THE OSSUARY – Requiem for the Sun

La quantità di doom eccellente (o anche “solo” buono) prodotto dalla penisola è sbalorditiva. Almeno relativamente a questo stile qui, l’italia per numero e qualità non ha molto da invidiare a blasoni stranieri, oggi come oggi. Poi, c’è da dire che alcune provenienze all’interno del nostro (bel?) Paese sono più esotiche ed insolite. I The Ossuary, per dire, vengono da Bari. E noi già li incontrammo qualche anno fa, col precedente Oltretomba. E li aspettavo al varco da allora. Varco di un cimitero, inutile precisare. Bene, attesa ripagata alla grande da questo Requiem for the Sun qui. Che è davvero una macabra delizia. Un disco cimiteriale, sì, chiaro, ma molto rock, sia nella componente “and roll”, sia nelle venature psichedeliche. Belle, le venature psichedeliche, col doom stanno una meraviglia. In soldoni, Le coordinate, molto di massima, sono quelle del doom americano sporcato di grunge, hard rock e psichedelia, appunto. Alla larga, come i Trouble degli anni ’90. Come attitudine, i The Ossuary non suonano come una cover band di quelle 2.0 che vanno ora. Anzi, classicissimi, scelgono gli ingredienti del loro cocktail anche con una certa personalità.

Io per dire ne apprezzo tantissimo alcune venature sixties, come in The Others, dall’impostazione ritmica quasi beat. Oppure i Pink Floyd, anche palesemente ripresi in Altar in Black, senza che per questo il brano diventi una jam sospesa, anzi, resta rock durissimo. Poi, io dei Pink Floyd non me ne faccio niente, ma questo resta un problema mio. Comunque il resto, tranquilli, son fumi e miasmi. Far From the Tree ha punti in comuni, diversi, col grunge di Soundgarden e Alice in Chains. In Wishing Well anche la voce pare un’evocazione del compianto Eric Wagner. E, anche qua, il ritornello pare una reminiscenza di psichedelia anni ’60, ovvero quel filo lunghissimo e colorato che, passando per i solchi dei Sabbath, accomuna i dischi dei Trouble, dei Soundgarden, dei Monster Magnet, dei Type O Negative e di molti dei migliori discepoli dei Fab Four (intendo qui quelli di Birmingham). Ho tirato fuori un bel po’ di nomi, magari alzando di parecchio le aspettative ora di qualche lettore, davanti al disco di questa “piccola” band barese (al quarto album, attenzione). Contestualizziamo, ma manco troppo. Perché Requiem for the Sun è un bel disco, gagliardo davvero, non ha canzoni banali e non si basa su un’intuizione o mezza, rubata e ripresa para para da qualcuno. Ci sono canzoni vere e proprie, spesso, se non sempre, intrise da una cupa vena blues, a tratti southern. Inteso come southern rock americano, non regionalismo nostrano, nonostante la provenienza dei nostri. Già, perche comunque è ora che iniziamo a sagnarci i The Ossuary tra le migliori band di doom nate, per qualche misteriosa ragione, su suolo italiano. E che meriterebbero, più che il riconoscimento di noialtri, qualche bella soddisfazione oltreconfine. Auguriamoglielo. (Lorenzo Centini)

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