Speciale hardcore italiano ’80 – prima parte

“Il committente è un bastardo e voi fate un lavoro di merda”

Alcuni ora te li immagini pure imborghesiti, imbolsiti e quant’altro. Magari solo venti anni prima avevano fatto la rivoluzione a suon di proclami esageratissimi e chitarrone scordatissime, avvolti in abiti e cinghie che i peggiori Crass potevano solo immaginarsi. Eppure tutta questa nuova classe dirigente (i famosi cinquantenni che ci hanno consegnato quel che resta di ‘sto mondo) un tempo non è scontato che non fossero anche loro dentro qualche progettino culturale o musicale, magari anche piccolissimo, figlio di quell’antagonismo slegato dalle ruggini dei movimenti extraparlamentari, che un po’ intercettava realmente le suggestioni più attuali del cambiamento politico e sociale.

E così nasce l’hardcore in Italia. Niente di più semplice. Una volta scontato il ritardo fisiologico nella ricezione delle novità della musica pop (e già questa apertura era sintomatica di uno scarto culturale oltre il beat, oltre il pop, oltre il prog e la psichedelia) e dopo aver anche determinato finalmente la propria autonomia culturale dalle influenze esterne, nasceva l’hardcore e deflagrava in Italia una bomba musicale fatta di malcontento, superamento delle antiche ideologie, rinnovamento dell’etica della controcultura e, soprattutto, si assisteva alla nascita di piccoli ma cazzutissimi nuclei di ragazzi, a volte poco più che adolescenti, interessati all’autoproduzione e all’indipendenza dal mercato.

C’è da dire che le passate esperienze politiche dei giovani italiani negli anni ’70 non hanno mai smesso di gettare definitivamente la loro influenza anche nell’hardcore di dieci anni dopo. Questo non significa però che i punx non avessero ridefinito i loro nuovi bersagli antagonisti. L’estetica ora era più definita nel senso di tutte quelle suggestioni moderniste e postatomiche che erano pane quotidiano per i fan dei Discharge. A questo si aggiunga pure quella sensazione ansiogena da fine dell’impero, da crollo dei sistemi forti, e molto spesso pure da fall out nucleare.

Parlare dell’hardcore italiano in senso stretto è piuttosto rischioso. Si rischia di fare dei distinguo di troppo, inutili se si pensa che in effetti l’approdo del punk e dell’hardcore in Italia è stato fondamentalmente contemporaneo a quello della prima wave, etc. Non si dimentichi poi che i Clash che suonavano gratis con le più oltraggiose magliette ci arrivavano in Italia ormai a rivoluzione innescata. Chi voleva capire aveva già capito, insomma. E allora dagli di boicottaggio, di venduti, di ‘fanculo ai Sex Pistols, etc. Ormai non c’erano più i punk, c’erano i punx, e le famose “credenziali dei Clash” (cit.) non fottevano più la nuova audience che già si era attrezzata con nuovo materiale sonico e ideologico.

Detto ciò, la rassegna che esporrò sarà ovviamente incompleta, diciamo pure parziale, strettamente limitata a quelle realtà musicali che meglio conosco e che ritengo più riuscite in Italia. Ricercare materiale musicale dei gruppi hardcore italiani è ormai facilissimo non solo grazie alla rete ma anche grazie ad un recente e rinnovato interesse delle etichette indipendenti e delle distro che molto spesso si occupano di rimasterizzazioni e lussuose ristampe in vinile. I nomi li conoscete.

5 BRACCIO Prima dei Negazione erano i Quinto Braccio ad ospitare la chitarra di Tax Farano, per certi versi autentico guitar hero dell’HC italiano. Nel 2007 esce “Blackout a Torino”, volume che raccoglie praticamente tutto il materiale di questa band poco più che amatoriale ma già incazzata come una bestia. Il loro primo demo è una specie di reliquia. La naiveté con la quale intonano slogan contro la violenza nelle carceri è allo stesso tempo emozionante e sconvolgente.

BLOODY RIOT Rozzi come pochi, i BR da Roma hanno ancora oggi da scontare presso molti punk la loro diffidenza verso qualsiasi ideologia precostituita, a riconfermare che se hai 18 anni e vivi in un bucio di culo di paese fa più effetto una canzone contro la Naja che non una contro la Nike. Recentemente la pressoché totalità del materiale è stata ristampata in un case (“Ardecore de Roma”) in cui sono raccolti tutti i loro più noti anthem: da “Naja de merda” a “No eroina”. Il loro stile era rozzo, rissoso, urlatissimo ma molto meno dischargiano di tanti colleghi. Forse più amatoriali di altri, ma il loro disagio era palpabilissimo.

BLUE VOMIT Anche loro torinesi, padrini dei ben più noti e corrosivi Nerorgasmo (che riprenderanno il classicissimo inno “Mai capirai”), si distiguono per un suono amatoriale e disimpegnato, dominato dal cattivo gusto e da un odio generalizzato un tanto al chilo. Nel 2007 una ristampa omonima raccoglierà tutte le prove della band (ovviamente mai ufficiali). Adolescenti incazzati.

CANI Da Pesaro, i Cani tirano fuori un Ep (“Guai a voi”) da considerarsi tra i primi e più riusciti lavori dell’hardcore nostrano. Urlatissimi, antimilitaristi, proletari filobritannici e con un pizzico di groove rock ‘n’ roll.

