La lista della spesa di Griffar: il trionfo del raw black atmosferico
In questo articolo vi parlo di qualche altro gruppo che merita un po’ d’attenzione; ci troviamo nel sottogenere raw atmospheric black metal, quindi musica fondamentalmente grezza impreziosita da tastiere, sintetizzatori, sovraincisioni di chitarra con effetti morbidi, tipo il flanger e cose simili, spesso con produzioni caserecce non particolarmente curate per dare un’idea di ruvidità di base. È tutta musica che ho scoperto di recente ma non tutta è del 2023, una parte risale agli ultimi giorni dell’anno scorso. Spero che la cosa non v’infastidisca più di tanto; comunque in giro di questi dischi si è parlato pochissimo, quindi potete fare finta che siano usciti ieri.
The Hell We Have Chosen è il secondo disco degli americani STRIXSKOG, nati come progetto dungeon synth puro – vedi il loro esordio eponimo e l’EP Land of Cursed Spells, entrambi del 2021 – salvo sposare la causa del black metal nel successivo EP Dark Age Funeral Dreams dell’anno scorso, che ha ancora svariate caratteristiche proprie del dungeon synth benché ibridate con i chitarroni black, una batteria elettronica rocciosa e minimale e uno screaming ai limiti dell’insopportabile per quanto è dilettantesco. C’è stato un sensibile miglioramento, grazie al cielo, perché The Hell We Have Chosen offre una mezz’ora spaccata di buon black metal atmosferico non particolarmente tirato, caratterizzato da partiture di chitarra che sembra siano state immaginate prima sulle tastiere, come avviene nel dungeon synth, e solo successivamente arrangiate per chitarra elettrica. Pertanto i riff sono apprezzabilmente melodici e piacevolmente complicati, senza arrivare alle masturbazioni ultratecniche tanto care a certi gruppi venuti fuori di recente. Lo screaming è migliorato in modo esponenziale, i pezzi (sei in tutto) non sono eccessivamente lunghi, l’ascolto è scorrevole. Non si grida al miracolo perché per quelli bisogna rivolgersi altrove, ma una discreta figura gli Strixskog la fanno. C’è spazio per progredire e in futuro fare anche meglio.
Parliamo adesso di un fiore del male nato nel fertile campo di ortiche carnivore ecuadoriane. L’esordio dei CRÎSSÄEGRÎM è composto di un black metal marcio, nerissimo e assai crudo, lanciato a velocità prevalentemente sostenute, reminiscente del riffing di matrice primissimi Emperor e Cradle of Filth. Il tutto è sapientemente mescolato con tastiere liquide di varie fattezze: dai toni alti e onirici di palese ispirazione dungeon synth a quelli medievaleggianti, fino a sonorità tipiche del carillon. La commistione funziona benissimo, dato che il ragazzo (anche se questa è una one man band) sa scrivere riff incisivi che, se ascoltati un numero sufficiente di volte, rimangono in mente come quelli di The Principle of Evil Made Flesh o Wrath of the Tyrant. Hanno già pubblicato due dischi: il full Mtmrfs e l’EP Ethêrea, entrambi nel corso dell’anno passato a breve distanza l’uno dall’altro. Io non li avevo mai sentiti nominare ed è incredibile, perché musica di questo livello è difficile che passi da me inosservata, eppure li ho scoperti per caso solo un mesetto fa, non di più. I pezzi sono nervosissimi, aggressivi come piace a me, vari e strutturati – specie quelli dell’EP, ché sono due sportellate da circa dodici minuti l’uno, mentre i pezzi del full sono mediamente più brevi – e adottano sonorità minimali tipiche del raw black metal degli ultimi due/tre anni, zanzarose, scabre, spoglie di ogni orpello e consistentemente low-fi. La batteria si sente a stento (tranne in stacchi solisti come in Ethêrea II, un semplicissimo e veloce tumpa-tumpa-tumpa in 4/4 che però ci sta a pennello), la voce è relegata a un ruolo secondario laddove sono tastiere, chitarra e parzialmente basso a prendersi carico del risultato finale, di assoluto pregio. Il full èanche un po’ più rude, con la batteria meno nascosta dal mixing, ma non si riscontrano differenze nella proposta musicale. Se vanno avanti così prevedo nuove uscite di pura goduria. Versioni fisiche per ora solo in cassetta, naturalmente limitatissime ed introvabili da un pezzo. Per tutto il resto c’è Bandcamp.
STELLAR KINGDOM è la one woman band di una ragazza francese, tale Lila Starless, presente anche in almeno altri venti progetti, nessuno dei quali tuttavia particolarmente sulla cresta dell’onda o in odore di picchi di notorietà siderali. Demo Compilation 2020/2022 è l’esordio discografico del progetto: per le sonorità retrò a me ricorda tantissimo le prime uscite dei Kristallnacht (era Warspirit e giù di lì) o le prime cose degli Eisenwinter. Pezzi minimali dalle partiture aggressive e brutali sulle quali viene intarsiata una tastiera molto “sintetizzatore vecchio stile” che toglie spigolosità, aggiunge melodia, mitiga l’assalto all’arma bianca provvisto da chitarra, basso e batteria (sempre arrangiati in modo spoglio, privo di fronzoli e quindi rudi al massimo livello immaginabile) e rende tutti i pezzi orecchiabili. Eh già. Per quanto possa essere contrastante con il concetto di raw black metal (perché sempre di raw black metal si parla, seppur ambient/symphonic) la musica della fanciulla è orecchiabile. Romantica, quando ci si mette. Anche marziale e maestosa come certe tastiere dei Summoning, se l’ispirazione la porta in quei contesti. Il tutto senza perdere alcunché in tiro, grinta ed energia. Mica male. Il disco è molto bello e merita attenzione e sostegno. Poi vedremo se avrà un seguito, perché con tutti i progetti che ha in piedi ‘sta tipa non le basterebbero anni da 24 mesi e giorni da 48 ore per stare dietro a tutto (può sempre chiedere a Belardi il segreto della sua giornata da 76 ore, ndbarg). Intanto ci godiamo questo esordio, uscito in versione fisica come oramai prassi in un’edizione ultralimitata in cassetta oppure in digitale.
Suona antico anche il miniLP d’esordio dei WIND CATHEDRAL, svedesi. Conjurer of the Wind consta di cinque pezzi per circa 27 minuti di musica: produzione minimale, tastiere vecchio stile, stacchi acustici, improvvisi momenti fast black metal, up-tempo deathrasheggianti, voce straziata a stento intuibile, voce pulita stile Falkenbach, batteria tumpa tumpa burzumiana… Gli ingredienti ci sono tutti. Non c’è assolutamente nulla di nuovo qui, solo una mezz’oretta scarsa di musica che i fanatici del black metal d’essai come me non potranno disprezzare. Su, dai, non facciamo gli elitari: questa musica piace adesso come allora. È evil, è necro, è frosty eccetera, suona come una demo di un qualsiasi gruppo nordico (o anche sudamericano, è questo il bello) primi anni ’90 e ci sta. Quindi suona bene: per chi si sente nostalgico in questa riarso e anomalo principio d’estate è un consiglio da prendere in considerazione.
That’s all, folks! (Griffar)

Gli Stixsog me li segno, sono da tenere d’occhio.
Ascoltando la musica di CRÎSSÄEGRÎM sono riuscito per la prima volta in assoluto ad apprezzare senza riserve questo cosiddetto “raw black metal”!
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