Quarant’anni di lucida oscurità: CELTIC FROST – To Mega Therion

Il 27 ottobre 1985 i Celtic Frost pubblicarono To Mega Therion e quella che fino ad allora era sembrata una curiosità dalla Svizzera diventò improvvisamente una faccenda seria, al pari dei coltelli Victorinox e degli orologi di plastica Swatch. Era ancora vivo il ricordo degli Hellhammer, formazione giovanile e perturbante, la prima di Tom G. Warrior e Martin Eric Ain, nell’immediato vituperata quanto oggi riconosciuta come fondamentale per l’evoluzione del metal estremo mondiale. Dal superamento degli Hellhammer erano dunque nati i Celtic Frost, che si erano già fatti notare con gli EP Morbid Tales e Emperor’s Return, grazie ai quali avevano attirato un certo culto tra gli appassionati più curiosi, ma con To Mega Therion fecero un deciso passo avanti in tutto: ambizione, coerenza, suono, composizione.

Per la prima volta, i Celtic Frost si trovavano nelle condizioni di realizzare un album vero e proprio, con il supporto di una casa discografica specializzata, la tedesca Noise Records, una delle poche etichette europee in grado di interpretare l’arrivo di una nuova scena in quegli anni e di valorizzarla. Il disco fu registrato e inciso a Berlino in appena due settimane, a settembre, e così riuscirono a farlo uscire in ottobre. Per la copertina venne scelta l’opera Satan I (1977) di H.R. Giger, il quale ne approvò l’uso a seguito di un contatto diretto con Tom G. Warrior. Fu uno di quei connubi straordinari, che si verificano soltanto di rado. To Mega Therion e Satan I insieme non solo funzionano benissimo, ma si rafforzano a vicenda e sono diventati un manifesto visivo e sonoro ormai inseparabile, perché l’immagine interpreta alla perfezione la musica e viceversa: è un connubio cerebrale, blasfemo, viscerale e riflessivo allo stesso tempo.

Nel 1985 stavano accadendo cose fondamentali per il metal: negli Stati Uniti si affermava il thrash della Bay Area, in Germania il thrash alla tedesca, in Svezia era appena uscito The Return… dei Bathory, in Italia avevamo i Bulldozer. La Svizzera del 1985 era un’altra periferia del metal, aveva infrastrutture musicali minime, poche etichette specializzate e riviste o fanzine quasi assenti. In alcune circostanze particolari, la lontananza dai centri maggiori di sviluppo può avere anche una contropartita positiva, ovvero far nascere qualcosa di stilisticamente libero, privo di idee già esistenti, ma proprio per questo singolare tanto da sorprendere, e To Mega Therion fu proprio così: c’entrava poco con quello che stava accadendo altrove, era proprio un’altra categoria. L’idea di metal che scaturisce dall’album è europea, in un senso profondo del termine: poco legata alla tecnica o alla velocità, molto più attenta al peso del suono, al timbro e al messaggio, ovvero all’atmosfera generale. Laddove gli americani o gli inglesi perfezionavano la macchina, i Celtic Frost lavoravano su un linguaggio nuovo: eliminavano gli eroismi strumentali, che provenivano dalla tradizione rock’n’roll e blues, per costruire una musica grave, densa, che non cerca l’equilibrio compositivo, ma che anzi lo destabilizza continuamente.

To Mega Therion è un disco oscuro per via dei testi, che trattano di morte, decadenza, mitologia, ma soprattutto per la natura stessa della musica: le canzoni non seguono schemi riconoscibili, i cambi di tempo spiazzano, i riff non sempre hanno lo spazio per risolversi davvero. Erano caratteristiche già ben intuibili nei precedenti EP del gruppo, che con l’album trovarono un’espressione piena e consapevole. Oggi potremmo dire, con altre parole, che è un “disco d’arte”, perché ogni scelta è coerente, meditata e parte di un progetto complessivo, wagneriano. Un altro aspetto dell’album è che lo si capisce poco al primo ascolto, non è nemmeno nato per essere capito del tutto, e, se To Mega Therion è così solido e visionario, lo si deve unicamente a Tom G. Warrior: fu infatti lui a dirigere l’intero progetto, sopperendo alle difficoltà personali e musicali degli altri membri del gruppo, in particolare alla mancanza di Martin Eric Ain, primo bassista e cofondatore del gruppo, il quale non partecipò alla composizione perché era stato temporaneamente estromesso dal gruppo per divergenze caratteriali e gestionali. Per l’incisione di settembre 1985 il basso venne registrato da Dominic Steiner, un turnista di studio assunto appositamente. In varie interviste successive, Tom ha raccontato che completò gran parte del disco da solo, con grande scetticismo da parte della Noise, la quale non capiva cosa stesse uscendo da quello studio berlinese. Tom ha inoltre definito To Mega Therion un album senza compromessi, perché realizzato quasi interamente in solitudine. In effetti quella mancanza si avverte, non tanto a livello tecnico, perché il suono del basso resta possente e ben integrato, ma a livello di identità collettiva: è chiaramente un disco di Tom G. Warrior, quindi sua la visione personale prende il sopravvento su ogni altro equilibrio interno, diventando così la testimonianza di un musicista creativo ma isolato, il quale, privato delle sue controparti consuete, accentuò le proprie ossessioni e radicalizzò le forme.

