FROSTMOON ECLIPSE @Officina Civica, Calenzano – 18.10.2025

Nuovamente Firenze Metal, stavolta sotto una formula già nota e denominata Metal Forever. La serata all’Officina Civica era così impostata: otto band in apertura e un headliner, i Frostmoon Eclipse di Claudio Alcara. I quali, loro non lo sanno, e lo scopriremo più avanti, si chiamano in realtà in un’altra maniera. Un gruppo denominato Back One Out ha tenuto fede al significato del proprio nome, battendo in ritirata, e si è subitaneamente scesi a quota sette più i blackster liguri. Il pubblico ha scarseggiato nei numeri rispetto all’ottima serata con i Ponte del Diavolo.

La caratteristica del locale la ripeterò soltanto adesso: capienza intorno alle duecento anime, forse anche di più. Di giorno la perfetta sala da zumba, di notte un’acustica perfetta per i concerti metal, estremi e non. Sono affezionato a questo luogo, al netto dei suoi limiti d’aggregamento qualora si intendesse ospitarvi nomi di un certo richiamo. Eppure ci sono passati i Nile, un tempo.

Il vestiario e la cazzimma dei Dirty Blade

L’apertura è stata affidata ai DIRTY BLADE e alle loro tute fiammanti. Pisani, su Wanikiya Records e attivi da quasi un decennio, hanno trovato il debutto due anni fa con Dirty Business e suonato un heavy/thrash particolarmente potente e macchiato di attitudine rock. Quel genere di rimescolone che fa sempre piacere e che, puntualmente, invoca il suffisso and roll. Ho notato una certa voglia di strafare e mettersi in mostra, il che non è sempre sinonimo di riuscita ma, piuttosto, del palesarsi di inesperienza. Comunque bravi e divertenti, anche se l’efficacia del loro stile e della loro irruenza sul palco non è stata pareggiata dall’efficacia dei brani composti, che meriterebbero un tiro maggiore.

All’apparire dei VOIDBLIGHT fra cavi e casse spia, un nostro affezionato lettore, Damiano, che più volte ha rimarcato dubbi sulla mia tenuta etica e morale nel corso dei concerti fiorentini, mi ha lanciato la solita frecciata: so che adesso fotograferai solo la cantante. Una frase che francamente vorrei non sentire così spesso. Siamo un po’ come i bar. I bar con il pasticcere qualificato attirano la clientela buona, quella in cerca di un’ottima colazione. I bar con le slot machine si prendono il lato losco del quartiere: spaccini, gente sommersa dai debiti, casalinghe sulla cinquantina abbondante che bestemmiano e sputano catarro sul pavimento. Noi siamo il blog con le slot machine, non quello col pasticcere, e subiamo costantemente le pressioni dei nostri lettori allorché ci impegniamo nella realizzazione di un articolo completo e professionale.

Voidblight. Adesso che ci faccio caso ho fotografato solamente la cantante

I Voidblight si sono presentati sul palco con un paio di fiacchi brani di rock atmosferico per poi virare improvvisamente sul doom metal e far svoltare il proprio concerto. La loro cantante, Asia, ha rivelato un’ottima presenza scenica e deve però affinare una cosa: le note alte nel cantato pulito, sulle quali commette svariate correzioni pur d’aggirare alcune difficoltà. I Voidblight debbono suonare doom metal, è il loro pane ed è il territorio entro il quale si muovono meglio. Buon concerto, non il migliore della serata, ma quasi.

Gli ASHEN FIELDS sono stati, fra tutti, i più preparati tecnicamente. Sentitissime le presentazioni dei pezzi da parte del cantante, forse un po’ troppo dato il contesto, dati i presenti e il fatto che, in principio, si era ritrovato il microfono pressoché defunto. Gli Ashen Fields sono liguri come gli headliner che ascolteremo in conclusione, attivi da un bel pezzo, e alla prova del full solo nel 2025 con So Haggard and so Woe-Begone, e hanno proposto un death metal tecnico, a tratti epico, a tratti malinconico in un senso strettamente scandinavo. Funzionano meglio quando rallentano che quando accelerano, il muro di suono è totale, eppure i pezzi non mi hanno acchiappato particolarmente. Anche se, sarò sincero, sono un po’ curioso d’approfondire il disco, cui ho dato solo una rapida ripassata.

Ashen Fields

A quel punto sono uscito un attimo a riprendere una birra. Avrei avuto voglia anche di un po’ d’aria, ma un’ora prima mi ero avventurato all’esterno e appoggiato al rossiccio muro proprio di fianco a due tizi, che avevano interrotto bruscamente un discorso una volta accortisi della mia presenza. Poi uno è partito e ha fatto all’altro: i Primex mi stringono troppo il cazzo e poi sono i soliti che mi mettono le puttane. Se hanno interrotto un discorso e poi hanno detto quella frase, che cosa stavano dicendo un attimo prima? Insomma niente aria stavolta, e molta attenzione ad entrare in bagno perché le donne c’entrano tutte in coppia, noi no.

I MOONLABYTE hanno fatto vacillare il concetto stesso di presenza scenica. L’addetto alla sicurezza nel frattempo ha cominciato a chiedere nervosamente e ossessivamente ad Alessio Cricca di The Music Lounge quanti gruppi mancassero ancora, palesando che non ne poteva più. Questi volenterosi ragazzoni si sono presentati sul palco con dei caschi in testa a metà fra i Daft Punk e il parrucchiere, con tanto d’annuncio aeroportuale in principio a ogni canzone, delle quali mi ha particolarmente colpito una fra le ultime, molto in stile Linkin Park. Il resto è passato in sordina, senza infamia e senza lode. La presenza scenica per me è altro, non è legata solamente all’estro o all’originalità dei costumi, o alle trovate introduttive. È legata principalmente al carisma e alla riuscita di ciò che proponi.

