Avere vent’anni: NEUROSIS & JARBOE

Non è la prima volta che parlo, in questa rubrica, di dischi che avevo recensito al momento della loro uscita. Non solo questa cosa mi fa sentire vecchio e mi porta a fare tediose e sterili riflessioni che vi risparmio, ma mi porta sempre a rileggere ciò che scrivevo all’epoca; e devo dire che, mai come in questo caso, le sensazioni che avevo avuto sono state confermate dal passare del tempo.

Neurosis & Jarboe, infatti, non è una mera somma delle parti, oppure un omaggio ad un gruppo – gli Swans – che ha sicuramente contato molto nella formazione dei Neurosis, e non è neanche un disco dei Neurosis con un ospite alla voce. Al contrario, ci troviamo di fronte all’incontro tra due mondi affini, ma diversi, che decidono di creare qualcosa di nuovo, sentito e personale. Pur essendo presenti plurimi e ovvi riferimenti ai Neurosis, ai Tribes of Neurot e all’industrial, il tutto viene filtrato attraverso sonorità “terze”, diverse e mai scontate, da un certo folk spettrale che richiama la moderna PJ Harvey (Recieve) a un uso dell’elettronica che sfocia quasi nell’ambient.

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Un’unione di generi davvero difficile da descrivere a parole, che crea un magma sonoro denso, oleoso e putrido su cui si staglia, in tutta la sua tossica grazia, la voce di Jarboe (solo in rarissimi episodi intervallata a quella di Von Till): a volte musa, a volte angelica, spesso ieratica, disperata e tremendamente angosciante, a metà strada tra Diamanda Galàs e le sue prove al fianco di Michael Gira.

Tutte le otto composizioni sono evidentemente costruite intorno alla voce di Jarboe e strutturate per esaltarne l’interpretazione di Jarboe che, anche a distanza di vent’anni, è quanto di più annichilente e totalizzante mi sia mai capitato di ascoltare e finisce quasi per cannibalizzare la grandezza dei brani. Perché a partire dall’iniziale, malatissima, Within, fino alla conclusiva e spettrale Seizure – in cui trova spazio anche Steve Von Till alla voce – i Neurosis, anche grazie ad un lavoro mostruoso di un enorme Scott Kelly, compongono alcune delle loro partiture più ispirate e varie, dimostrando un eclettismo davvero impareggiabile.

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Otto sinfonie di disagio e angoscia oggettivamente difficili da ascoltare e da assimilare, che lasciano atterriti e che, come un potente stupefacente, creano dipendenza e ti portano a rimettere su il disco, anche sapendo come ti sentirai dopo. Ascoltare in sequenza brani come Erase e Cringe – anche senza approfondire le visioni e gli accostamenti tracciati nei magnifici testi di Jarboe – non lascia indifferenti, e quando si arriva alla parte finale di His Last World il fiato si accorcia sempre di più.

Neurosis & Jarboe non è affatto un disco piacevole, ma memorabile, in quanto lascia delle scorie che ti si insinuano dentro subdolamente, non lasciandoti per giorni, annidandosi nei pensieri e risuonando in modo sinistro nei momenti più disparati della giornata.

Uno dei lavori migliori in assoluto dei Neurosis, nonché uno dei più sottovalutati e rilevanti, anche dopo tutto questo tempo, e forse l’ultimo album davvero imprescindibile della loro discografia, che precede la buonissima summa di The Eye of Every Storm e anticipa la migrazione della band verso altri territori che, personalmente, non ho mai trovato particolarmente appaganti. Uno sguardo verso l’abisso che, come da insegnamento nietzscheiano (o di Dylan Dog se vi sentite più pop), porterà l’abisso a scrutare dentro di te. (L’Azzeccagarbugli)

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