Catch Thirtythree, quando i MESHUGGAH peccarono di Hybris

I Meshuggah si muovono, fin da inizio carriera, sulla sottile linea che sta tra la figata incredibile e la noia massacrante. Tuttavia, hanno sempre avuto personalità da vendere, arrivando addirittura ad inventare un genere. Tra il 1995 e il 2002 il loro successo crebbe di album in album, facendone un prodotto internazionale di successo. Con ogni nuova uscita, le aspettative salivano sempre di più. Poi, nel 2005, arrivò Catch Thirtythree.

Quinto album del gruppo, Catch Thirtythree fu accolto con un misto di confusione e delusione da molte parti. L’album, una singola traccia di 47 minuti divisa in tredici parti, sembrava pervaso di un eccesso di tracotanza. Mentre l’ambizione di creare un pezzo musicale monolitico era ammirevole sulla carta, l’esecuzione lasciò molto a desiderare. A distanza di vent’anni, nulla è cambiato. Ascoltandolo, ci si ritrova intrappolati in un lavoro che raramente offre una vera catarsi o un momento memorabile. I riff, in precedenza anche piuttosto fichi, qui si fondono con il resto in un muro di suono indistinto. La poliritmia, tratto distintivo della band, sembra forzata e priva della fluidità quasi naturale che riuscivano a darle i Meshuggah. Dove gli album precedenti sfoggiavano una dinamica feroce e momenti di inaspettata melodia, Catch Thirtythree si crogiola in una monotonia estenuante. Le transizioni tra le sezioni sono spesso brusche e poco ispirate, dando l’impressione di una serie di idee giustapposte piuttosto che di un flusso organico. L’assenza di brani distinti rende difficile aggrapparsi a qualsiasi idea o melodia, lasciando l’ascoltatore con una sensazione di esaurimento piuttosto che di esaltazione.

Non si può mettere in dubbio l’intenzione dei Meshuggah di spingere i confini del loro suono e di esplorare nuove direzioni. Tuttavia, in questo caso, la sperimentazione più genuina sembra essersi persa in un eccesso di astrazione. L’album si presenta come un esercizio di stile cervellotico che sacrifica l’impatto emotivo e la memorabilità in nome di una complessità fine a se stessa. Con gli album successivi abbandoneranno questa idea malsana della monoliticità a tutti i costi, dimostrando la loro capacità di evolversi pur mantenendo la loro essenza, e continuando a scrivere canzoni ascoltabili. Catch Thirtythree rimane quindi un esperimento fallito. Non è un ascolto indispensabile, perciò se non vi è mai capitato sotto mano, buon per voi, continuate così; avete guadagnato 47 minuti della vostra vita. (Luca Venturini)

8 commenti

  • Avatar di EXO

    L’unico album dei meshuggah che non vado a riascoltare, un passo falso

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  • Avatar di Ulfedin

    Assolutamente in disaccordo con le opinioni riportate nell’articolo.

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  • Avatar di Ulfedin

    Trovo che sia un album godibilissimo. La sperimentazione è giusta e sacrosanta, soprattutto per un gruppo del genere. Inoltre, credo che l’intenzione sia stata proprio quella di creare una condizione claustrofobica. E’ una scelta artistica. Non è il miglior album della storia dei Meshuggah, ma rimane un ascolto imprescindibile.

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    • Avatar di TomFi

      Concordo. Aggiungo, suonato tramite drum machine con lavoro congiunto di tutta la band e come succede coi Meshuggah sulla batteria poi creano il resto della canzone. Una particolarità che accresce il valore sperimentale di un album che non vuole posarsi sugli allori del successo. Non vedo tracotanza in questo.

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  • Marco Di Nardo
    Avatar di Marco Di Nardo

    è una bomba, Sum uno dei momenti più alti che abbiano mai sfornato

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  • Avatar di Rob

    Totalmente in disaccordo su tutto l’articolo. Trovo anche interessante che non ci sia alcuna menzione del testo, che è la vera journey dell’ album!

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  • Avatar di Penergumeno

    skill issue, non sei capace

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  • Avatar di Stagno

    Secondo me il loro momento più alto. Da obzen non sono più riuscito ad ascoltarli.

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