WORMROT @Slaughter Club, Paderno Dugnano – 12.06.2025

Entro allo Slaughter molto presto e vado diretto alle transenne sotto il palco. Vedo montata una batteria Yamaha Oak Custom e mi scende una lacrima: è infatti la stessa batteria che ho suonato per circa vent’anni prima di trasferirmi a Milano, senza poterla portare con me. Ma non c’è tempo per i sentimentalismi, perché siamo a una serata fatta tutta di canzoni brevi, groove serrati e tanta cattiveria. 

Rags

Si comincia con i RAGS, quartetto italiano hardcore che penso abbia esordito con il primo album intero proprio quest’anno, a giudicare dalla loro pagina Bandcamp. La loro cantante ci mette tutta la rabbia che ha in corpo nell’esibizione. Il gruppo suona bene e ha un bell’amalgama, risultato o di anni spesi a suonare assieme oppure di maestria del genere da parte dei singoli componenti. O di tutte e due. Le canzoni sono brevi, veloci e potenti. Insomma, ci sanno fare.

So Close

Seguono poi i SO CLOSE, simpaticissimi cazzari che compensano qualche limite tecnico sugli strumenti con tanta simpatia. Il foglio della scaletta diventa il protagonista della loro esibizione, visto che ce n’è solo uno per tutti e quattro i componenti della band, che sono costretti a spostarsi ogni fine canzone per leggerlo. Ma gestiscono la cosa bene e con autoironia, e la loro esibizione, fatta di hardcore con ogni tanto qualche accelerazione grind, è godibilissima, non fosse altro per il fatto che i ragazzi ispirano molta allegria. Cosa che comunque contribuisce sempre ad una buona presenza scenica.

Bleachdrinker

Seguono poi i più rodati BLEACHDRINKER, quartetto powerviolence svedese di poche parole ma molta sostanza. Con la loro esibizione comincia a esserci più pubblico. Le loro canzoni sono violentissime, condite da parecchio grind e da un cantato perennemente in screaming che personalmente mi esalta non poco. È infatti più o meno lo stesso genere che suonavo vent’anni fa, prima che l’età adulta si presentasse a rompere le palle. Anche in questo caso le canzoni raramente superano i due minuti, e il concerto è un monolite di rabbia che fa scatenare (e sudare) la gente sotto al palco.

Wormrot

È il turno infine dei mitici WORMROT, band grindcore di Singapore che spero conosciate già, e in caso contrario recuperate subito il capolavoro Hiss. In realtà tutti i loro dischi sono meravigliosi. Vabbè, vedete voi, basta che li ascoltiate. Tra il pubblico compare l’uomo aragosta che verrà sballottato da una parte all’altra nel pogo. Iniziano senza tanti complimenti con No One Gives a Shit, che funge per lo più da intro, per poi passare subito a The Darkest Burden, pezzo di apertura di Hiss, appunto, e la gente esce giustamente pazza. La scaletta pesca da tutti e quattro gli album, avendo anche loro, ovviamente, canzoni sotto i due minuti. Si fermano giusto il tempo di prendere fiato ogni 10-15 minuti; del resto il caldo si fa sentire, tant’è che Arif, il cantante, dice che gli ricorda il clima di casa. Ci sono stato nel 2019 a Singapore, e posso confermare che la differenza con la città-stato asiatica è praticamente nulla. I suoni sono ben curati, e loro suonano esattamente come su disco, il che, visto il genere, è apprezzabile per godersi appieno lo spettacolo. Io sono ancora alle transenne, e vedo che il pubblico dietro di me risponde bene; mi arrivano un paio di gomitate sulla schiena, ma i Wormrot sono talmente belli da sentire che non mi scompongo. La band è tecnicamente eccelsa: Arif ha una voce incredibile e una presenza scenica fatta di anni e anni di esperienza, Rasyid alla chitarra e Fitri alla batteria spaccano i culi.
Il tempo passa veloce quando ci si diverte, vuole un luogo comune, ed effettivamente è vero: lo show dei Wormrot dura circa un’ora, e poco prima delle 23 finisce. Io, nel dubbio, mi compro la maglietta del tour. Quella di Milano è l’ultima delle tre date in Italia; da dovunque leggiate, la prossima volta che passano dalle vostre parti andate a vederli. Nel piccolo mondo pazzo del grindcore, loro stanno facendo la storia. (Luca Venturini)

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