Frattaglie in saldo #3

Se tavoli autoptici e sbudellamenti sono il vostro pane quotidiano, dovete procurarvi assolutamente Legacy Of The Ancients (Victory), quarto album dei californiani Pathology, uno dei migliori (s)platter vomitati quest’anno dalla scena death metal a stelle e strisce. Nata da una costola dei Disgorge (band ormai in congelatore da quando, due anni fa, un tumore si è portato via il bassista Ben Marlin), questa devastante formazione di San Diego ci massacra i timpani con un cruento brutal dalla resa piacevolmente classica nonostante le tinte goregrind (siamo dalle parti di Lividity e Fleshgrind) fatto di ripartenze torcibudella e mid-tempo scapoccioni che a volte lasciano trasparire qualche vago accenno di melodia, un po’ in stile Monstrosity. Sugli scudi il drumming implacabile e chirurgico dell’esimio Dave Astor (già visto all’opera con i Cattle Decapitation e gli allucinanti The Locust) e l’inintelligibile gurgling di quell’immonda cloaca umana di Matti Way. Rispetto alla band madre, i Pathology suonano leggermente più old school e badano più al groove e all’impatto che alla velocità d’esecuzione fine a se stessa., il che è un bene. Un autentico massacro: se amate il genere non fateveli scappare. Gli Angelus Apatrida , da parte loro, avevano tutte le carte in regola per starmi quantomeno simpatici. Vengono dalla Spagna, paese a me particolarmente caro, e suonano thrash metal, uno dei miei generi prediletti. Il guaio è che questo tipo di musica  è talmente legato ad un preciso contesto spaziotemporale da essere, di fatto, improponibile in altre epoche e altri luoghi. Clockwork (Century Media), terzo lavoro del quartetto castigliano, fa tenerezza per la caparbietà con la quale tenta di riportare in auge sonorità che, a parte un paio di vecchie glorie, nessuno è mai riuscito realmente a trasportare nel nuovo millennio. Le concessioni al gusto moderno (leggasi The Haunted e compagnia cantante) sono ridotte al minimo, ma ispirarsi a Testament e Assassin nel 2010 senza suonare triti e stantii è davvero arduo. E gli Angelus Apatrida, pur con tutta la buona volontà di questo mondo, non ci riescono. Poi, certo, c’è di peggio.

"Questi Blood Revolt non mi convincono affatto..."

Ad esempio, i terribili Blood Revolt, che vorrebbero apparire assai intelligenti, sperimentali e ricercati ma poi scopri che dietro a tale monicker si celano due campioni dell’Osmose sound più puzzone come Chris “Vermin” Ross e James Read, tizi che hanno suonato in gruppazzi ignorantissimi come Revenge, Axis of Advance e- attenzione – gli indispensabili Arkhon Infaustus, tutta gente stimatissima qui a Metal Shock. Però, che cazzo, due zoticoni consimili devono restare fedeli alla triade alcol-puttane-satana, non possono mettersi a fare gli intellettuali, sennò è come se gli Exploited tirassero su un side-project free jazz. Indoctrine (Profound Lore) è uno dei dischi più genuinamente orrendi abbia ascoltato di recente, un’accozzaglia insensata e caotica di riff death da asilo nido, stacchi simil-nu metal e parentesi, ehm, atmosferiche e una batteria (di pentole) che se ne va per fatti suoi in brani che non hanno alcun filo logico che non sia infilare un cambio di tempo alla cazzo di cane ogni due secondi. Dispiace veder coinvolto in cotanta bruttura il vocalist dei Primordial Naihmass Nemtheanga, che, quando non si cimenta in un cantato doom del tutto fuori contesto, ci polverizza le gonadi con parti recitate per veicolare chissà quali profondi concetti metafisici. Peggio di un attacco di dissenteria durante una retrospettiva di Von Trier sottolineata in turco. Sempre in tema di gente che non ha un cazzo da fare, ecco a voi i fantasmagorici Insidious Disease, supergruppo che raccoglie il cantante dei Morgoth (ve li ricordate?) Marc Grewe, la coppia d’asce tutta norvegese formata da Silenoz (Dimmu Borgir) e Jardar (Old Man’s Child), il bassista dei Napalm Death Shane Embury e il batterista-prezzemolino americano Tony Laureano. Shadowcast (Century Media) è il tipico disco nato per per cazzeggio: la sostanza è pochina ma il risultato generale non è osceno, a patto che non si abbiano eccessive pretese. La matrice è un death metal old school di stampo europeo con chitarracce sporche e cadenzate  che lasciano sovente spazio a rallentamenti e aperture melodiche dal retrogusto blackish (“Facedown”, “Abandonment”). Niente di che, ma se vi capita un ascolto dateglielo, tanto per curiosità.  (Ciccio Russo)

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