Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie: cinque dischi estremi al confine fra i generi
Per quanto ci sforziamo di fare i musicologi del popolo o gli esegeti del giovedì sera, emerge in noi, più forte e più spesso di quanto ci aspetteremmo, un grande bisogno di grindcore, crust punk, powerviolence, insomma di quell’estremismo sonoro senza compromessi, che vada subito al punto e che ci metta in chiaro una cosa: là fuori c’è un mondo incazzato nero. Alla ricerca di esponenti interessanti per questo genere che ci è così caro fin dalle nostre più tenere età, abbiamo fatto un giro sia nella nostra penisola che un po’ per il resto del mondo e abbiamo trovato alcune nuove uscite, cinque per la precisione, nelle quali il filo conduttore non è tanto lo stile in senso stretto quanto il grado di ferocia, la canzone ridotta ai suoi minimi componenti, fino alla sua ultima essenza e quella sensazione costante di precarietà rancorosa che solo certi dischi sanno darti. È un giro veloce nell’underground poco frequentato e poco indicizzato dagli algoritmi, di gente che passa il proprio tempo in sale prove umide e a rischio costante di cortocircuito: Bologna, Catania, l’Inghilterra, Richmond in Virginia e infine la Svezia più arrugginita: posti diversissimi ma tutti accomunati dall’idea che la violenza sonora sia una realtà vitale, necessaria, che non si può mai addomesticare.
ESTINZIONE / KLAVA – split
Degli Estinzione vi avevamo già parlato su Metal Skunk, quando l’anno scorso era uscito il primo album omonimo, una botta di grindcore all’italiana, prodotto in proprio e con idee già chiarissime. Oggi li ritroviamo in coppia con i concittadini Klava su uno split condiviso, co-prodotto da una manciata di etichette sparse tra Italia e resto d’Europa, che è già un buon indizio del fatto che l’album stia girando parecchio nei circuiti grind e crust continentali. Il lato Estinzione è tutto centrato sulla trilogia Kali Yuga Infinito I, II, III: tre pezzi che stanno in pochi minuti di ascolto, ma costruiscono un piccolo universo a sé, tra immagini apocalittiche di guerra e risentimento, unite a un linguaggio personale, che ormai è un tratto distintivo del gruppo. Musicalmente restano sul loro grindcore classico, con riff sempre sul punto di sbandare e un suono volutamente rumoristico, ma sempre leggibile. Sono la componente più veloce e nevrotica del disco, quella che preferisce buttarti addosso idee a raffica piuttosto che lucidare i dettagli. I Klava si muovono da premesse e da immaginari molto simili, per cui utilizzano la stessa materia prima e la abbinano in un suono più potente. Sembrano venire dall’hardcore più istintivo: tempi medi, tanta enfasi sulla cadenza, un suono più grosso e più metallico, con la sezione ritmica in rilievo e la voce sempre urlata. Dove gli Estinzione centrifugano, i Klava schiacciano. La cosa bella è che, pur partendo da coordinate simili, i due gruppi hanno personalità abbastanza distinte da non confondersi. Insieme fanno uno split che si ascolta volentierissimo e lo immagini suonato al centro sociale della tua città, fino a orari improponibili.
Lato Estinzione:
Lato Klava:
SEHNSUCHT – Il Tempio di un Ego Assassino
Restiamo in Italia ma ci spostiamo parecchio più a sud: i Sehnsucht arrivano da Catania e si definiscono blackened crust, cioè quel punto d’incontro fra black metal, crust e punk che prende il peggio di tutti e tre e lo rende ancora più malsano. Li avevamo notati sulla compilation tributo ai Discharge, uscita un paio d’anni fa. Il Tempio di un Ego Assassino è il loro primo EP ufficiale, uscito a novembre, anche questo da una co-produzione di varie etichette. Cinque pezzi, poco meno di mezz’ora, un suono che colpisce sia per la violenza che per la precisione, con una scrittura che fa molta più attenzione all’atmosfera di quanto la prima botta potrebbe far pensare. Già dai titoli Pece, Seme Senza Terra, Martire del Vuoto, Strazio Impuro, Terra Finita, si capisce che qui non si parla di birra, amici e giri in furgone, ma di roba esistenziale e catastrofica, raccontata con un italiano sofferto e pieno di immagini variegate. Il loro stile va per accumulo: riff ipnotici, d-beat, mid-tempo e blast beat, voce scream riverberata, che però si coniuga in vari registri, diventando a volte profonda e rituale, come in Martire del Vuoto. La cosa che colpisce è la grande forza dinamica del disco: nonostante le durate generose, perché tre pezzi su cinque superano i sei minuti, i Sehnsucht riescono a tenere insieme la spontaneità del crust e una certa solennità più tipicamente metal. È una delle uscite italiane più interessanti del momento in questi territori di confine, per chi cerca qualcosa che non sia né il solito crust sbabbiato, né l’ennesimo clone scandinavo.
