Belardi recensisce i Belardiak

Neanche il tempo di riprendermi dal peggior virus gastrointestinale della storia che, in chat, i colleghi mi avvisano circa l’uscita dell’album dei Belardiak. È a quel punto che l’infimo Charles mi suggerisce di scriverne la recensione, un fatto inevitabile e allo stesso inconcepibile dato il mio cognome. Approfittando di quel tanto che sono debilitato nel corpo e nello spirito, accetto senza riserve. Naturalmente i Belardiak li ha scovati Griffar – che sentitamente ringrazio – nel corso d’uno dei suoi setacciamenti su BandCamp simili a un pixel mapping. Sono cileni, ma potrebbe anche essere un solo cileno, per quel che ne so. Potrebbero anche essere due tizi di Pontedera che si atteggiano a cileni. Onestamente non so che intenzioni abbiano e mi rifugerò in calcio d’angolo adoperando la parola neofolk, che è tutto e niente, un po’ come le bancarelle dei peruviani al Piazzale Michelangelo che ti vendono quei Cd-rom con sopra masterizzati settanta minuti di flauto mentre qualcuno squarta un’alpaca per ricavarne la preziosissima pelliccia. South Park dedicò un simpatico siparietto – “it’s culture music!” – a quella roba lì. È quasi tutto strumentale. Ma Agonia en Invierno ad esempio non lo è: al suo interno si trova qualche linea vocale in screaming, il che li ricollega a Griffar.

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In realtà, scherzi a parte, Belardiak è un progetto imbastito da tale Ngen Winkul degli Eltun, un duo black metal che ha base a Santiago su cui tornerò in chiusura. Winkul suona tuttavia in modo preoccupante, se pronunciato. C’è un pezzo che si chiama Isilune Uneak che mi aggrada parecchio, così come l’attacco ottantiano in synth della title track ha il suo gran bel fascino, ma dovete sapere una cosa: io odio tutto quel che è strumentale su base di chitarre, che sia rock o che non lo sia affatto. È più forte di me. Abolirei inoltre le intro nei dischi metal con un decreto legge istantaneo, mandando in deroga Odens Ride Over Nordland, il capolavoro totale Desolate Ways e qualche altra sparsa. Sono molto contento per tutti coloro che riescono a tenere le cose strumentali del Conte di sottofondo a sessioni di yoga, trombate o anche al solo cucinare i petti di pollo al latte, ma io non ce la faccio. Ci dev’essere un Cristo che canta, altrimenti vado fuori di cervello, e poi ho vomitato in modo pressoché continuativo dalle 4:30 di venerdì notte al tardo pomeriggio del giorno seguente, perdendo fra i tre e i quattro chili di peso corporeo per poi addormentarmi per qualche minuto proprio sotto al lavello. Come fanno gli animali. L’unico dettaglio tecnico che so darvi in questo istante è che il Peridon fa, ma fa poco, e che il Plasil è una bomba ma non dovete farvelo iniettare da vostra moglie. Altrimenti ci metterà tutto l’astio che ha in corpo. El Umbral de la Pampa, un delicato sottofondo acustico per i vostri apericena sui Navigli. Dal Cile. Sotto ora con El espanto sorge de la tumba dei Dorso. E sotto con gli Eltun, che mi sono ripassato in mattinata col loro A la Sombra del Pillán, che include tracce ri-registrate delle precedenti demo e dell’EP 1553. Black metal molto aggressivo e di base molto norvegese, direi molto apprezzabile. (Marco Belardi)

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