Moonlabyte. All’indomani del concerto mi è arrivato lo stesso messaggio da due persone diverse: “e questi?”

I MARS ERA sono stati allo stesso tempo il gruppo che meno c’entrava con la serata e quello che ha tirato fuori il concerto migliore. Suonano un rock italiano bello grintoso, con pochissimi riferimenti al metal. A un certo punto ho sentito un passaggio che poteva accostarli ai Tool, e qualche sfrontataggine ai limiti dello stoner rock. Hanno un frontman, probabilmente il primo cantante della serata che se la sia cavata al cento per cento davvero da frontman. Dovete sapere una cosa: a fine serata il loro cantante si aggirava zigzagando fra il pubblico, con delle traiettorie che suggerivano che avesse in corpo più Raffo di tutti e tre gli accreditati stampa sommati assieme. A un certo punto l’ho visto finire nella zona in cui i due maniaci ragionavano dei profilattici Primex in principio di serata. Gli auguro di essere uscito vivo di lì, e alla sua ottima band auguro che non guidasse lui il tour bus al ritorno, altrimenti c’è in giro un altro Cliff Burton.

I DURGA sono un qualcosa di veramente singolare. Innanzitutto sono maremmani. Che cosa significa? Non è un riferimento al pastore maremmano, o alla vacca maremmana, bensì alla tipologia di personalità che occupa quei luoghi. Il fiorentino sta al maremmano come gli Exodus stanno ai Blasphemy. La Maremma è come quei paesini dell’entroterra sardo o calabrese con i buchi di proiettile sui cartelli stradali, soltanto senza buchi di proiettile: ma se entri in un bar, e chiedi un caffé, e lo fai con quel briciolo di puzza sotto al naso, atteggiamento da radical chic, sguardo dall’alto verso il basso, in Maremma ti arrivano le bestemmie addosso.

I maremmani Durga suonano la carica col personale ridotto all’osso

Suonano in due, non hanno il bassista. Sono dell’idea che i Durga siano la spiegazione dell’importanza del bassista nel metal. Tutte le volte che ho pensato ma tanto il basso lo fanno sparire nei mixaggi e lo tengono fisso su una delle due chitarre che è puntualmente ribassata, sì, ok, ma tu toglilo e capisci che cosa hai tolto. Era la seconda volta che vedevo suonare un gruppo metal dal vivo senza il bassista, la prima fu una vita fa al Siddharta di Prato, i Savingraces. Il loro batterista è giovane e porta una maglietta dei Nile per l’appunto nel locale rinomato per una delle calate storiche in Toscana, forse l’unica, da parte degli stessi. È una bestia, suona davvero bene. A livello di chitarra e voce è tutto una bordata cronica, assalto frontale, e sulla carta mi piace pure il loro thrash metal estremo. Ma deve essere messo a fuoco, devono essere affinati un minimo i pezzi e, soprattutto, deve essergli messo a disposizione un bassista. 

Poi ha suonato il gruppo che probabilmente mi ha convinto meno di tutti, i FALLEN CRUSADER. Un power metal a metà fra quello crucco a noi noto e quel genere di musica da osteria e da costume che è caro ai Wind Rose. Non stravedo per questo ultimo filone, che una volta definii il cosplay dell’heavy metal. Non ricordo francamente con chi ne stessi ragionando, ma dissi esattamente così. Benino le ultime due canzoni fra cui l’omonima, maluccio tutto il resto, e soprattutto un cantante che non ha spinto come il genere richiede e che sul finale ha presentato i Frostmoon Eclipse come Moonlight Eclipse per ben due volte.

Mars Era, li lascio per ultimi prima di cedere il passo agli headliner: un ottimo concerto il loro

Questi ultimi, a prescindere da come li vogliate chiamare, a prescindere dal fatto che siano il gruppo che incise l’ottimo Gathering the Dark una vita fa, o un clone dei Labyrinth come fatto intendere dal cantante del gruppo precedente, hanno fatto un buon concerto. I musicisti sono tutti sul pezzo e si completano: statuario Claudio Alcara, inarrestabile Davide Gorrini al basso, una via di mezzo fra Bobby Liebling pre-invecchiamento e Bobby Ellsworth, in preda a un costante headbanging e pose metallare sempre azzeccate che lo potrebbero rendere adatto a qualsiasi genere di band. Un suggerimento: noleggiatelo. Date Davide Gorrini a noleggio ai gruppi che vanno in tour e svolteranno tutti, perché con Davide Gorrini sul palco tu, chitarrista, e tu, cantante, vi potete mettere a sedere e finire di vedere Monster: Ed Gein.

Il cantante Lorenzo Sassi ha anch’egli mostrato un’ottima presenza scenica; Gionata Potenti alla batteria spingeva come un dannato. Dei Frostmoon Eclipse mi ha colpito la cura strumentale delle singole composizioni, che è esattamente quello che ricordavo su disco, ma da pochi metri esce in maniera nitida e calda grazie all’ottima acustica dell’ex Cycle di Calenzano. Non mi ha colpito la longevità in corso d’opera: furiosi i primi dieci/quindici minuti, nella seconda metà del concerto ho come percepito un leggero calo, più che dalla loro parte, da quella dell’interesse generale del pubblico, spartito fra gente collassata sui divanetti, altra gente impegnata all’esterno in tornei di Warhammer con un tasso di umidità del novantotto percento, e quei due impegnati a infilarsi i Primex per comprovarne la vestibilità. Maniaci. (Marco Belardi)

Frostmoon Eclipse

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