INTER ARMA – Sky Burial (Relapse)
Ad esaltarsi per dischi come questo si fanno spesso figuracce, specie se certe rece vengono rilette a qualche anno di distanza. Ed è sempre un richiamare alla memoria tentativi di scrittura che mostrano un’evidente insufficienza intellettuale prima che tecnica, uno scopre le falle di un discorso che, come quelli che faccio io, fa spessissimo acqua da tutte le parti. E poi un ritornare su motivi retorici più o meno consolidati per poter descrivere a parole un disco di pseudo avanguardia. Ecco, quando uno affronta un discorso del genere in merito a band che mai hai sentito prima, perché i suoni dell’underground americano coltivato dalla Relapse in territori postmetal qui hanno attecchito ben poco, come diavolo fa a trovare le parole per descrivere un suono nuovo, privo di continuità effettive non tanto con un universo di cui può far parte quanto con la tua mensola dei dischi? Manca proprio il cervello. Non so se, ma è dura.
Gli Inter Arma sono un gruppone post metal di quello grosso e spesso che ha in Kylesa e Mastodon un riferimento cardinale soprattutto per l’uso delle chitarre. I primi non tanto influenti in merito alla qualità effettiva della loro proposta (i fan mi perdoneranno), quanto per la riuscita sintonia dei suoni più svariati in un contesto tutto metal (anzi, una specie di nuova regola metal). Metal pestone di derivazione chiaramente mastodontica, un tantino di post hardcore e crust moderno o come preferite chiamarlo (è un po’ da lì che vengono i Kylesa dei primi dischi), afflati psichedelici senza mai cadere nella follia palingenetica di Locrian, Wolves In The Throne Room e compagnia echeggiante, e uno standard estremo che oramai non è più né black, né death, né niente. Sludge per via dei tempi liquidi? Questo non saprei dirlo. Metal “estremo” alla Tombs? Già ci siamo. E, come sempre, una grattata di Neurosis sopra che non fa mai male. Da questi prendiamo pure i riff imperiali e possenti e li portiamo al livello delle normalissime sonorità contemporanee di Richmond, città da cui questi screanzati vengono e che pare li stia portando in palmo di mano in questi delicatissimi momenti di sblocco dell’underground.
A Richmond ormai deve essere difficilissimo trovare un solo gruppo metal vecchio stile alla Anvil, giusto per citare una band sfigatella qui omaggiata da Ciccio, tutti a rincorrere ‘sto cavallo del post metal. Che ci volete fare, è un po’ una nuova mitologia dell’eroe metallaro della working class, solo che un tempo i riferimenti erano altri mentre oggi c’è sludge ovunque.
Tracce lunghissime, di quelle che i Rwake erano forse già più bravi, dieci minuti a testa, vocioni evocativi e una produzione che inizia a starmi un po’ sullo stomaco. Il tentativo di giocare la carta della resa live quando poi gli artifici tecnici per riprodurre tale suono sono tremendamente posticci indispettisce non poco. Senza contare che ad una sospensione emotiva attesa dal disco non si presta sempre benissimo una scelta di suoni del genere. Alla fine, non era meglio un disco un tantino più grezzo? Almeno avremmo coperto certe falle tecniche che in dieci minuti di psichedelia di quarta vengono a noia.
Chissà quante recensioni positive leggerete. Per quanto mi riguarda, devo ancora imparare a digerire i migliori in questo genere, figuriamoci gli Inter Arma, che pare abbiano pure la loro bella storia underground. Ogni tanto certe aperture chitarristiche su uno sfondo rallentato e magmatico fanno sperare bene (mi riferisco, ad esempio, a Westward o a The Long Road Home) ma c’è comunque tanta di quella retorica che solo i fan del genere potrebbero tollerare per bene, abituati a sonorità follemente ossessive come queste. A forza di ascoltarlo, il disco si lascia prendere sempre più, d’accordo, ma c’è quella fastidiosa sensazione di improvvisazione spiccia (che comunque non riesce neanche lontanamente a competere con l’ultimo Eagle Twin, per fare un esempio) che non aiuta, diciamo. Noi siamo nati per essere veloci.
Chiudo con lo spunto per una polemica pacifica. Anche ‘sta cosa che la Relapse deve mettere i piedi in almeno tre scarpe diverse mi fa impazzire. Voglio dire, questa roba d’avanguardia qua per gente che rischia di arrivare a Richmond senza neanche essere passata per i Neurosis è già fuori moda, è già in crisi, e il pur buono Honor Found In Decay lo dimostra, anche se chiaramente non fa testo, visto che si tratta di un’altra scena, altra gente, altre intenzioni. Come è che me ne accorgo io e loro no? O forse si tratta di un semplice passaggio di testimone, se è vero che, visti gli ultimi dischi di Mastodon, Kylesa e compagnia bella, forse gli spunti più interessanti conviene trovarli altrove, fosse anche in un disco come questo.
Vi lascio con la speranza che almeno tutto questo un giorno possa trasformarsi in ciccia superando la fuffa tanto congeniale a queste sonorità.
Solo per i fan, avremmo letto su una qualsiasi testata almeno dieci anni fa. Pazza Inter Arma.
Ciao.

a me non fanno schifo
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Questo me lo sento, grazie a Mastodongesualdo.
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