Avere vent’anni: ANATHEMA – A Natural Disaster

A Natural Disaster è uno dei punti cardine della carriera degli Anathema, che restano e resteranno per sempre una delle formazioni più straordinarie del panorama metal, avendo contribuito a ridefinire un suono per poi superarlo senza mai perdere di vista il cuore della propria proposta. Infatti, se si presta attenzione a determinate soluzioni, persino in un album come The Optimist è possibile capire che ci troviamo davanti alla stessa band di Serenades, nonostante si tratti di opere distanti anni luce, sintomo di una personalità che riesce a travalicare generi e cambi di formazione.

Tornando a A Natural Disaster, un album del genere, nel contesto di una discografia “media”, sarebbe senz’altro la punta di diamante e il capolavoro del gruppo, perché si tratta di un lavoro maturo, il complesso e ideale punto di convergenza di tutte le influenze che hanno caratterizzato la carriera degli Anathema. Il fatto è che parliamo di un gruppo che ha pubblicato un album come The Silent Enigma – che tuttora rappresenta un genere, un universo a sé, non paragonabile a nessun altro disco dell’epoca – cui hanno fatto seguito lavori come Eternity, Judgement e, molti anni dopo, Weather Systems, con cui i Nostri si sono messi alle spalle la parte più cupa della loro anima pubblicando un altro capolavoro.

Quindi è davvero impossibile individuare un solo album più rappresentativo degli Anathema perché, come scrisse il fine esteta paciottiano Charles parlando di Weather Systems, davanti a una carriera del genere bisogna solo alzare le mani.

Tanto premesso, ritornando al “festeggiato del mese” per me è difficile mantenere un contegno distaccato, perché si tratta di uno dei miei album preferiti in assoluto, che da vent’anni a questa parte torna molto spesso nel mio lettore. Un disco al quale sono legato sia per motivi personali sia perché lo recensii al momento della sua pubblicazione, usando superlativi assoluti che fecero storcere il naso a più di qualcuno e che invece, con il passare del tempo, risultano pienamente giustificati.

A Natural Disaster è davvero un lavoro perfetto e importante. Lo è anche simbolicamente: perché è il primo disco che vede riunirsi la famiglia Cavanagh, con il ritorno di Jamie al basso che mancava dal 1991; perché conclude in modo magistrale un percorso iniziato quantomeno da Alternative 4 in cui tutte le influenze della band si incontrano con ulteriori e inattesi generi; e lo è perché, anche a livello di produzione, gli inglesi trovano il suono perfetto per la loro proposta. A Natural Disaster è già perfetto ancor prima di scartarlo, grazie al bellissimo artwork di Travis Smith, e lo è anche nei momenti immediatamente successivi, quando si inizia a leggere i testi, a partire dalla dolente Harmonium con la sua sofferenza fin troppo tangibile, ancor di più alla luce degli eventi che hanno portato alla fine (speriamo temporanea) della band: I’m not me, now a light has died / It’s too real to run and hide.

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Un lavoro estremamente malinconico e cupo, anche a livello di suoni, che riesce ad essere al tempo stesso assai vitale, come ricorderà chi ha avuto la fortuna di ascoltare questi brani dal vivo. Un album eclettico, coraggioso, che si prende dei rischi in Closer, commuove in una ballad come Are You There? – una di quelle canzoni che una band normale scrive una volta nella vita – esalta con Pulled Under at 2000 Meters a Second e incanta con Electricity.

Penso che ci siano davvero poche band che siano riuscite a mettere insieme così tante influenze nell’arco di una cinquantina di minuti, riuscendo a creare un suono unitario che pervade tutto l’album e al tempo stesso a confezionare momenti perfetti. Basti pensare all’attacco di Are You There?, a quando la voce di Lee Douglas si innesta sulle prime note del brano che dà il titolo all’album, all’accelerazione della conclusiva e strumentale Violence (forse il pezzo più vicino ai primi Anathema di tutta la successiva discografia), all’atmosfera à la Nick Drake (che sarebbe stato omaggiato da Danny Cavanagh nel bel disco di cover A Place to Be) o al passaggio da Balance a Closer, tra i miei momenti preferiti in assoluto, non solo considerando la discografia degli inglesi.

Un album sorprendente e commovente, che avrebbe meritato molto di più, superando in intensità e personalità la gran parte dei dischi usciti in quel periodo anche in ambito “alternative”, snobbato aprioristicamente dagli ascoltatori del genere e visto con diffidenza da molti appassionati di area metal, che imputavano agli inglesi un ulteriore ammorbidimento. A distanza di vent’anni, A Natural Disaster non ha perso un briciolo della sua forza e del suo fascino e ci ricorda, con ancora più forza, l’enorme vuoto che la “pausa indeterminata” degli Anathema ha lasciato nella scena musicale attuale. (L’Azzeccagarbugli)

Your dream world is a very scary place
To be trapped in

5 commenti

  • Non avrei saputo dirlo meglio.Semplicemente un capolavoro.

    Mancano tanto, troppo…

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  • https://www.reddit.com/r/Anathema/comments/11mavmc/can_someone_explain_simply_what_the_hell_is_going/?rdt=61565
    https://forum.metal-archives.com/viewtopic.php?f=1&t=131587
    Sì, magari sono un mucchio di stronzate e personalmente sono portato a credere si tratti di pettegolezzi senza fondamento. Ma vi faccio notare che per roba simile avete massacrato più di qualche personaggio.
    Di fatto credo tutti sappiano che Daniel Cavanagh ha tentato il suicidio lo scorso anno. E questo magari chiude la questione “famose du’ risate sulle disgrazie altrui”.
    Tornando in tema: sono stati una band enorme e hanno segnato indelebilmente la mia giovinezza.

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  • Con tutto il dovuto rispetto, all’epoca mi annoiò a morte e non l’ho mai più risentito, magari mi ci rimetto adesso. Il fatto è che dopo “Judgement” ho fatto una gran fatica con loro. Per me il capolavoro rimane “Alternative 4” e continuo a pensare che, con la dipartita di Duncan Patterson, abbiano perso tantissimo (i dischi con gli Antimatter mi sono piaciuti più di quelli degli Anathema senza di lui e anche “Grace road” è un bellissimo lavoro)… ma è solo un mio parere personale che sicuramente nulla toglie all’enormtà del gruppo in questione.

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  • anche secondo me discone

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  • Per i miei gusti, la loro carriera si conclude con l’album seguente. Le ultime uscite le trovo al limite del banale, in una ricerca di continuo cambiamento che ha giovato poco alla band (ripeto, parere personale). Nelle ultime date dal vivo comunque si capiva che qualcosa non andava.

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