo che non conosco minimamente). Talvolta divaga con momenti rilassati e intimisti, ma quello che ascoltiamo in prevalenza in questi due pezzi è solo furioso fast black metal senza troppi fronzoli, soprattutto nel pezzo In Shadow Like Spires; la successiva Vision of Excess è meno tirata a velocità supersoniche e si addentra spesso nell’occult metal. Brani adeguati alla proposta degli ungheresi, siate comunque consapevoli che i due gruppi raramente offrono al loro pubblico questa musica così poco rifinita per i loro standard.
AULD RIDGE – Folklore from Further Out
Folklore from Further Out è il quarto album ufficiale del solo project inglese Auld Ridge, ma, stando a sentire l’etichetta che li patrocina (l’australiana Dark Adversary), anche Mitt Rice – l’esordio assoluto uscito nel 2019 – dovrebbe essere considerato un full. Questo casino nel definire i formati dei dischi, operazione un tempo lineare e schematica, sta cominciando ad infastidire. Ciò premesso, trovatemi un solo difetto nei 47 minuti di questa loro nuova (relativamente, il disco è uscito a maggio ma l’ho comprato solo di recente) prova. Musica invernale, che stabilisce residenza nel black metal folkeggiante ricco di stacchi acustici e più meditati, senza mai esagerare nel dilungarsi inutilmente in tali momenti perché ciò che contraddistingue le composizioni è un black metal lanciato ad alte velocità e freddissimo come hanno insegnato i maestri nordici. Riff di scuola Immortal/Isvind quindi, ispirati, piacevolissimi e, cosa che non guasta mai, suonati da un artista che sa mettere le mani sugli strumenti egregiamente. Ecco un altro disco che ti mette addosso elettricità, facendoti sentire il bisogno di muoversi, scatenarsi, fare air drumming e air guitar, lasciarsi andare all’headbanging più sfrenato. Ora scusatemi, devo rimettermi a posto la clavicola come solo Martin Riggs…
HERETOIR – Nightsphere
L’ascesa degli Heretoir verso l’Olimpo del grande pubblico prosegue con il terzo album Nightsphere; considerati anche i due EP e lo split con i Thranenkind fanno 6-7 titoli in carriera (c’è pure Existenz, considerata una demo), cioè in 17 anni. Non è un gruppo granché prolifico; si assiste a differenze abissali di gestione della proposta artistica da parte dei gruppi metal post-2000, tra chi pubblica un disco al mese e chi uno ogni tre anni: quale sia il metodo migliore non saprei. Comunque, amen. Il post-black del gruppo tedesco si sta evolvendo, nel senso che di black metal non c’è quasi più nulla e più volte, ascoltando questo nuovo episodio, a me sono venuti in mente i 30 Seconds to Mars, non solo per la musica ma anche per certe impostazioni vocali. Che poi va bene, oramai i 30 Seconds to Mars non sono più quelli di una volta e qualcun altro il vuoto lasciato da Jared Leto e compagni avrebbe ben dovuto riempirlo. Perché non gli Heretoir, quindi? Esperienza ne hanno, capacità tecniche e compositive pure, i pezzi li sanno arrangiare; appena riusciranno a concentrare in 5 minuti quello che solitamente propongono in 9-10-11 minuti e oltre saranno a cavallo e potranno aspirare a passaggi in radio su Virgin. I tre pezzi effettivi sono comunque piuttosto gradevoli, stilosi, rifinitissimi e ricchi di atmosfere più che intriganti (si precisa che Pneuma e The Death of Man sono invece due brani di ambient musica pura), ma se cercate ancora black metal nella musica degli Heretoir state andando fuori strada e vi conviene riesumare i dischi vecchi.
