Misantropia aliena: MESARTHIM – Arrival

Dopo averlo ascoltato un po’ di volte debbo ammettere che il nuovo Mesarthim non è male. Ho solo l’impressione che sia terminato l’effetto sorpresa che accompagnò i loro primi passi, e che attualmente stiano vivendo in un certo qual modo di rendita. Arrival è il settimo LP (ma in mezzo ci sono una barcata di single, EP e compilation) e ricalca in modo fedelissimo il precedente CLG J02182–05102, che già mostrava forti tendenze a proporre musica fruibile dal grande pubblico. Il loro post-black siderale, che tanto ha contribuito a generare il filone cosmic black metal, nel tempo ha avuto la propensione a semplificarsi, diventando quasi mainstream; tolto lo screaming, unica caratteristica che continua a legarli al black metal, non sono rare le tracce che ci si può azzardare a definire elettro-pop-rock.

Degli otto brani, tre sono brevi strumentali che sembrano tipica musica elettronica degli anni d’oro: uno di questi (per la precisione Part IV – anche loro non si sono sprecati a dare dei titoli ai pezzi) sembra una creazione di Vangelis. Ma questi interludi poco aggiungono all’opera: o ne fai qualcosa di significativo, di illuminante, oppure non lasciano alcuna traccia, non impressionano, non destano particolare interesse. Ci sono e va beh, ne godiamo, ma se non ci fossero nulla cambierebbe. Per il resto oggi i Mesarthim sembrano un incrocio tra i Depeche Mode più elettrici, i Muse di Knights of Cydonia, lo speed/thrash e il black atmosferico. Inusuale, indubbiamente. Però rende l’idea. Danno il meglio nei pezzi più lunghi, come Part VI, dieci minuti di rock/metal sorretto da tastiere avvolgenti che diventano cibernetiche quando serve, con un bel feeling di musica elettronica anni ’70, assolo di chitarra Nwobhm, alternanza eccellente tra sezioni più aggressive e musica che con il metal ha scarsa attinenza se non nulla. Oppure in Type IV, che di minuti ne dura diciassette e ha continue variazioni, per rimanendo ben definita dall’attuale stile dei Mesarthim e ricalcando la struttura della succitata Part VI.

Ha senso dire che questo modo di suonare se lo sono inventato loro e questo gli fa onore; a me sembra che, man mano che il tempo passa, i ragazzi stiano cercando di addentrarsi nel campo del pop-rock, cosa che gli riuscirebbe quasi istantaneamente se decidessero di abbandonare lo screaming e scegliessero di adottare soluzioni meno ostiche per l’ascoltatore medio di musica pop, difficilmente in grado di digerire questo modo di cantare. Sarebbe indecoroso non riconoscere il loro genio nel concepire melodie accattivanti, così come l’innata propensione a costruire brani che tengono il piede in talmente tante scarpe da farmi chiedere come mai questi ragazzi australiani non siano ancora diventati delle rockstar di livello planetario, perché, se ci si mettessero, si mangerebbero vivi tanti fenomeni che infestano le classifiche di vendita mondiali come la gramigna, vedi Maneskin.

Indigeribili se avete un necro-approccio al black metal stile anni ’90, Arrival ha tutte le caratteristiche per essere apprezzato anche da ascoltatori più generici, perché qui di black metal è oggettivamente rimasto poco o nulla. Ascoltatelo, vi piacerà. Esce per Avantgarde music in digitale, CD e anche doppio vinile (100 copie nere, 300 arancioni) da 190 grammi, però senza inserti con testi o altre informazioni, e questo a mio parere è un peccato: per il prezzo che si paga ci si aspetta sempre un po’ di più. (Griffar)

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