THUMBSUCKER / ATOMÇK – split
Un altro split, questa volta dalla scena inglese. I Thumbsucker arrivano da Leicester e negli ultimi anni hanno iniziato a comparire sempre più spesso nella scena grind e powerviolence: demo, full length, split vari, tutti all’insegna di pezzi brevissimi e fastidio permanente. Sul loro lato del disco il copione è chiaro: speed hardcore/powerviolence che va dritto alla gola, brani che spesso non arrivano al minuto, riff semplici, voce che sembra un tizio che urla contro la radio al bar. Nessuna voglia di reinventare qualcosa: l’originalità se la giocano sul feeling, su quel modo molto inglese di infilare un humor nero e di disagio quotidiano anche quando stai suonando per venticinque secondi di fila. Gli Atomçk, invece, sono da tempo veterani dell’underground: in giro dalla metà dei Duemila, discografia piuttosto lunga, un grindcore che non cerca nessuna approvazione. Il loro stile è molto meno lineare: tanti cambi improvvisi, strutture contorte, urla belluine, chitarre ronzanti, un rullante da goregrind. Messo tutto insieme, lo split funziona quasi come un piccolo manuale di due scuole diverse: da una parte il powerviolence immediato, istintivo, dei Thumbsucker; dall’altra il grind più stralunato e acido degli Atomçk. Al primo ascolto possono sembrare ostici, ma poi viene sempre voglia di rimetterli su.
Anteprima Thumbsucker:
Anteprima Atomçk:
PRIVATE HELL – To Dust You Shall Return
Adesso ce ne andiamo negli Stati Uniti: i Private Hell vengono da Richmond, in Virginia, e negli ultimi anni hanno messo in fila un demo, un paio di EP e il flexi Wake Up Screaming, impostando da subito un suono che si può riassumere in black thrash, hardcore e death metal, tutto nello stesso frullatore. To Dust You Shall Return è il loro nuovo 7″, ideale prosecuzione del loro viaggio, dove la componente thrash death viene fuori con più decisione: chitarre ribassate, quella saturazione della vecchia Stoccolma che riempie ogni riff di senso, ma con improvvisi ritorni al crust che rendono tutto molto scorrevole. Anche i temi dei testi sono appropriati per il genere: dipendenze, guerra psicologica, distopia, poco ottimismo, il tutto scritto in maniera diretta, senza allegorie troppo complicate: più che filosofeggiare, i Private Hell raccontano cosa vuol dire svegliarsi ogni giorno con la sensazione di essere già in una specie di inferno amministrato da tiranni, algoritmi e burocrazia. Sembra di parlare di cose già viste e sentite, in realtà hanno uno stile molto personale e sono molto interessanti per chi viaggia le zone di confine fra generi.
ZADISM – Under Sadistic Law
Chiudiamo la rassegna risalendo ancora più a nord, in Svezia, con i Zadism. Diciamo subito che siamo fuori dal campo grind in senso stretto, perché il loro esordio Under Sadistic Law è dichiaratamente un disco di black thrash metal, anche se l’attitudine e il livello di aggressività li rendono stranamente compatibili con il resto dei gruppi sopracitati. Il gruppo arriva dalla zona mineraria di Bergslagen e nasce dalle ceneri dei Maniak; è un duo che dichiara devozione tanto al primissimo underground brasiliano (Sarcófago, Vulcano, primi Sepultura), quanto alla scuola thrash tedesca anni Ottanta. Il singolo Under Sacred Soil mette subito le cose in chiaro: chitarre zanzarose, batteria speed, voce roca e acida. I pezzi sono brevi e compatti, scritti con la consapevolezza che non siamo più nel 1985, ma rifiutando allo stesso tempo di appiattirsi sulle comodità delle produzioni contemporanee. Il suono è ruvido al punto giusto: tutto è comprensibile, ma rimane quella patina abrasiva e maligna che in fondo ci piace sempre da impazzire, e questo EP è davvero ciò che promette: breve, brutale, senza tregua e con riff tanto curati da renderlo irresistibile. (Stefano Mazza)





Mi interesserebbe sapere della signorina nome, cognome e codice fiscale, grazie
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ho visto chi è la ragazza, purtroppo oggi è piena di “plastica” peccato…
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