Splendidi quarantenni: SAVAGE GRACE – Master of Disguise

Nel 1985 i Savage Grace erano in ascesa. L’essere stati scelti da Brian Slagel qualche anno prima per uno degli episodi di Metal Massacre (il secondo) equivaleva ad essere proposti come uno dei paradigmi del metal dell’epoca. Ne avevano fatti di passi avanti da quando ancora si chiamavano Marquis De Sade, e nel 1983 erano usciti con una bomba di ep, The Dominatress, dove avevano introdotto in formazione, oltre al temibile e giovanissimo urlatore John Birk, anche il chitarrista Kenny Powell, nome che si rivelò pesantissimo nello scenario power/speed metal americano degli anni ottanta, come vedremo.

Master of Disguise doveva essere il salto di qualità definitivo, quello che potenzialmente li avrebbe proiettati ad astra, pronti ad essere accostati ad altri grandi nomi emergenti di quegl’anni. Il percorso si fa però subito accidentato, visto che John Birk è poco più che un bambino e non sembra andare molto d’accordo con il resto del gruppo, che ben presto se ne disfa con la motivazione dell’immaturità e la mancanza di concentrazione nella “missione” di Chris Logue e co. Il resto ce lo racconta lo stesso Logue:

“alcuni amici in comune ci consigliarono di provare Michael John Smith, e ci convinse immediatamente. Io adoro Gary Barden (non solo tu, ndR) e i primi MSG, e lui me lo ricordava parecchio (opinione forse impopolare: altro che Graham Bonnet, ndR)”

Al tempo stesso, però, il quintetto deve fare i conti con un altro grosso problema, ovvero che Kenny Powell non ne vuole piu sapere di stare a ruota e subire le decisoni di Logue, personaggio certo non semplice da contenere, e decide di cambiare aria e fare qualcosa di distinto e che abbia il suo marchio di fabbrica:

“Fu una sorpresa constatare che Kenny non esitò a lasciare un progetto già lanciato per dare inizio ad uno completamente nuovo. Fu così che fondò gli Omen. I Savage Grace sono sempre stati il mio gruppo, con Brian East (basso, ndR) che più o meno seguiva la mia linea ed era il mio “vice”. Probabilmente Kenny in cuor suo sapeva che come chitarrista e compositore non sarebbe mai stato al mio livello (e poi c’era la marmotta che confezionava la cioccolata, ndR), cosi’ decise che era meglio comandare il suo piccolo rimorchiatore, piuttosto che essere un subordinato sulla mia nave da guerra”

Megalomania a parte, Slagel suggerisce il chitarrista di una delle bande della sua scuderia, gli ottimi e barbarici Witchkiller, che arriva illegalmente in California dal Canada con la sua chitarra e pochi altri effetti personali. Nonostante le motivazioni e l’attitudine positiva, Logue si accorge, durante le registrazioni, che il buon Kurt Phillips ha difficoltà evidenti ad eseguire e armonizzare le parti di chitarra scritte per il disco.

“Kurt seguiva il beat, mentre io sono uno che si sovrappone, con il risultato che era spesso indietro e lento. E gli assoli erano parecchio veloci, come del resto tutto il disco”

Finisce che Chris Logue rispedisce Kurt Phillips a nord del confine e incide entrambe le chitarre. Ma Master of Disguise è una bomba. Un disco epocale che ridefinisce le parole “power”, “metal” e “americano”. Quello che i più al passo coi tempi definirebbero, con sprezzo della lingua italiana “game changer”. Pare che persino R.J. Dio si fosse fatto vivo un paio di volte durante la lavorazione del disco e, sentiti i nastri, ne fosse rimasto folgorato.

L’esperienza in studio con Mike Smith fu incredibile, ed egli era in grado di eseguire elaborate armonie vocali che ben si sposano con lo stile melodico ma letale delle chitarre di Logue, che ammette di essersi lasciato andare in fase di missaggio, un po’ per quella megalomania che tutt’oggi pare lo contraddistingua:

“Mi scontrai subito con James Sutton, ingegnere del suono, che sosteneva che il disco dovesse avere più “basse frequenze”, ma io all’epoca non volevo sentire ragioni, e siccome ero il capo, alzai voce e chitarre nel mix, seppellendo la sezione ritmica. Mi ci sono voluti venticinque anni per correggere quell’errore, che oggi ammetto tranquillamente.”

Infatti se riuscite a mettere le mani sulla ristampa della Limb Music del sempre ottimo Limb Schnoor, sentirete il muro sonoro che era inizialmente destinato ad essere.

Come avevo già accennato in passato e di sfuggita, provate ad ascoltare come la intro Lions Roar sfocia nella frenetica Bound To Be Free, con la sua accelerazione a 100 mph e le armonie vocali di Smith, e ditemi che questo non è un classico assoluto del power mondiale. Ma ci sarebbero altre canzoni da citare, senza fare un osceno track by track, visto che non c’è un riempitivo che sia uno e tutti i solchi sono colonna sonora per partire in una guerra sanguinosa contro i nemici del vero metallo.

Una nota a parte per la copertina, volutamente o non sopra le righe del buon gusto. Tanta, troppa gente, specialmente delle più recenti generazioni, asserisce che non sarebbe in grado di ascoltare un disco se la copertina è brutta.

Questa copertina è VERAMENTE brutta, ma se non avete esperienza del power metal americano perchè non siete dei vecchi scorreggioni come il sottoscritto, eppure siete allo stesso tempo sempre alla ricerca di musica che non conoscete, non fate la sciocchezza di farvi trarre in inganno dal baffuto Poncherello/maniaco sessuale coi baffi della copertina. Fareste un errore madornale.

Per quanto riguarda Logue, non è mai stato un personaggio che le manda a dire, e ancora oggi, se leggete quello che si dice su di lui e sulle sue “memorie” pubblicate abbastanza di recente, dalle quali abbiamo attinto per questo articolo. vedrete che non cessa di suscitare reazioni:

Pure Bollocks… No one gets that much fanny…..”

Nigel Reed-Smith,  NME

“Ramblings of a drunken narcissist with infantile fixations…..”

Rex Wayne,  Edge Magazine

“A despicable man and sex pest reminiscing from an alcohol soaked semi vegetative state…….”

Bob Alcott, Rolling Stone

Vi lascio comunque al suo sito ufficiale, addobbato da immagini come questa. (Piero Tola)

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