CHAIN REACTION Orgoglio barese (assieme ai Last Call), solo nel 1985 pubblicano l’Ep “Gabbie” ripercorrendo la strada dell’hardcore più freeform e stridulo di band come i CCM. Ci si ricorda di loro anche per il Bowler studio nel quale registraranno persino Impact e I Refuse It. Periferia della periferia dell’impero, pensate un po’, ma il loro Ep è uno dei migliori dischi HC italiani di sempre. E non la sparo grossa.

CHEETAH CHROME MOTHERFUCKERS Nome assurdo, i CCM fanno parte del notissimo Granducato Hardcore, ovvero la risposta toscana al centralismo musicale di stampo milanese-torinese. Alla faccia dei dischargiani, i CCM pubblicano una sfilza di dischi stortissimi e caratterizzati dal vocalismo esasperato di Syd, tra i quali spicca “Permanent scar”, lo split del 1983 che condivisero con gli I Refuse It e che è da considerarsi sicuramente una delle prime nonché più convincenti prove di antagonismo hardcore italiano assieme al successivo “Into the void” del 1986. Negli USA si ricordano di loro assieme ad Indigesti, Wretched e Negazione.

CONTRAZIONE Torinesi, sotto contratto con Blu Bus, storica indie appartenuta agli aostani Kina, pubblicano due dischi dei quali ricordiamo soprattutto lo split coi fenomenali Franti. Ispirati, intellettuali, cinematografici (nel senso di Dziga Vertov, il documentarista di Kinoglaz, film che diede il nome al loro disco) lavorano su un hardcore già diluito nelle esperienze della new wave.

CONTROPOTERE Punx napoletani un po’ fuori tempo massimo, registrano un demo nel 1986 e solo nel 1989 pubblicano il loro capolavoro “Nessuna speranza, nessuna paura”, crocevia di suggestioni hardcore, allucinazioni industriali e istrionismo da arte performativa a cui seguiranno altre due prove nei primi anni ’90 all’insegna di un cyberpunk sempre più elaborato. Look crust, pezzi lunghissimi e voce femminile per chi ha fegato di entrare nel loro mondo.

CRASH BOX Bandiera nazionalpopolare dell’HC milanese, i CB se fossero stati un briciolo più noti di altri colleghi avrebbero sfondato pure ai poli. Pezzi rapidi, dinamici, melodici, evidentemente americani. Ci suonerà Massara degli Extrema alla fine degli anni ’80. Ultimamente è stato pubblicato un doveroso volume antologico ma voi recuperate i primi dischi, quelli più HC e soprattutto il loro demo.

DECLINO Ho sempre sostenuto, ma senza approfondire troppo, che la scuola torinese fosse più violenta e politicizzata di quella milanese. Non so se è vero, sicuramente i Declino e tutta la scena torinese precedente (Quinto Braccio e Blue Vomit) avevano un qualcosa che anticipava in un certo senso l’odio e quel tombale senso di disfatta dei futuri Nerorgasmo. Pubblicano la loro esigua serie di Ep ma passano alla storia con lo Split coi Negazione, quel “Mucchio Selvaggio” del 1984 che manda affanculo pure gli americani. Il basso di Bernelli pulsa velocissimo, la voce è disperata. Nel 2003 un best of raccoglie pezzi tra lo split e i due Ep “Eresia” e “Rivolta e negazione”.

EU’S ARSE Il “culo d’Europa” (come da moniker) è Udine, insomma. Ancora attivi (il loro disco omonimo è del 2008), pubblicano un noto Ep, “Lo stato ha bisogno di te?”, e soprattutto uno split con gli Impact di Ferrara. Evidentemente dischargiani nel suono, velocissimi, antimilitaristi e sporchissimi.

FALL OUT Da La Spezia, i FO pubblicano uno storico Ep, “Criminal world!” (1983), e proseguono pure fino agli anni ’90. Sound americaneggiante.

FRANTI A rigor di logica, qui non dovrebbero starci. Troppo wave, troppo celebrali, troppo tutto. Eppure, come ben pochi gruppi, solo i Franti hanno rappresentato in pieno il concetto di autoproduzione e indipendenza dal sistema speculativo delle etichette discografiche. Culminano con “Luna nera” (1983), capolavoro di sperimentazione, e stemperano il loro sound in una tavolozza fatta di folk, punk, wave e suggestioni arsty. Sono in coda quando si parla di wave italiana dopo Litfiba, Diaframma, etc.

I REFUSE IT Ancora Granducato Hardcore, ancora un gruppo stortissimo. Con una bella tastiera in primo piano, pubblicano uno storico Split coi CCM e offrono una proposta di testi che oltrepassano la politica. Di recente un cd antologico (“Cronache del videotopo”) ha provveduto a raccogliere tutto il materiale della band, importante testimone in Italia di una trascuratissima ala rumoristica e sperimentale dell’HC figlia dei Flipper. Oltre l’HC comunque, già nella free-form.

IMPACT Seminale band di Ferrara (ancora attiva), pubblica almeno tre dischi ed uno Split con gli Eu’s Arse da mandare come testimonianza agli alieni. “Solo odio” del 1984 (recentemente ristampato in vinile) e “Attraverso l’involucro” del 1986 entrano nel novero delle produzioni punk migliori d’Italia. Veloci, tostissimi, urticanti.

INDIGESTI Se n’è già parlato. Recuperate TUTTO. Vercelli HC. La vocina di Rudy manda a casa il machismo di Henry Rollins.

(Clicca qui per la seconda e ultima parte)

9 commenti

Lascia un commento