La cupola del Brunelleschi s’è storta: SPEED KILLS – Marasma
L’abusato termine scena locale è definito da tutti quei gruppi che rivediamo molto spesso, sul palco, entro precisi confini geografici. A Firenze, un tempo, entravi in un locale piccolo e in modo pressoché sistematico si esibivano tali Holy Land, in uno medio l’ennesimo concerto dei Domine. Eppure te li riguardavi sempre, che ti piacesse o no il power metal. Per molti anni Firenze è stata una succursale del power metal e del death metal melodico e/o tecnico, con rarissime eccezioni. Oggi va per la maggiore il metal estremo, alternato a un cinquanta percento di metalcore.
Una delle più gradite eccezioni con cui spesso mi capita d’avere a che fare sono gli Speed Kills, attivi sul palco con una frequenza incredibile, con culmine raggiunto nel novembre 2023 al Viper Theatre, di spalla a Mortuary Drape, Frozen Crown e Slug Gore. Quella serata la ricordo semplicemente pazzesca a partire dalle band d’apertura, tutte.
Marasma è il loro secondo album e segue l’omonimo del 2018, cui si somma l’EP Devastation Unleashed – la cui copertina raffigurava la cupola del Brunelleschi tutta ‘torta, messa alla cazzo di cane, un po’ tipo l’attuale AC Fiorentina – che è stato pubblicato undici anni orsono.
Parto da una buona notizia: non dura neanche mezz’ora, il minutaggio ideale per chi, appunto, in un marasma di metalcore dai ritornelli urlati o patinati, opta per un thrash metal frontale e privo di fronzoli come il loro. Sette anni fa al debutto omonimo li ricordavo sì maturi, eppure un po’ debitori nei confronti del thrash metal germanico. Sin dall’attacco di Platform 9 si sente un vago sentore americano, direi direttamente dai Metallica di Kill ‘em All, con gli Slayer chiamati in causa sul bridge e sul rallentamento conclusivo. Gli assoli di Niccolò Talenti riprendono più volte lo stile di Kirk Hammett. Non che la Germania sia scomparsa: Velociraptor è tutta sua, è stata scelta come singolo, e, se riguardate la scaletta di Devastation Unleashed, noterete certamente qualcosa. Quella componente americana, The American Way per dirla alla Sacred Reich, andrei col tempo accentuandola anche per pianificare, completare e differire le proposte future.
Subentra con prepotenza il cantato in italiano di Andrea Sacchetti, e va ad occupare metà della scaletta. Lo estenderei a tutte le composizioni che verranno e non lo toglierei più, perché la sua resa, a confronto con i brani cantati in inglese, è sfacciatamente migliore.
Il terzetto conclusivo è quello che ho apprezzato maggiormente. Speedcore minimale come da manuale dei primissimi Destruction, con urla sguaiate sulla scia dei Vulture; Graffiti una incredibile bordata hardcore punk con un metronomo semplicemente impazzito; Quello che siamo il riff iniziale da canticchiare a oltranza, a riprova del fatto che questo cantato in italiano è decisamente da mantenere. Buona anche la produzione, un bel rullante e cassa per Gabriele De Feo, e un basso ben udibile per Luca Oliviero a certificazione dell’ottimo lavoro svolto sul mixaggio.
Bel disco, superiore al precedente e pronto ad infiammare e sfasciare tutto quanto nelle future scalette degli Speed Kills. Che dal vivo non mi hanno veramente mai deluso. (Marco Belardi)