AEON WINDS – Night Sky Illuminations
Dopo un silenzio durato quattro anni esce Night Sky Illuminations, il terzo album dei mastodontici slovacchi Aeon Winds. Nel frattempo una pletora di singoli, split, collaborazioni, compilation e quant’altro. Per quanto riguarda gli album tuttavia ci si ferma a tre. Nati come progetto solidamente ispirato ai Summoning, oggi gli Aeon Winds suonano musica differente. Nel senso che è black metal melodico con tanta atmosfera, dove le tastiere, pur avendo un ruolo preponderante, non sono utilizzate come siamo abituati a sentir fare dai Mostri Sacri austriaci. Nel caso degli slovacchi sono più riempitive, più d’accompagnamento, e i pezzi sono costruiti più che in passato sulle trame intrecciate di chitarra. Per quanto melodico e “post”, Night Sky Illuminations è un disco con solide radici nel black metal moderno, evoluto, non particolarmente violento ed affatto estremo come ci si aspetterebbe da un disco proveniente da quel mondo. Rimane inconfutabilmente black metal senza tema di smentita, meno canonico, assai personale; il che è ovviamente un bene. L’album è piuttosto lungo, quasi 53 minuti; ma non abbiate timore di annoiarvi, ben più probabilmente ricomincerete l’ascolto dall’inizio per carpire nuove sfumature nascoste. Ci si lascia ammaliare dalle melodie suadenti, dalle ritmiche polpose, compatte e coinvolgenti, dalle atmosfere cangianti, dalle luci ombrose delle trame dei brani. Dirgli bentornati non basta, forse è molto meglio GRAZIE.
CHAINES – Les Litanies des Chaînes
Un po’ di raw black francese con i controcazzi, tanto per gradire. Per la precisione i Chaines sono belgi, ma i loro suoni sono derivati dalla scena francese che tutti conoscono. Fino a tempi abbastanza recenti erano conosciuti con il moniker Merda Mundi, ora è cambiato il nome e poco altro. Si autodefiniscono “black metal senza compromessi”. È vero. Proclamano con arroganza “this IS black metal”. Vero anche questo. Acido messo in musica, corrosione, decadenza, orrore, desolazione. Melodia? Sconosciuta: ciò che detta legge qui è un’inconsulta, inusitata violenza. Siamo dalle parti delle migliori Black Legions, siamo in mondi sordidi lontani dalla luce. Alcuni brani forse esagerano in lunghezza (De Vermine et de Fer oltre nove minuti, i tre che gli succedono tutti oltre i sette), ma glielo si perdona, se si ama il puro raw black metal senza compromessi. Mi domanderete: c’è qualcosa di mai sentito prima in Les Litanies des Chaînes? No, non c’è. Che importanza ha, se la qualità è questa? Sferzate di pura violenza come queste servono a ricordarci chi siamo e da dove veniamo.
YSBRYDNOS – Phantasmal Bells below the Devil’s Pulpit
Nuovo mini-album per i gallesi Ysbrydnos, che grazie al cielo abbandonano (spero non momentaneamente) il noiosetto anzichenò dungeon synth di Altars of Moss e ritornano ad un più consono folk black ispirato e ammaliante, intriso di cultura gaelica. Il dungeon synth continua a conservare una parte non marginale, ma qui il black c’è e si prende tutta la scena. Magari non è il tipo di black che vi aspettereste se siete cresciuti a pane, Burzum e DarkThrone, tuttavia è più che apprezzabile, anche originale con quella batteria impostata in modo molto tribale e battagliero, quelle tastiere lugubri e notturne e quei riff scarni ed essenziali, assemblati con non troppe note per non complicare eccessivamente le trame dei pezzi e fluidificare l’ascolto. Pure con i suoi stacchi thrasheggianti, ben fatti, ben inseriti nel contesto. Cinque brani effettivi, non eccessivamente lunghi, pesanti o prolissi. Stimolanti, intriganti piuttosto: in grado di avvincere, di appassionare l’ascoltatore e coinvolgerlo in una ricerca sulle leggende che ne hanno ispirato il testo. Cento-per-cento puro metal, con tanto di assoli di chitarra se porta il caso, chitarre spaccaossa, voce in screaming classico-non-troppo-spinto, le note giuste sistemate strategicamente. Solo March to the Gallow esula dal contesto e se la potevano evitare, o perlomeno incattivirla in altro modo per adeguarla agli altri pezzi. È vero, è un pezzo su cinque e non è una percentuale irrilevante, ma glielo perdono se mi promettono di evitare altri episodi come Altars of Moss, mi si sono decomposti i testicoli ascoltandolo per scriverne la recensione.
