Il nuovo THE HIVES è il disco dell’anno. Da un certo punto di vista

Nel 2000 i The Hives diedero alle stampe Veni, Vidi, Vicious, il loro secondo full. Il disco uscì per un’etichetta svedese indipendente, la Burning Heart Records, che annovera/ha annoverato nel proprio roster Refused, Turbonegro, Raised Fist e Millencolin, tra gli altri.

Veni, Vidi, Vicious pescava a piene mani da tre decenni differenti: era infatti un ibrido tra rock’n’roll, garage e punk 77. Per qualche strano motivo i singoli di questo lavoro finirono in heavy rotation su diversi canali musicali mainstream del pianeta, compresi i nostri, e fecero schizzare le quotazioni del gruppo scandinavo oltre ogni limite immaginabile. Chi di voi – ovviamente tra i più stagionati – non ricorda i videoclip dell’adrenalinica Die, Alright! (molto carina) o, soprattutto, della più facilona Hate to Say I Told you So (una mezza cacatina perfetta per attirare il lettore medio di Rolling Stone/l’ascoltatore standard di Virgin Radio)?

In quel periodo (fa quasi impressione dirlo, perché sono passati ormai oltre vent’anni) i The Hives erano davvero una delle pochissime cose rock decenti che ti si paravano davanti facendo zapping sui canali musicali nostrani durante le ore pomeridiane: proprio per questo, anche se non erano nulla di eccezionale, onestamente un po’ mi affezionai a loro. Poco dopo successe qualcosa di inspiegabile, quasi paranormale: mi ritrovai una copia di Veni, Vidi, Vicious in casa, per giunta in versione digipak. Sono quasi certo di non averla mai comprata. O almeno: questo è il mio ricordo. Ascoltai il disco qualche volta: non era malaccio. Aveva pezzi carini dotati di un discreto tiro, qualche riempitivo e un paio di peti inoffensivi. In fin dei conti, insomma, raggiungeva tranquillamente la sufficienza. Trascorso circa un anno, i The Hives sparirono per sempre e il mio cervello li rimosse completamente, sino a qualche giorno fa. Non ricordo per quale strana associazione mentale, ma ad un tratto mi sono chiesto, tipo: “Ma che cazzo di fine avranno fatto quegli svedesi vestiti da minchioni di Veni, Vidi, Vicious?” e li ho cercati con Google, scoprendo diverse cose. Dopo il 2000 hanno tirato fuori altri quattro album, l’ultimo dei quali, The Death of Randy Fitzsimmons, è uscito pochi mesi fa, precisamente l’11 agosto 2023, ad oltre dieci anni di distanza dal  precedente (Lex Hives, 2012), ed è il secondo lavoro pubblicato con l’etichetta del gruppo, la Disques Hives. Ciò che è accaduto poco dopo penso sia ovvio: l’ho ascoltato alla prima occasione utile.

The Death of Randy Fitzsimmons  per certi aspetti è stupefacente. Dal punto di vista strettamente musicale non ha assolutamente nulla di particolare: del resto, il gruppo nordico  è da sempre dichiaratamente/volutamente derivativo e la cosa va bene a tutti, sia alla band stessa che a chi li segue. Ciò che stupisce davvero è la forma dei Nostri: dopo oltre due decenni (il periodo in cui li ho persi di vista) e nonostante l’età ormai non più verdissima, proseguono senza problemi il canovaccio di Veni, Vidi, Vicious, con un’energia e una voglia a tratti davvero invidiabile, per giunta in un periodo storico in cui a suonare rock e derivati praticamente si fa la fame, escludendo chiaramente le classiche eccezioni – diciamo così – propagandistiche costruite e spinte dal sistema major/tv/giornali.

I The Hives seguono la filosofia portata avanti da qualcuno oltre 25 anni fa: quello che ti do è quello che so, che c’ho/non chiedermi di più, di più non ho. E l’unica cosa che hanno/sanno è il rock’n’roll.

Leggendo le mie parole, qualcuno potrebbe chiedersi il perché del titolo. La risposta è semplicissima: The Death of Randy Fitzsimmons  è l’unico album del 2023 che ho ascoltato ed è quindi, come logica il conseguenza, il migliore dell’anno in corso. E, tra l’altro, un disco rock’n’roll autoprodotto, genuino e passionale in un contesto socioculturale come quello attuale a voi sembra poco? A me no.(Il Messicano)

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