Avere vent’anni: RAGE AGAINST THE MACHINE – Renegades

Minchia. Compie vent’anni l’ultimo vagito discografico di una delle band generazionali più importanti di sempre. Chiunque abbia vissuto musicalmente anche solo uno scampolo di anni ’90 sa alla perfezione quello che sto dicendo. Potete avere qualsiasi legittima opinione sui RATM ma sapete benissimo che, quando partono pezze come Bombtrack, Bulls on Parade o Killing in the Name, le chiacchiere stanno a zero. Poco prolifici, e imprigionati in una formula perfetta e incendiaria che però avrebbe consentito pochi sviluppi, si congedarono con questo disco di cover, che sarà anche stato una mossa commerciale (a ridosso di Natale, e infatti me lo ritrovai sotto l’albero) o un obbligo contrattuale ma chiuse la storia quanto meno degnamente.

La selezione dei brani scelti e il risultato finale sono conseguenza diretta delle due anime della band: da una parte i tre musicisti, che convenzionalmente vengono identificati come la parte “rock”, dall’altro De La Rocha, quella “rap”. Ma le cose sono in realtà molto più sfaccettate. I tre futuri Audioslave messi insieme sono una macchina da groove inaudita (sì, ok, anche grazie a Garth Richardson, Brendan O’Brien e, in questo caso, Rick “re Mida” Rubin), ma singolarmente li trovo musicisti sopravvalutati.

Brad Wilk metronomo senz’anima, potente ed anonimo. Forse è per questo che Rubin se l’è portato dietro anche in 13, al suo posto avrebbe potuto esserci anche una drum machine (e forse…). Ma ogni tre per due si fa fotografare col pugno chiuso, per cui puoi parlarne male? Su Tim Commerford vale lo stesso identico discorso, con in più il fatto che tiene il basso sopra la cintola e sapete come le penso al riguardo. Però appena ne ha l’occasione si fa fotografare col pugno chiuso, per cui vi pare il caso di parlarne male? E Tom Morello, regolarmente nelle classifiche sui migliori chitarristi. Mah… Ci tiene tanto a dichiarare che tutti i suoni che sembrano frutto di schede elettroniche li fa invece lui con la chitarra. Bravo. Mi ricorda quello della mia città (Aprilia, LT) che faceva “la risata” con la chitarra. Il vero problema è che una buona scheda elettronica ben programmata può fare benissimo quello che fa lui. Invece il tocco e l’anima di un chitarrista vero non potrebbe replicarli, ma se il suo tocco è quello che tira fuori quando prova a fare rock e assoli “normali” siamo messi male. Opinione mia, eh. Ad ogni modo, se c’è un fotografo in giro, si fa fotografare col pugno chiuso, per cui mi sa che non è il caso di parlarne male.

Ammetto, però: i tre, messi insieme, sono una macchina che produce groove inauditi, su questo c’è poco da controbattere. Ma chi ci metteva davvero dinamite e cartavetrata era Zach De La Rocha, passato hardcore e presente hip hop, zapatista e bombarolo musicale prima ancora che ideologico, nervi e sangue dei RATM erano definitivamente i suoi ed infatti l’unico che successivamente ha tirato fuori qualcosa del livello dei RATM (no, gli Audioslave purtroppo no) è stato proprio lui col bellissimo EP One Day as a Lion, in cui, guarda un po’, rappava su basi di solo synth, no basso e pattern di un batterista veramente di razza, Jon Theodore.

Ma mi rendo conto che sto divagando, manco fossi un pescatore fiorentino, e che a questo punto vogliate sapere la mia su Renegades, per cui vi risparmio gli aneddoti su Manuel che fumava ai cessi del liceo ed era il nostro Zach. Veniamo al disco: una selezione schizofrenica che va da Afrika Bambaataa ai Minor Threat a Springsteen con risultati alterni, non tutti di livello, ma con picchi talmente alti da raccomandarvi comunque l’ascolto se non ci siete cresciuti come me. Ai tempi già bazzicavo il rock in maniera piuttosto enciclopedica, per cui è ovvio che sia rimasto freddo a sentire questa versione sciatta di Kick Out the Jams, ma non ero (e non sono ancora) sufficientemente edotto della scienza della doppia H da avere riferimenti con cui confrontare le esplosioni di Microphone Fiend, Renegades of Funk e How I Could Just Kill a Man. Ma anche paragonandole oggi coi brani originali, il trattamento RATM e il suono imbastito con cinica efficienza da Rubin li trasformano in altro, in puro RAGE AGAINST THE MACHINE, ovvero in inni al fomento che senti al fondoschiena tanto fanno male. Applausi.

Anche In My Eyes graffia e scalcia (batteria e basso un po’ in affanno, forse?), mentre sul resto del versante rock qualcosa non va per il verso giusto. Sacrosanto l’omaggio agli Stooges (che poi è in realtà è il secondo dato che li avevano già “citati” in Sleep Now In The Fire). Ovviamente qui viene del tutto smorzata la lascivia, mentre non ci facciamo mancare il solito assoletto da videogame del cazzo. I Devo trasfigurati in una lagna con parti di chitarra da saggio di scuola di musica e De La Rocha costretto al crooning sono il vero colpo basso (nel senso di pessimo) del disco. Meglio invece, e molto, i trattamenti subiti da Springsteen e Dylan, per fortuna irriconoscibili, che hanno lasciato due dei pezzi migliori della collezione. (Lorenzo Centini)

 

3 commenti

  • Non saprei dire se erano sopravvalutati so solo che quando li mettevamo in macchina al massimo del volume si scatenava l’ inferno delle fiancate metallizzate

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  • beh, se si fa fotografare col pugno chiuso è sicuramente un eroe. In fin dei conti oggi è gesto così rivoluzionario e controcorrente.
    Da domani pure io conto di girare per la mia città col pugno chiuso ed un basso attaccato al mento. Per carità, onore al merito per l’ottimo primo disco, ma poi anche basta con i riff ricopiati e gli slogan da occupazione dell’istituto di ragioneria, soprattutto a 50 anni e col salvadanaio pieno

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  • Difficile esprimere un giudizio sui RATM, perché si prestano a opinioni molto personali badate su antipatie e simpatie, sull’interesse o meno per il rap, sul loro essere politicamente esposti.
    Detto questo, i primi due sono una bomba, seppur con riff debitori in modo palese di Page, anche il secondo, che risulta meno easy listening.
    Su una cosa non sono d’accordo però: Tom! È un grandissimo chitarrista, non ci sono discussioni, può non piacere ma é un innovatore e un solista di gran livello, anche quando suona pulito.

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