Come un call center indiano: GRUESOME – Silent Echoes
Prima di partire per l’India, a fine 2018, mi misi in moto per ottenere il visto. Come per ogni visto turistico, ci sono due modi per ottenerlo: o arrangiandosi, oppure appoggiandosi a un’agenzia. È chiaro che nel primo caso si risparmia, mentre nel secondo c’è da pagare la commissione all’agenzia. Siccome ritengo di sapermi arrangiare quando viaggio, decisi per la prima opzione.
Cerco su internet e, come primo risultato, compare quello che a tutti gli effetti sembrava il sito ufficiale dello Stato dell’India, o qualche suo ministero, non ricordo. Ero abbastanza sicuro fosse il sito ufficiale perché, su un blog di viaggi, avevo visto degli screenshot della procedura da seguire per la compilazione. Arrivo al momento del pagamento e, con mia sorpresa, vedo che il costo era di circa 120 euro anziché 80 come c’era scritto sul blog di viaggi.
Allora mi fermo e mi chiedo se non avessi sbagliato qualcosa. Faccio una telefonata a un amico che era già stato in India e mi conferma che il costo esatto è 80 euro, se fatto senza intermediazioni. Termino la telefonata e subito mi chiama un numero con prefisso indiano. Rispondo. Dall’altra parte una tizia mi parla in inglese, offrendomi aiuto per completare la procedura. Io ringrazio, tutto contento e stupito dell’efficienza di questo ufficio ministeriale indiano, ma prima chiedo come mai il costo sia di 120 euro. Lei mi risponde che è giusto così e mi chiede se voglio pagare con bonifico o carta. Io insisto nel chiederle come mai costi 120 euro. Mi risponde qualcosa farfugliando e comincio a insospettirmi. Perciò ringrazio, saluto e riaggancio.
Dopo neanche 5 minuti lo stesso numero mi richiama, ma stavolta non rispondo. Mi riattacco al computer e cerco di capire. E quel numero mi richiama per la terza volta. Continuo a non rispondere. Dopo un po’ mi cade l’occhio su un particolare del sito, in basso: c’è scritto, in minuscolo, il nome dell’agenzia di intermediazione doganale e, accanto, che quello non è il sito ufficiale dello Stato. Hai capito ‘sta tizia perché insisteva nel volermi far pagare? Cancello tutto e torno a cercare il sito ufficiale. Lo trovo, arrivo in fondo e finalmente il costo è di 80 euro. Vi giuro: i due siti erano indistinguibili. L’agenzia non stava tentando di fregarmi. Diciamo che era un po’ al limite per i nostri standard, ma là in India era normale. E d’altronde c’era scritto. In piccolo, piccolissimo ma c’era scritto.
Quando penso ai Gruesome di Matt Harvey e Gus Rios (entrambi anche nei Left to Die, la cover band dei Death degli ex Terry Butler e Rick Rozz) penso a questo episodio. Un tentativo DICHIARATO di copiare (pardon, “fare un tributo”) qualcosa d’altro. A questo punto, come per il visto, si riduce tutto all’aspetto monetario: perché qualcuno dovrebbe comprare un loro disco se può prenderne uno dei Death, sempre che ormai non ce li abbia già tutti, e quindi destinare quei soldi per qualcosa di più nuovo e originale? Personalmente non riesco a darmi una risposta. Domande con lo stesso grado di perplessità giravano anche sulla chat Telegram di Metal Skunk.
La mia convinzione è che questo è un progetto dei Gruesome per i Gruesome, i quali avranno un mutuo, delle bollette, la rata dell’auto e tutto il resto da pagare anche loro; come la tizia indiana al telefono. Se vuoi campare, in India come nel death metal (che più o meno hanno lo stesso numero di persone al loro interno), ti tocca inventarti cose così. Capiamoci, non c’è niente di male, e Silent Echoes lo si ascolta piacevolmente. Come il precedente Twisted Prayers voleva essere un remake di Spiritual Healing, questo lo sarebbe di Human. E va bene così, per carità. Il mondo è pieno di cloni, c’è posto per tutti. (Luca Venturini)