CRÎSSÄEGRÎM – Hmbrh Khthn
Terzo episodio discografico per il fenomenale ecuadoriano Crîssäegrîm, due soli brani per circa 22 minuti, sempre troppo pochi quando si parla di composizioni scritte da lui. Atmospheric/raw black metal concepito con sonorità low-fi talmente appropriate da impedirti di immaginarlo con suoni diversi. Tra organi, tastiere siderali, stacchi acustici, riff che nella loro semplicità ti fanno partire brividi continui, velocità sostenute che si avvitano su sezioni più tirate ancora, rallentamenti spasmodici e parti ambient di sole tastiere, la sua musica è un continuo inseguirsi ed ingegnarsi a proporre qualcosa che suoni in modo da non somigliare a nient’altro e a nessun altro. Si dice che bisognerebbe utilizzare meno iperboli e meno superlativi, ma se esiste una nuova proposta che merita di essere incensata a quei livelli quella è Crîssäegrîm. Io li adoro. Hmbrh Khthn è troppo breve per essere assurto a disco dell’anno, ma quando e se mai uscirà un full vero e proprio (io spero quanto prima) per me non ci sarà competizione con nessun altro. Indispensabili, ascoltateveli bene perché diversamente vi perdete qualcosa di unico.
KORGONTHURUS – Jumalhaaska
Non nuovi a scrivere brani di lunghezza considerevole (si pensi a Marras, oltre 22 minuti), ritornano i capostipiti finlandesi Korgonthurus. Lo fanno con Jumalhaaska, album di quattro brani che dura 55 minuti e mezzo precisi. Il loro black metal è inconfondibile ed è alfiere della più pura scuola finnica: Corvus e Kryth hanno sempre mirato ad arrivare alla cima dell’Olimpo dei blackster finlandesi, ci sono arrivati già da molto tempo e non sembrano cedere il passo di un solo millimetro. I brani sono tutti semplicemente perfetti, perché, nonostante la lunghezza, rimangono interessanti dall’inizio alla fine grazie a una serie innumerevole di stacchi, cambi di tempo e soprattutto riff vincenti. Questi ultimi a volte rimangono episodi isolati quel tanto che basta per caratterizzare quella specifica porzione di brano prima che si passi ad altro. In questo lavoro i Korgonthurus non tralasciano nulla: sia un riff monocorda malinconico velocissimo, un arpeggio delicato molto ritmato da una batteria in bell’evidenza, uno stacco in blast o qualcosa di marziale e maestoso, se il fine giustifica i mezzi il fine è stato raggiunto nel modo più egregio si possa immaginare. Jumalhaaska è un disco bellissimo. Non so dirvi se è il loro migliore, perché per me i Korgonthurus sono autentici miti e non ricordo un solo loro brano che non mi sia piaciuto, ma qui siamo nei pressi dei loro vertici. Quest’anno sono usciti dischi epocali per ciò che riguarda il black metal, e neanche loro hanno voluto essere da meno. Se non vi vengono i brividi ascoltando Musta Obsidiaani siete morti e non ve ne siete neanche accorti, e questo splendore di brano parla di voi inconsapevoli cadaveri. (Griffar)

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Eh ma come ogni anno in prossimità delle playlist c’è la corsa a recensire i dischi lasciati “scoperti”
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I Korgonthurus sono davvero tanta, ma tanta roba. Madonna.
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Ottimo consigli come sempre. Aspetto con ansia una tua recensione su i 30 seconds to mars
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