Provaci ancora, Magnus: WITCHCRAFT – Idag
Chissà se quel gesto di Magnus Pelander significa quello che penso. Di certo, non penso stia solo ordinando ‘du Ceres. Sarà livore. Nei confronti di chi non saprei dire. Certo che la storia dei Witchcraft, e quindi la sua “carriera” musicale personale, è andata avanti a strattoni, lunghe pause e brusche inversioni. Un attimo però: che brutta cosa parlare di carriera, come fossimo addetti alle risorse umane e dovessimo valutare un artista in termini di “costanza”, “produttività”, “dedizione”, “focus sul risultato” e magari “spirito di collaborazione”. Ecco, non so quanto Magnus passerebbe un colloquio del genere. E meno male che è di musica che ci occupiamo qua, e di espressioni, se possibile, di musicisti veri, non di numeri.
Comunque, ecco, tante formazioni sono cambiate nei Witchcraft e quella di oggi è totalmente diversa, non solo rispetto a quella degli esordi, ma anche a quella del periodo Nuclear Blast. Bel periodo anche quello. Incredibile, pochi gruppi sono cambiati così tanto nel passaggio alla Nuclear Blast, eppure quei Witchcraft, anche se non parevano proprio gli stessi Witchcraft, erano un gruppo che suonava da dio e aveva dei pezzoni. La puzza di una mossa studiata a tavolino c’era, ma i dischi reggevano eccome. E infatti Legend credo sia il loro best seller, se ha senso parlare così di un disco dei Witchcraft. Black Metal, l’album acustico che avrebbe senso definire solista, lo si era capito, ha chiuso il periodo Nuclear Blast con uno sberleffo. Che sberleffo, comunque; fossero tutte così le prese in giro. Oggi Magnus Pelander riparte dal riff e da una coppia sola di collaboratori, un bassista e un batterista. I Witchcraft di oggi sono quindi asciutti, ruvidi, riff-oriented (come direbbe un eicciàr tipico milanese). Riff tipo fuzz/stoner, però. Ed esce per la nostrana Heavy Psych Sound, che continua a accogliere naufraghi della vecchia onda stoner (e simili).

Una particolarità, magari poco importante per un disco fatto di riffoni: Idag è cantato prevalentemente in svedese. E poi Magnus l’ha annunciato in maniera ambigua, promettendo fuoco, fiamme e soprattutto dannazione per le anime. E com’è? Disomogeneo, sicuro. Tende generalmente alla lentezza doom, più asciutta rispetto sia alla prima che alla seconda incarnazione precedente. Se la prima era tutta un lavoro di cesello, da restauratore, e aveva anche fortissima l’impronta di Bobby Liebling e di Roky Erickson (oltre che degli altri membri della band all’epoca), la seconda era stentorea, rocciosa, ma ancora fertile di paesaggi e suggestioni ampie (come in Nucleus, dall’album omonimo). I Witchcraft di oggi sono invece un terzetto essenziale che compone brani essenziali. O meglio, credo che li componga il solo Pelander. Doom, sempre, con una vena di folklore nelle melodie, ma con più nulla, o comunque ben poco, di immaginifico. Attenzione, non sto dicendo che non ci siano evidentissime continuità coi differenti passati, qualunque dei due preferiate (io il primo).

Dico semmai che questo disco sa di (tentativo di) rivalsa, di un artista che non ha saputo capitalizzare un potenziale enorme e nemmeno mantenere in piedi la collaborazione di musicisti validi. Cosa questa che fa davvero la differenza (vero, Josh?) . Bene, quindi il succo è che Idag sembra una raccolta di (valide) b-side raccolte dai cassetti del passato, o bozzetti mesti del presente. In genere apprezzo le produzioni “vere”, quando su disco senti esattamente solo le tracce che sentiresti dal vivo. E quindi, con questa forma “a tre”, anche nei brani più heavy i Witchcraft non hanno mai suonato cosi secchi, essenziali. Ma io una chitarra in più ce l’avrei messa, un’altra testa, un’altra personalità. Perché il risultato è che, per dire, un bel brano come l’iniziale Idig sembra in realtà il mix di studio delle basi prima della registrazione delle tracce soliste (e prima del missaggio finale). Altri brani sono esclusivamente acustici, solitari, come nel precedente Black Metal. E quindi, capirete, l’impressione pare un po’ quella, di un disco messo insieme con pezzi eterogenei, nemmeno registrati in maniera omogenea. La differenza di suono tra Irreligious Flamboyant Flame e le altre tracce heavy è ben più che esplicativa, palesemente una demo di un brano che non è nemmeno tutto questo gran che. Ne comprendo l’inclusione solo per motivi di minutaggio. E quindi il ritorno (pur sempre gradito) di Magnus Pelander pare anche questa volta un’occasione mancata. Più ancora delle precedenti. L’unica cosa che mi auguro è che si tratti di un’operazione utile comunque a ravvivare una fiamma artistica, anche se pare, ormai, essere rimasta solo come brace, manco troppo ardente. (Lorenzo Centini)

È sempre bello leggere chi ci crede; “artista” e “arte” a profusione. Il 99,99% dei prodotti musicali sono, appunto, prodotti. Il 99,99% dei musicisti sono operai al torno, fanno tanta arte quanta ne faccio io: zero. Fanno altresì tanto lavoro, da molto bene fatto a molto mal fatto.
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