Liturgie contemporanee: NEPTUNIAN MAXIMALISM – Le Sacre Du Soleil Invaincu
Il collettivo belga Neptunian Maximalism è, in molti sensi, anticontemporaneo. In un tempo in cui l’algoritmo guida la scoperta musicale e l’attenzione media di un “ascoltatore” si misura in secondi, i Neptunian Maximalism hanno sempre deciso di andare nella direzione opposta. Il colossale, magmatico Éons, denso lavoro orchestrale di 128 minuti uscito nel 2020, era in questo senso già una dichiarazione d’intenti, un manifesto musicale estremo. Questo nuovo lavoro, che esce sempre per I, Voidhanger Records, ne ripropone il radicalismo, pur distanziandosene (in certi frangenti anche di parecchio) dal punto di vista sonoro. Le Sacre Du Soleil Invaincu è una nuova immersione sonora di quasi cento minuti, un dilatatissimo rito iniziatico guidato da direttrici sonore mistiche, con un retroterra ancorato nella sapienza cosmologica. Sarebbe errato considerare il disco una “prova in studio”, dato che, di fatto, si tratta invece di una vera e propria epifania musicale registrata nella chiesa di St. John’s on Bethnal Green, a Londra, durante il Judgment Hall Festival. Molto più di Éons, è una esperienza che affonda le proprie radici nel rock progressivo più intransigente, quello della scuola dei Magma o, per i più underground, degli Shub-Niggurath (Les Morts Vont Vite). In uno spazio dove il gotico incontra il drone, questa volta la formazione di Bruxelles ha elevato la sua arte musicale verso una forma che riesce a fondere in modo convincente le arie mistiche guidate dal sitar e le urla telluriche dell’amplificatore valvolare.
L’intransigenza a cui facevo riferimento si nota già dalla struttura stessa dell’opera, articolata in tre movimenti, ciascuno corrispondente a un raag della tradizione classica indiana: Raag Marwa, Raag Todi e Raag Bairagi. Non si tratta di semplici citazioni esotiche, ma di una vera e propria ricomposizione spirituale che prende sul serio – con l’intensità febbrile dei mistici e la libertà anarchica degli sperimentatori – la logica temporale ciclica della musica dell’Indostan. Il risultato è una lunga e densa trilogia liturgica, dove il suono viene reso metafora della “giornata cosmica”, che trae la sua forza anche dalla “potenza di fuoco” della band, una vera e propria orchestra di chitarre elettrice, saz, daf, zurna, surbahar, una varia selezione di ottoni e percussioni, e effetti elettronici.
I. At Dusk: Raag Marwa
Il primo atto si apre come un crepuscolo alieno: Alaap e Vilambit Laya Alaap sono come ombre sonore che si allungano su una navata gotica. I droni – che ho trovato meno ruvidi rispetto a quelli di Éons, ma che richiamano sempre gli abissi più neri dei Sunn O))) – costruiscono un fondale rituale su cui si stagliano ottoni, synth e percussioni in progressiva accelerazione. La seconda parte, introdotta da una batteria discreta e da un fraseggio che sembra evocare un blues interstellare, sfocia in un inno zeuhl. La sezione finale, Dream Chord, è pura vertigine. Potrebbe anche fungere da colonna sonora a qualche incubo filmato da David Lynch, dove a un certo punto il delirio ti porta a smarrire la concezione dello spazio e del tempo.
II. Arcana XX: Raag Todi
Qui il suono si fa più feroce, con innesti genuinamente black metal. Ciononostante, il movimento (mi sembra riduttivo chiamarlo “brano”) ha una dinamica eccezionalmente variabile. Il Raag Todi, di per sé già incline al patetico e al contemplativo, viene prima accarezzato con rispetto in Alaap On Surbahar, poi sottoposto a una torsione metallica nel devastante Drut Laya, Chaotic Polyphonic Taan Combinations, dove appunto le sezioni black metal e quelle free jazz si sfidano a colpi di dissonanze, blast beat e lamenti vocali che sembrano provenire da un sabba apocalittico. Il pezzo finale, MadhyalayaYama DCCLXXII, è il trionfo della psichedelia paranoica: krautrock, groove prog e distorsioni ipnagogiche si inseguono in un delirio controllato, un labirinto sonoro che avrebbe fatto la gioia degli sperimentatori dodecafonici più spinti. La “forma-canzone” è completamente abbandonata.
III. At Dawn: Raag Bairagi
Dopo la notte, l’aurora. Ma non aspettatevi una passeggiata bucolica tra i fiori. Raag Bairagi, più melodioso ma non meno perturbante, introduce una falsa calma: Vilambit Laya Alaap sembra un lento risveglio lisergico, con chitarre fluttuanti e voci sacerdotali che suggeriscono un sermone officiato da un pastore sotto acidi. Le sezioni successive si muovono tra jam dilatate, riff asfissianti e invocazioni mistiche, fino alla conclusione con Layakari In Offer To The Cosmic Serpent, dove il gong apre la via a una serpentina di suoni che rievoca un cosmogramma folk-metal-elettronico. È il momento della chiusura del cerchio, dell’offerta finale: il serpente cosmico, si spera, sarà sazio.
Le Sacre Du Soleil Invaincu è un’opera che non ascolti: come molta musica sperimentale, ti attraversa. Ma, come ogni percorso iniziatico, richiede dedizione, pazienza e un certo gusto per il sublime, nascosto accuratamente nel disordine. La sua ambizione non è quella di piacere, ma di trasfigurare. In questo, riesce con sorprendente coerenza: evitando gli eccessi compiaciuti del drone-metal più autoreferenziale, i Neptunian Maximalism forgiano una liturgia contemporanea in cui l’Oriente è ascoltato e rielaborato con rispetto, e in cui la spiritualità non è un’ornamento, ma il centro propulsore dell’atto musicale.
Il disco mi è risultato più accessibile di Éons del quale, sebbene ne avessi intuito subito, dal primo ascolto l’immenso valore artistico, lo considero ancora oggi un disco estremamente ostico, complicato, il cui ascolto è una vera e propria esperienza psicosomatica, e lascia sicuramente esausti. Le Sacre Du Soleil Invaincu può lasciarvi sicuramente stanchi, spaesati o trasformati: significa che l’opera funziona. Come ogni rito riuscito, produce una trasformazione e uno scarto. E se, come suggerisce il titolo, il sole è davvero invincibile, è solo perché ogni tanto qualcuno, come i Neptunian Maximalism, riesce a farlo sorgere di nuovo. (Bartolo da Sassoferrato)





Dalla recensione sembrerebbe un disco spettacolare. La scuola musicale dei Magma è definita “zeuhl”. Comunque credo che lo comprerò…
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è un bel disco
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