L’innominabile musicista norvegese ha fatto un disco con l’intelligenza artificiale

Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι µᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς.
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
GIOVANNI, III, 19

Il disco di cui vedete la copertina qua sotto mette in discussione le fondamenta stesse di una recensione tipica. Sarebbe infatti scontato che io specificassi l’autore, ma nella circostanza non so come comportarmi, perché il suddetto disco è frutto dell’intelligenza artificiale. Nonostante me ne occupi spesso per lavoro, io non ho ancora ben capito che cosa sia l’intelligenza artificiale, e non mi sono di aiuto le varie opinioni che ho raccolto da scienziati e addetti ai lavori che spesso si possono riassumere in “l’intelligenza artificiale non esiste”, essendo un concetto talmente vago che con esso si comprendono tecnologie e strumenti completamente diversi tra loro. Ad ogni modo, nella specifica fattispecie della composizione musicale, con intelligenza artificiale si intende l’uso di determinati programmi che vanno opportunamente istruiti e indirizzati allo scopo di produrre musica grossomodo automaticamente.

La persona che si è occupata di istruire e indirizzare il programma, in questo caso, è Varg Vikernes. Anzi, Louis Cachet, perché ormai all’anagrafe si chiama così: Cachet è il cognome della moglie e Louis è un nome francese che si è scelto perché adesso lui vive in Francia e quindi si sente francese, suppongo. L’ex inquilino delle galere norvegesi ha comunque avuto il buon gusto di non fare uscire l’album a nome Burzum, usando il nome di Hyperborea Rising che a questo punto non ho idea se sarà un progetto con un qualche tipo di futuro o sarà limitato alla presente uscita. Immagino che dipenda da svariati fattori: può essere che sia una semplice provocazione, e quindi finisca qui; oppure il Nostro vuole vedere se la cosa possa riscuotere un qualche tipo di successo, e in tal caso potremmo vederne una qualche continuazione. Vedremo, ma direi che non è questo il punto.

Parlando del disco in senso stretto, è una roba ambient medievaleggiante che può andare bene come sottofondo mentre si gioca a Dungeons & Dragons o al gioco di ruolo che Vikernes mise sul mercato qualche tempo fa. Sono un discreto ascoltatore di ambient e dungeon synth e sinceramente qui non c’è alcun aspetto che mi faccia pensare all’origine sintetica della musica; in altre parole, se non avessi saputo già in partenza della genesi del disco, avrei avuto tutti i motivi per pensare che questo fosse uno dei tanti album compresi in questo sottogenere e che vengono solitamente prodotti con un sintetizzatore, una tastierina e un computer.

Ciò mi porta al nocciolo del discorso, cioè l’impatto del progresso tecnologico sulle nostre vite quotidiane. Saprete perfettamente che sull’argomento c’è una varietà di opinioni che va dal più cupo pessimismo all’ottimismo entusiasta, e anche io ho una opinione in merito. Amici, io credo che stiamo assistendo alle fasi finali della civiltà umana. Ho la ferma convinzione che la storia universale sia composta da cicli di varia grandezza, i più piccoli compresi nei più grandi, e il farsi sostituire dalle macchine non rappresenta che uno degli ultimissimi tasselli di un percorso che porta inevitabilmente al totale oblio. Non stiamo vivendo la fine di un ciclo più piccolo, e neanche la fine di un ciclo medio, o mediogrande: sta scorrendo sotto i nostri occhi la conclusione di un’epoca dell’umanità dopo la quale i pochissimi sopravvissuti si ritroveranno a cacciare cinghiali con pietre appuntite e raccogliere i frutti dagli alberi senza più neanche ricordarsi quali di questi sono buoni e quali tossici. Tutto ciò che abbiamo costruito negli ultimi diecimila anni verrà sepolto da terriccio e polvere per millenni, fino a quando una nuova civiltà, che si sarà faticosamente costruita dal nulla, verrà devastata dalla scoperta che, un numero inimmaginabile di anni prima, su questo pianeta c’eravamo noi. Le tracce che potranno scoprire saranno poche, perché troppo tempo sarà passato, e gli elementi naturali avranno distrutto pressoché qualsiasi cosa, anche ciò che ora reputiamo immutabile e indistruttibile. Tutto verrà annientato: le nostre città, la nostra cultura, ogni intervento umano sulla natura si tramuterà lentamente in polvere. Non c’è modo di poter tornare indietro: è troppo tardi, e non è nell’interesse immediato di nessuno stroncare le magnifiche sorti e progressive della marcia tecnologica, anche perché tale radicale decisione andrebbe presa ad un livello globale, unanimemente, e sappiamo benissimo che ciò non accadrà mai.

Considerato tutto ciò, come si giustifica una scelta del genere da parte di uno come Vikernes, che si picca di vivere in mezzo ai boschi rifiutando la modernità? Probabilmente, nel suo confuso pantheon ideologico, il noto polistrumentista deve avere avuto un singulto spengleriano. Il flusso della Storia è inarrestabile, chi rimane indietro non è da considerarsi un coraggioso, ma uno scarto fisiologico che finirà stritolato dalle spire dell’ineluttabile. Non so quanto sia stato cosciente questo ragionamento da parte sua, ma così è. Intanto noi godiamoci quanto abbiamo, finché possiamo. (barg)

Ducunt volentem fata, nolentem trahunt

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