Proprio in quella assenza nasce l’inconfondibile personalità del disco che Tom arrivò a definire “un mondo a sé”, cosa che in effetti fu. Alcune delle novità assolute che si possono ritrovare in To Mega Therion sono i corni francesi, la voce femminile, le parti orchestrali. Per un disco della metà degli anni Ottanta, ovvero quando l’heavy metal si trovava ancora all’inizio delle sue evoluzioni estreme, erano scelte molto bizzarre e rischiose. E poi ci sono gli inconfondibili “Uh!”, “He-he-hey!” di Tom: esclamazioni diventate un marchio, forse involontario, ma perfettamente coerente con l’idea di un metal che non deve essere raffinato, ma primordiale e quasi liturgico. Martin Ain tornerà nella formazione poco dopo l’uscita dell’album e parteciperà ai tour, ma l’impronta lasciata da quella frattura rimase indelebile.

Come si accennava sopra, To Mega Therion non è solo un disco, ma è l’inizio di un linguaggio nuovo: anziché cercare di suonare “più forte” o “più veloce”, come praticamente tutti gli altri stavano cercando di fare nello stesso periodo, Tom Warrior si mise a lavorare alla costruzione di un mondo nuovo, in totale libertà e ogni elemento del disco venne utilizzato in questo senso: musica, illustrazione, fotografia, grafica, testi. Questa sua idea si ripercuoterà in tutto il mondo heavy metal, che grazie a questo e a pochi altri album smetterà di essere un genere derivato, ovvero un modo di fare hard rock più aggressivo, per diventare un genere autonomo, con stilemi propri, simboli, suoni, gesti e immagini caratteristici che lo differenzieranno per sempre dal resto della musica. Il metal si distaccò definitivamente dalle proprie origini rock e diventò un’arte totale, con una propria grammatica e con significati specifici, che i Celtic Frost stavano già codificando a metà degli anni Ottanta. Tutto ciò che oggi riconosciamo come metal estremo ha un debito con To Mega Therion. Il suono delle chitarre degli Obituary e degli Asphyx, per esempio, discende direttamente da lì. Non è quindi un caso se, pur essendo spesso classificato come thrash, che a suo tempo era uno dei termini che identificavano il metal estremo, To Mega Therion appartiene a un genere tutto suo, e allo stesso tempo a tutti i generi che da lì sarebbero nati: death, black, doom, avant-garde.

Al momento dell’uscita, l’album non fu accolto trionfalmente: la stampa britannica, che era la più attiva sul fronte metal, ma che stava diventando rapidamente conservatrice e generalista, dopo aver stroncato il precedente Morbid Tales, continuava definire i Celtic Frost “barbari”, mentre altrove vennero per lo più ignorati. A rivalutarlo furono prima gli appassionati attraverso le fanzine, poi la generazione successiva di musicisti estremi, che sarebbe arrivata pochi anni dopo. Oggi Decibel Magazine lo colloca nella propria Hall of Fame (n. 123), affermando che con To Mega Therion il black, il thrash e il death metal acquisirono una grandezza e un’ampiezza di visione che fino ad allora non avevano mai avuto.

Arnold Schönberg si dà al ping pong dopo aver ascoltato Necromantical Screams, nel suo giardino a Brentwood, Los Angeles, 1940. Fotografo sconosciuto, per cui noi attribuiamo l’immagine a Marco Belardi

La cosa più notevole di To Mega Therion è che non ha perso nulla della sua completa estraneità: ancora oggi, a chi lo ascolta per la prima volta, non suona per nulla datato, ma alieno, perché non aderisce ad alcun canone, non offre appigli melodici, non cerca di piacere, ha un suono cavernoso, poco accattivante, freddo, ma al tempo stesso affascinante e ipnotico. Lo si percepisce ancora come un oggetto che sfugge alle categorie. Le canzoni, pur avendo una struttura riconoscibile, non hanno nemmeno dei ritornelli propriamente detti, perché le melodie sono convolute e attenuate, tuttavia questi brani restano nella memoria proprio per la loro enigmaticità, perché li si vorrebbe comprendere meglio e, non ultimo, per l’impatto fisico che producono. È un disco che richiede concentrazione e restituisce visioni: lo si ascolta soprattutto per riconnettersi con una forma di urgenza artistica che nel metal, a volte, si perde di vista.

Intravedere un parallelismo fra To Mega Therion e la Seconda Scuola di Vienna dei primi del Novecento può sembrare strano ed eretico, ma d’altra parte noi siamo eretici e il senso è questo: nel 1985 i Celtic Frost fecero col metal una cosa simile a quella che Schönberg e i suoi allievi Berg e Webern fecero con la musica tonale, ovvero tolsero i punti di riferimento agli ascoltatori, per riassumere grossolanamente il concetto, arrivando a codificare un nuovo sistema compositivo che avrebbe sconvolto tutta la musica successiva. Anche To Mega Therion stravolse il linguaggio musicale del metal, mettendone in discussione le stesse radici, ripensando l’estetica dei suoni e presentando canzoni concentrate su un risultato complessivo straniante, piuttosto che sull’aggressività immediata dei loro contemporanei. È un disco difficile da ascoltare non perché estremo in sé, ma perché rifiuta la grammatica familiare dell’heavy metal e, come accade con la musica di Schönberg, l’ordine c’è, ma non dove l’orecchio lo cerca. To Mega Therion resta quel punto di non ritorno che si dimostrò quarant’anni fa e sarà per sempre uno di quei dischi che fanno parte di tutti noi, che li ascoltiamo o no, e rappresentano quelle opere in cui il metal smette di essere intrattenimento e diventa arte. (Stefano Mazza)

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