Sulle mura di Famagosta coi MARCH TO DIE – Tears of the Gorgon

Quando sono andato a vedere gli Electric Wizard al Jailbreak, sulla Casilina, ennemila anni fa, c’era non so perché nella compagnia una tipa enciclopedica che sapeva tutto di Tas Danazoglou, il bassista cipriota che all’epoca suonava con la band di Jus Oborne. Pareva quasi fosse lì per lui, quasi provasse un’ammirazione extra musicale e più fisica. Si presenta ben inquietante, Danazoglou, completamente ricoperto di tatuaggi, pure sul volto, come provenisse da una tribù satanica primitiva. Effettivamente era la formazione più inquietante, visivamente, dei Wizard. C’era pure quello alla batteria che pareva La Vey messo all’ingrasso. L’anno scorso Danazoglou (che comunque abbandonò gli inglesi non molto dopo quel concerto), lo abbiamo ritrovato in una sorta di supergruppo doom finnico/cipriota, i Friends of Hell, che ci hanno aiutato molto a sopportare la calura estiva. Bene, la notizia del giorno è che è uscito così, de botto, quasi senza preavviso, l’esordio del suo nuovo gruppo, interamente isolano (lato greco, suppongo), chiamato March To Die. La seconda notizia è che il gruppo suona epic metal piuttosto rigoroso. E siccome io mi schiero con la parte di redazione partigiana dell’epic, contrapposta a certe altre barbare derive, trovo giusto darne notizia ai cinque dei ventiquattro proverbiali lettori che potrebbero essere interessati ad un’uscita del genere.

L’uscita, che si intitola Tears of the Gorgon e che in copertina riporta un dettaglio a tema da un dipinto seicentesco, non riscriverà la storia del genere. Ma come punto di partenza di un gruppo (relativamente) fresco mi pare che possiamo tranquillamente ritenerci soddisfatti. Nella formazione ha un ruolo dominante, quello di chitarrista e cantante, un altro Danazoglou, Alex, che inizialmente pensavo potesse trattarsi del fratello di Tas. Poi, controllate le età su Metal Archives (29 anni Alex, 52 Tas), mi viene il sospetto che il bassista ipertatuato, se parentela c’è, sia padre o per lo meno zio. In fondo, non ce ne frega nulla, ma condurre con sé la propria prole in marcia fino alla morte per la Gloria del Metal, ammetterete, sarebbe una cosa degna di menzione. Non che Tears of the Gorgon non ne sia degno in sé, per la musica. Praticamente tutto piazzato a velocità media, cadenza bathoriana. Complessivamente, l’epic dei March to Die assomiglia a quello dei Doomsword (nome complementare), come in One Eyed King. E, pure se complessivamente omogeneo, di rimandi ad altri nomi ancora più grossi ce ne sono, come i Primordial (Decapitation). Oppure, i quasi vicini di casa Rotting Christ, in quello che è probabilmente il brano migliore del lotto, Son of the Old Gods. Diciamo che è un brano che rende benissimo, incorporando gli elementi basici su cui le leggende greche si sono ormai adagiate per dischi sempre meno significativi. Saranno appunto quei mezzi richiami ai blasfemi greci, o sarà chenil batterista è ispanico (anche se precisamente messicano) e di cognome fa Olivos, viene facile farsi suggestionare dall’idea di una scena epic metal mediterranea. Saranno i March to Die a portarla in battaglia sugli spalti di Famagosta? (Lorenzo Centini)

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