Avere vent’anni: TYPE O NEGATIVE – Life is Killing Me

Per i Type 0 Negative entrati nel nuovo millennio la caduta è graduale, ma inesorabile: World Coming Down, musicalmente e caratterialmente l’esatto contrario di October Rust che lo precede (scritto e pensato apposta per stendere il più alto numero possibile di sbarbe adoranti quando i ragazzi sono in città), ha venduto una frazione di quanto previsto nelle più funeste proiezioni, l’interesse evaporato più presto di una pozzanghera a luglio – da un pezzo il catalizzatore di ogni controversia è Marilyn Manson, e da Mechanical Animals in avanti arranca pure lui; passata la sbornia electro/depechemode/industrial/sperimentale, il metal si è assestato su equilibri graniticamente tradizionalisti da cui si schioderà soltanto un abbondante decennio più tardi; e comunque Napster ha azzerato le vendite in generale, mentre l’intera industria musicale non ha ancora la più pallida idea di come riorganizzare gli assetti.

Nell’estate 2000 la Roadrunner, a cui dovevano per contratto altri due album, butta fuori senza consultarli un truffaldino The Least Worst of contenente una cover di Black Sabbath col testo cambiato, qualche inutile remix e tutte le versioni corte e epurate dei loro successi – quelle che finivano nei videoclip ma non nei dischi: Christian Woman senza le gag blasfeme, Black #1 di 4 minuti eccetera – in altre parole una bella pila di niente, inutile per spremere qualche altra sbarba (che adesso scarica gratis tutt’altro, e i ragazzi hanno tutti staccato i quaranta o stanno per), perfino offensiva per i pochi fan rimasti.

Indesiderato e a malapena notato, Life is Killing Me esce a giugno 2003 dopo una campagna promozionale al risparmio (poche e frettolose interviste, il video di I Don’t Wanna Be Me non finirà nemmeno su MTV, solo nei canali tematici a pagamento) e un tour imbastito in tutta fretta che li porterà per la prima volta in Italia nel pieno dell’estate più torrida da quando esistono le rilevazioni; il titolo originario sarebbe dovuto essere The Dream is Dead, tanto per mettere in chiaro com’è che è andata, poi chissà perché l’hanno cambiato in questo che trasuda una triste ironia da cabarettista sul viale del tramonto con repertorio fermo ai tempi di Johnny Carson ma fiacco.

È l’ascolto più agile e piacevole in tutta loro discografia, senza pezzi di un quarto d’ora e intermezzi di rumore bianco, senza picchi né rovinose cadute, inoffensivo come le musichette al supermercato e anestetico come una botta di Valium che fa pure salire i ricordi di tempi migliori; tutto scorre come una linea retta che connette il punto di partenza al punto di arrivo, belle canzoni che non ho mai sentito il desiderio di riascoltare da allora in poi, a parte la conclusiva The Dream is Dead che per me sta agli stessi livelli dei grandi classici a cui torno regolarmente. Da un pezzo Peter Steele era diventato un assiduo consumatore di cocaina, forse da questo deriva il tono distaccato e quasi indifferente del disco, di testi che hanno lo stesso spessore e la stessa intensità dei discorsi casuali tra estranei in fila al cesso per pippare, sequenze di parole e frasi di circostanza per riempire il silenzio in attesa che la porta si apra. Erano gli ultimi momenti di (relativa) quiete prima dell’implosione per Peter Steele, il caldo era irreale e l’estate nel 2003 pareva non sarebbe finita mai. (Matteo Cortesi)

6 commenti

  • Avatar di Federico

    Che non sia ai livelli dei predecessori non ci piove.
    Però non posso nemmeno dire che sia così pessimo come descritto.

    Vero che anche il successivo Dead Again gli è comunque superiore e riuscì ad essere un canto del cigno notevole.

    Nonostante tutto, non riesco però ad odiare questo “The Dream is Dead”.

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  • Avatar di Gundalf

    Concordo su tutto.

    Spero solo che quest’estate non si debba sopportare lo stesso merdoso caldo soffocante di 20 anni fà.

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  • Avatar di Fanta

    Su Spotify il brano che raccoglie più ascolti è I don’t Wanna Be Me.
    E l’album?
    Quello in oggetto.
    Non significa nulla, forse. O sì? Per esempio, banalmente, viene alla mente che le nostre categorie di lettura dell’estetica sono vetuste. Non contano più un cazzo. Superate. Finite. Disintegrate dal presente.
    Ma continuiamo a fare come se fossimo negli anni 90.
    Ciò non significa che non sia d’accordo, almeno in parte, con la tua analisi, m.c. Ma appunto, parlo al plurale per questo.
    Infine, da parte tua: nessuna allusione a uno dei brani più densi, disillusi e amari della loro discografia: Anesthesia.
    E daje su.

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  • Avatar di nxero

    L’atmosfera generale che si respirava a inizio duemila c’è tutta nelle parole della recensione. Era un periodo in cui effettivamente sembrava che ogni cosa fosse implosa su se stessa per lasciare spazio al vuoto cosmico, sepossibile anche più spinto degli anni ’80. In questi i valori e le lotte del decennio erano quasi irrisi, sicuramente evitati: c’era una gran voglia di disimpegno. Nei primi duemila la sensazione era che ormai non c’era più nulla da cui disimpegnarsi e anche chi, chi negli anni novanta, aveva vissuto una stagione votata al recupero degli ideali dei settanta, si era accorta che l’utopia era definitivamente collassata.
    Credo che tutto questo si traduca nel disco, che comunque è un lavoro rispettabile nel suo essere specchio dei tempi.
    E sincerimente credo che le risate che ho fatto con “I like goils” credo oggi non sarebbero più proponibili 😀

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  • Avatar di Bartolo da Sassoferrato

    ricordo di aver letto, forse in una biografia di qualcuno, che Peter Steele in un live durante il tour comprò con la band tonnellate di noti cereali, li verniciò di bianco e poi mentre la band suonava li scaricò sul pubblico per “simulare una nevicata”

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  • Avatar di sciup1

    Quasi dei predestinati alla sconfitta, un disco precedente mastodontico e cagato da pochi e questo, forse ancora meno, sarebbe stato il capolavoro assoluto dell’era dei dischi revival dei bei tempi andati, solo fosse uscito vent’anni dopo.

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