Trent’anni fa usciva Fjelltronen, unico disco dei WONGRAVEN di Satyr

Gli anni che vanno dal 1994 al 1996 sono stati un periodo di grande ispirazione musicale per sir Sigurd Wongraven, conosciuto ai più come Satyr. Della trilogia iniziale dei Satyricon abbiamo parlato e straparlato, così come del commosso tributo alla madrepatria che fu Nordavind degli Storm, in coabitazione con Fenriz e Kari Rueslåtten. Sempre nel 1995 Satyr diede alla luce un’altra piccola gemma nascosta intitolata Fjelltronen (il trono della montagna) a nome Wongraven (la fantasia ai tempi mi sa che non era il suo forte).

Se pure parliamo di un genere totalmente diverso, qualche similitudine con Nordavind in effetti c’è, a partire dal booklet molto scarno, dal fatto che il progetto nasce e muore col disco in questione, e soprattutto dall’idea di fondo di ricreare in musica le tenebrose atmosfere e l’impervia natura del paesaggio norvegese, pistolotto finale compreso in cui Satyr spiega le ragioni che lo hanno portato a comporre tale opera. Se per gli Storm la definizione data era norsk nasionalromantisk musikk, nel caso di Wongraven si parla di pure northern medieval atmosphere music, e credetemi che definizione più calzante era praticamente impossibile da trovare. In questo frangente il progetto è da ascrivere quasi interamente a Satyr, con un piccolo aiuto di Vegard “Ihsahn” Sverre alle tastiere e voce (Over Ødemark è interamente opera sua) e Hans K.K. Sorensen dell’orchestra nazionale norvegese a timpani e percussioni, anche se forse tamburi da guerra sarebbe la definizione più giusta, un po’ sullo stile di quelli presenti in Minas Morgul dei Summoning.

Ovviamente parliamo di un disco particolare, che per essere apprezzato necessita di un certo grado di introspezione e capacità di immedesimarsi nelle epoche oscure e dimenticate in cui Satyr vuole trasportarci con la sua musica. Di certo non è roba che puoi ascoltare in macchina con trenta gradi in temperatura o davanti una grigliata, ma in solitudine passeggiando per qualche foresta o, al limite, a casa con un bel condizionatore acceso, rimirando il bellissimo dipinto di Theodor Kittelsen raffigurato in copertina, che tra l’altro è lo stesso utilizzato dai Carpathian Forest per il loro primo Ep.

Spero inoltre che la maggior parte di voi l’abbia scoperto negli anni della sua uscita, anche perché per certi versi era materiale piuttosto innovativo da ascoltare ai tempi. Molti parlano in questo frangente di dungeon synth, ma io francamente non ci trovo tutte ste similitudini, molte di più con la vecchia scuola ambient medievale di Pazuzu e dei primi due capolavori di Mortiis. Comunque la vogliate pensare, parliamo di un lavoro veramente unico nel suo genere, considerando anche il fatto che i personaggi in questione all’epoca avevano appena vent’anni. Un disco rigorosamente da riscoprire o da approcciare ora se non l’avete mai fatto, nella vita non è mai troppo tardi. (Michele Romani)

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