Come facette MAMMUTHUS – Imperator

Per ragioni di opportunità lavorativa tendo a non esprimere disaccordo rispetto alle opinioni di Ciccio, anche perché è davvero raro che non sia d’accordo. Una volta però, mi pare stesse parlando dell’influenza degli Electric Wizard sulle “nuove” leve, disse che lo stoner/doom era forse il sottogenere più vitale nel metal negli ultimi anni (ormai decenni). Non so, effettivamente, se lo confrontassimo allo stato di salute di thrash, black e death che scenario ne verrebbe fuori (forse poco ottimistico). Però alla fine quel doom è troppo facile, mi ripeto sempre, e di cloni o band scarse ce n’è da intasare lo scarico del lavandino. Fidatevi, dicono che faccio pesca a strascico su Bandcamp per i miei pezzi, ma vi garantisco che decine di pesci marci o non pregiati li ributto in mare senza darvene notizia. Pessima metafora, schifosa, per me che odio la pesca e quello che comporta (sorry, Belardi, nulla di personale). Parlo di band che manco si può dire che riciclino idee. Sarebbe troppo difficile. Al massimo prendono un riff elementare e lo usano nell’intro (lento e distorto), nella strofa (con effetto tipo eco e senza distorsione) e nel “ritornello” (superdistorto, stavolta). Qualcuno pensa che una canzone si scriva così. Avete sicuro presente, di dischi così ne escono dozzine al mese. Magari la prendete pure bene perché alla fine è musica per gente cui piace farsi certi viaggetti virtuali in santa pace. Magari non è che una scrittura più articolata o uno sviluppo armonico decente aggiungano nulla, in quei momenti, magari sarebbero pure controproducenti. Non lo so, certe cose non posso farle per limiti miei (senza giudizio, eh) e forse è per questo che il seguito che certe band hanno, nel campo della musica per eccellenza destinata a metallari drogati, non lo comprendo.

Ammazza che filippica, ed era solo l’incipit della recensione dei neozelandesi Mammuthus. Li stavo per cestinare già per il nome, da generatore automatico di nomi stoner. In copertina uno scheletro fumettoso di mammuth, appunto, poi una prima traccia intitolata Holy Goat e… E però mi sono ricreduto premendo sul triangolino. I Mammuthus non inventano assolutamente nulla, ma proprio nulla. Però le canzoni girano, spaccano abbastanza, sfruttano quei pochi topos che il genere offre, ma con competenza e cognizione di causa. Soprattutto con quel po’ di impegno che ci vuole per scrivere un buon pezzo. Non è poco. Due brani come Long Drive e Backdoor, per dire, provengono direttamente da quell’idea di stoner americano asciutto e mascolino per cui chiamo in causa Slo Burn ed Hermano. Non è che imitino il timbro di Garcia, ma l’approccio vocale è lo stesso. E i riffoni grassi, ciccioni, senza troppi orpelli. Davvero un buon disco, questo Imperator. Buono, ma davvero. Mica come quando non riesci a dire a quell’amico o conoscente cosa pensi davvero del suo gruppo. L’ultima della lista è un brano lento, psichedelico, con voce femminile, con un breve massacro sludge finale. Bastano quei pochi secondi a spettinare i Thou. Ottima chiusura, tutt’altro che tirata per le lunghe. I giochi si chiudono prima che scatti la mezz’ora di durata. È una cosa intelligente chiudere il discorso quando non hai molto altro da dire. Pure io, allora, meglio che la chiuda qui. (Lorenzo Centini)

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