Birre da 66 alle 9 del mattino: HELLBEARER – Darker Fates

Ho visto la foto degli Hellbearer su Metal Archives, quella in bianco e nero. Conosco personalmente un mezzo sosia di ciascun membro. Il tipo a destra si chiama Kieran Brooks e suona il basso: un mio conoscente pistoiese era identico a lui intorno al 2002/2003, e abbiamo frequentato assieme alcuni Gods of Metal e raduni fra metallari. Una volta provò profondo raccapriccio per il comportamento mio e di un altro metallaro, allorché, in seguito a una serata ad Ariccia a mangiare a una fraschetta (trenta bottiglie di romanella in venti), proseguita poi al pub Transilvania in non ricordo quale frazione o comune limitrofo (due pinte per il sottoscritto), ci eravamo coricati per riposare in stanze diverse nello stesso motel di Valmontone. Ricordo che la vista della nostra finestra di camera dava su uno sfasciacarrozze e che il cavo dell’antenna della televisione era come mangiato dai ratti. Ricordo anche che non spendemmo quasi niente e che questo mio amico aveva appena acquistato un album dei Liquid Tension Experiment e ne parlò per ore, come se me ne fregasse qualcosa. Al mattino il sosia del bassista degli Hellbearer trovò me e questo metallaro, mio coetaneo ed anch’egli fiorentino, intorno alle 9:00 all’aria aperta, seduti e belli comodi, con in mano Gazzetta dello Sport, panino alla salsiccia e Moretti da 66cl. Non ci rivolse la parola per ore.

Sono certo che, per essere sicuro di non rivolgerci mai più la parola, egli si sia trasferito a Manchester e abbia formato, fra il 2021 e il 2022, gli Hellbearer. Una bella copertura che è saltata nel momento esatto in cui ho avuto accesso al loro promo.

Il loro thrash metal, alla seconda prova in studio, richiama quello in voga nel 1991, con Idolatry dei Devastation e affini simili a un convoglio di mezzi blindatissimi passato un po’ troppo in fretta e furia per etichette d’assoluto rilievo, come Combat Records. Si sentono i Sepultura nelle chitarre: The Mantra è un pezzo quasi da manuale. Immancabili i riferimenti al death metal, fra growl e – fortunatamente – rari blast beat ad arricchire una ricetta altrimenti al cento per cento fatta e impiattata.

Counting Seconds è un singolo, e attacca con le armonizzazioni degli Slayer e la medesima voglia di invocare oscurità. Poi la butta su un ritmo danzereccio quasi tedesco, e non ho capito come cazzo sia potuto succedere che, in una sala prove, quattro musicisti si siano trovati d’accordo sull’accatastare una simile sequenza senza litigare fra loro e finire come i Napalm Death delle prime formazioni, quelli in cui all’improvviso metà line-up scompariva nel camion dei rifiuti, per poi riapparire sana e salva altrove.

Il sosia del batterista, quello a sinistra, a una festa di compleanno alle scuole medie, durante il consueto rito anni Novanta in cui si spegneva la luce e tutti toccavano il culo alle figliole, si ritrovò in mano a luce appena riaccesa una chiappa del mio compagno di classe Riccardo e mai più riapparve a una festa di compleanno. (Marco Belardi)

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